venerdì 20 novembre 2009

Concetto Prestifilippo intervista Vincenzo Consolo per ricordare Leonardo Sciascia.

“Dal buio delle miniere alla luce dell’agorà”. Questo il titolo delle conferenze che lo scrittore Vincenzo Consolo terrà a Madrid e a Parigi in ricordo di Leonardo Sciascia. Un omaggio che si inquadra nel novero delle manifestazioni organizzate per il ventennale della scomparsa dello scrittore di Racalmuto.
Come evitare il rischio di scadere nella retorica celebrativa?
“Certo si corre questo rischio. Vale però la pena di affrontarlo. E’ doveroso ricordare adeguatamente la grande lezione civile di Leonardo Sciascia. E’ questo per me un imperativo categorico. Sono stati rari gli scrittori come Sciascia. Intellettuali lucidi, duri contro ogni forma di sopruso e potere. Questo ricordo, trova soprattutto riscontro fuori dall’Italia. Una rinnovata attenzione che certifica, ancora una volta, il suo valore, la sua specificità letteraria europea. Un volto degno, un’immagine alta, di questa nostra povera patria martoriata. Un Italia devastata, banalizzante. Il ricordo dell’opera e dell’impegno di Sciascia, da contrapporre all’immagine folkloristica e impresentabile che stiamo attualmente offrendo agli osservatori stranieri. L’Italia della politica rozza e delegittimante. Il vero volto della nostra nazione, della Sicilia nel mondo, è quello di uomini degni come Leonardo Sciascia. Uomini illustri che muovono da realtà remote. La biografia di Sciascia è quasi speculare a quella di un altro grande scrittore, Josè Saramago. Umili origini, un piccolo e remoto paese natale. Grandi scrittori che non provengono da dimore nobiliari. Affondano le loro radici nella nobiltà dell’umiltà. Per Sciascia il rimando è stato quello delle zolfare siciliane. Suo nonno era entrato in miniera a nove anni, era un caruso. Un bambino che era stato precipitato nell’inferno di zolfo. Un mondo antico, una civiltà contadina che è stata soppiantata con violenza e velocità. Un rimando alle sue origini, all’insegnamento ed alla sapienza di quella civiltà antica che il giovane Sciascia affidò ad una delle sue prime poesie pubblicate nel volume La Sicilia il suo cuore “
Un ricordo di Sciascia.
“Il mio primo ricordo risale al 1963, anno di pubblicazione del mio primo libro, “La ferita dell’aprile”. Conoscevo Sciascia attraverso i suoi libri. Era per me una luce laica. Gli inviai il mio libro ed una lettera di accompagnamento con la quale sottolineavo il mio debito nei suoi confronti. Mi invitò ad andarlo a trovare a Caltanissetta. Giunsi in quella città “remota” in un giorno di luglio del 1964. Fu per me un incontro ed un riscontro determinanti per la mia formazione. Un riscontro che fece da cornice ad una lunga ed ininterrotta amicizia. Da Sciascia, ho ricevuto una grande indicazione. L’esortazione verso la scrittura di intervento. Una lezione che ha contrassegnato l’opera di grandi intellettuali come Roland Barthes e Pier Paolo Pasolini. I loro articoli, le loro prese di posizione dalle colonne dei giornali, suscitavano accesi dibattiti, scuotevano le coscienze. Oggi, purtroppo, viviamo in un mondo “Telestupefatto”. Esiste solo un presente dilatato: quello televisivo. Gli intellettuali sono ormai relegati alla mera sottoscrizione di appelli. Chiamati ad apporre firme in calce ai manifesti di denuncia. Esprimere testimonianze di solidarietà. Le voci degli scrittori, sono oggi sopraffatte dal chiasso degli studi televisivi. Urlano, si accapigliano. Come ammoniva George Orwell, siamo alla mercè di “Ocoparlanti”, le cui labbra non hanno alcun rapporto con il cervello. Stravolgono impudentemente il significato delle parole. Inorridiamo al cospetto dei loro slogan. Continue menzogne che hanno degradato moralmente le immense masse di telestupefatti, quelli che popolano ormai questa povera Italia. La passione civile dunque, è stata una costante nella vita e
nell’opera di Sciascia. Utilizzò il rovesciamento di genere. Quello legato all’utilizzo del genere letterario del giallo. Un artificio narrativo che gli consentì di descrivere, di annunciare in anticipo la tragedia attuale. Una sorta di profezia letteraria sciasciana che, con lucida e spietata razionalità, annunciava le tragedie nazionali come quella del martirio di Aldo Moro. Anticipazioni che divennero tragica consapevolezza nel corso del suo impegno politico in Parlamento”.

Le prese di posizione, i libri di Sciascia scatenarono aspre polemiche.
“Si trattò quasi sempre di polemiche pretestuose. Polemiche che lo ferirono molto. Soprattutto quell’ultima legata all’articolo ed al titolo del “Corriere della Sera”. L’articolo sui professionisti dell’antimafia. Come sappiamo, Sciascia ebbe successivamente modo di chiarirsi con il giudice Borsellino. La sua presa di posizione, anche se dura, muoveva da un suo fermo convincimento.
Quello che le regole vanno sempre rispettate. Le regole non vanno sovvertite, in nessun modo. Nemmeno quando questo dovesse rendersi indispensabile, utile. Ricordo ancora che a Milano imbastirono una sorta di tetro processo in contumacia con il quale condannarono Sciascia. Un processo istruito da personaggi noti che pronunciarono frasi ingiuriose e scrissero pagine indegne. Purtroppo si deve avere la consapevolezza che, se si è critici contro il potere, contro ogni forma e variante di potere, si è espulsi, relegati ai margini. L’Italia che si troverebbe di fronte oggi Leonardo Sciascia, è un Italia raccapricciante, disperante. In verità, lo stesso raccapriccio suscita questo variegato mondo della Sinistra. Questa opposizione varietà, debole. Un’ombra di opposizione. Un’impunità di contrasto che farebbe indignare Sciascia, come fa indignare ogni spirito libero”.
DA REPUBBLICA
Concetto Prestifilippo