giovedì 6 gennaio 2011

Corriere: Le primarie fanno male al Pd

Le primarie fanno male al Pd
RISCHI E STRANEZZE DI UNA SCELTA
Le elezioni primarie sono una invenzione americana. E negli Stati Uniti servono specialmente (ma non soltanto) per selezionare i candidati alla presidenza del Paese. In Italia sono state, invece, una invenzione di Prodi e del suo fido Parisi. Dico invenzione e non importazione perché le primarie prodiane non erano una vera contesa, una vera gara; erano piuttosto un modo per rafforzare e legittimare un candidato che era un leader senza partito, che non aveva il sostegno di un suo partito.
Negli Stati Uniti esistono molte varietà di primarie, alcune «aperte» a tutti, altre «chiuse», e cioè riservate agli iscritti o a chi si dichiara tale. Ma non mi addentro in questa casistica, che è varia, cangiante e complessa. Il punto è che dopo il fallimento del progetto prodiano le primarie, quelle vere, sono state adottate dalla sinistra.
È una buona idea? In linea di principio, sì. Perché non c'è dubbio che le primarie sono uno strumento e un «aumento di democrazia» molto più efficace del voto di preferenza. Sono le primarie, ben più che le preferenze, a dare voce e peso effettivo all'elettorato nella scelta dei candidati. Inoltre la sinistra italiana soffre oggi di mancanza di idee, di nuove «idee di sinistra». E le primarie diventano una idea di sinistra, visto che Berlusconi ha una concezione padronale del suo partito, e visto, quindi, che per lui le primarie sono inaccettabili.
Ciò detto, non è detto che le primarie funzionino sempre come dovrebbero. Un primo rischio è che le primarie «estremizzino» la scelta dei candidati. È così, o può essere così, perché chi va a votare nelle primarie è di solito più coinvolto nella politica, e quindi più «intenso», più appassionato dell'elettore medio, dell'elettore normale. In tal caso il candidato scelto dalle primarie è un candidato sbagliato, un candidato perdente. Se, per esempio, Vendola trionfasse nelle primarie della sinistra, la mia previsione è che per il Pd sarebbe una catastrofe.
Un secondo rischio è che le primarie producano, all'interno del partito che le adotta, un forte frazionismo. Per vincere nelle primarie i pretendenti debbono avere una propria organizzazione elettorale interna. La prima volta, o per un paio di volte, le primarie possono essere salutari: immettono aria fresca, svecchiano un partito troppo ingessato e intorpidito. Ma poi la frammentazione in correnti, oggi variamente travestite da «fondazioni», centri studio e simili, diventa inevitabile. Negli Stati Uniti non è così perché lì i partiti sono deboli, non scelgono i candidati ma, piuttosto, sono scelti dai candidati. Inoltre negli Stati Uniti i soldi (elettorali) saltano il partito e vanno direttamente a chi scende in campo. In Italia, invece, i soldi per i partiti vanno ai partiti. E questa differenza fa molta differenza.
Infine, una stranezza (forse). A lume di logica i partiti con primarie dovrebbero piacere agli elettori più dei partiti senza primarie. Ma in Italia non è così. Agli elettori di Berlusconi sembra (dai sondaggi) che delle primarie non importi un fico.




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Agostino con il cellulare. Arai