CONVEGNO DIOCESANO:” DOPO VERONA:LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA E LA SFIDA EDUCATIVA”CONVEGNO ECCLESIALE DIOCESANO 26-28 Settembre 2007
RELAZIONE CONCLUSIVA
EDUCARE ALLA FEDE E ALLA TESTIMONIANZA CRISTIANA
Il nostro Convegno, programmato dopo aver sentito gli organismi diocesani di partecipazione ecclesiale, vuole aiutarci a dare un contributo alla emergenza educativa che coinvolge tutti.
In questi tre pomeriggi la nostra Chiesa diocesana si è riunita in convegno, per avviare l’anno pastorale alla luce di un impegno comune che vede nella questione antropologica e nella sfida educativa una priorità pastorale.
Le riflessioni di S.E. Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino, e il prof. Antonio Bellingreri, ordinario di Pedagogia Generale dell’Università di Palermo e dell’Università Kore di Enna, si hanno offerto punti stimolanti di riflessione.
1. La questione dell’uomo e della verità
Il tema della relazione di oggi “ Educare alla fede e alla testimonianza”, che si pone in continuità con il Convegno di Verona e con il discorso di Benedetto XVI al Convegno pastorale della diocesi di Roma l’11 giugno scorso , è un tema che ci riguarda ognuno di noi chiamato a crescere nell’adesione a Gesù Cristo, incontrato all’interno della comunità ecclesiale.
Educare alla fede vuol dire aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo attraverso Gesù Cristo con il Padre.
La Chiesa tempio dello Spirito Santo, è quella compagnia affidabile nella quale siamo generati ed educati per diventare, in Cristo, figli ed eredi di Dio.
L’importanza del tema dell’educazione, in riferimento alle sfide e alle prospettive poste dalla modernità e dal trapasso culturale in atto, è crescente.
Ci dobbiamo chiedere: la fede cristiana ha un futuro nella nostra società? I nostri giovani potranno ancora dirsi cristiani?
Ci si dobbiamo interrogare con fiducia, con sforzo creativo e lungimirante verso quale futuro vogliamo andare, quale dovrà essere la società di domani ma anche di oggi.
Non ci può essere un futuro aperto alla speranza se l’educazione non sarà rimessa al centro dell’interesse e delle preoccupazioni delle persone, delle famiglie, della Chiesa e di tutta la società civile e quindi dello Stato stesso.
“L’educazione, in quanto trasmissione della cultura di un popolo da una generazione all’altra, consiste nel rendere partecipi le nuove generazioni di ciò che sta alla radice della vita comune, vale a dire del senso profondo e ultimo del vivere, così come si trova inscritto nelle forme di vita personali e sociali della generazione adulta.”(Ruini)
La Nota della CEI attribuisce un rilievo particolare all’educare, parlandone con un linguaggio propositivo e costruttivo, è attenta all’esperienza di vita dei destinatari, ne individua il criterio di fondo da seguire nella centralità della persona incontrata dentro una tradizione, resa viva dall’appartenenza ad una famiglia e ad una comunità.
La sfida educativa tocca ogni ambito del vissuto umano e si serve di molteplici strumenti e opportunità, a cominciare dai mezzi della comunicazione sociale, dalle possibilità offerte dalla religiosità popolare, dai pellegrinaggi e dal patrimonio artistico.
1. Sfida educativa e questione antropologica a partire dal Convegno di Verona
L’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo presuppone una concezione integrale dell’uomo da trasmettere di generazione in generazione.
La sfida educativa è legata alla questione antropologica “: non si può educare se non alla luce di un progetto di persona e di società” (Mons. Giuseppe Betori, 1° Incontro nazionale delle aggregazioni laicali e dei soggetti operanti nel campo dell’educazione e della scuola – Roma 11-13 maggio 2007).
Su questo versante la Chiesa italiana, nel IV Convegno Ecclesiale nazionale tenutosi a Verona, ha ritenuto centrale la questione antropologica e l’assunzione della sfida educativa che ne consegue.
Problemi quali la definizione dell’essere umano, della persona, delle sue relazioni, delle sue aspirazioni profonde, hanno necessariamente un’essenziale dimensione educativa, al punto che il Papa Benedetto XVI ha definito l’educazione una “questione fondamentale e decisiva”.
Nella Nota pastorale dopo il IV Convegno Ecclesiale Nazionale “Rigenerati per una speranza viva (1 Pt 1,3): Testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo” gli stessi Vescovi italiani abbiamo scritto: Siamo provocati a recuperare e riproporre l’autentica unicità e grandezza della persona umana, segnata dal peccato ma non irrimediabilmente compromessa nel suo tendere a orizzonti definitivi di vita, di libertà, di amore e di gioia”(n.15).
L’impegno profuso in questa direzione deve continuare, per contrastare i tentativi volti a ridurre l’uomo a semplice prodotto della natura, mortificandone la dignità e la costitutiva vocazione alla trascendenza nel campo della cultura, delle scienze e della tecnologia, dell’etica e del diritto”
Il Convegno ecclesiale di Verona parlando dell’emergenza educativa, ha sottolineato la necessità cioè di riprogettare percorsi, itinerari e metodi formativi che interessino trasversalmente tutti gli ambiti della vita privata e collettiva con particolare riferimento ai compiti delle diverse agenzie educative.
Dal Convegno di Verona in tutti gli ambiti è risuonato in tutti gli ambiti un appello che, , “ci spinge ad un rinnovato protagonismo in questo campo: ci è chiesto un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e più significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti. La formazione, a partire dalla famiglia, deve essere in grado di dare significato alle esperienze quotidiane, interpretando la domanda di senso che alberga nella coscienza di molti. Nello stesso tempo, le persone devono essere aiutate a leggere la loro esistenza alla luce del Vangelo, così che trovi risposta il desiderio di quanti chiedono di essere accompagnati a vivere la fede come cammino di sequela del Signore Gesù, segnato da una relazione creativa tra la Parola di Dio e la vita di ogni giorno” Questo è scritto al n. 17 della Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale Nazionale di Verona .
Nello stesso documento al n. 15 è detto: “La “questione antropologica”, ,si inserisce nella più ampia “questione della verità”, con cui tutti – credenti o meno – devono confrontarsi. “Il diffondersi della sfiducia verso la capacità dello spirito umano di raggiungere una verità non puramente soggettiva e provvisoria, bensì oggettiva e impegnativa, genera non raramente la messa in questione dell’esistenza stessa di tale verità, con la conseguenza di ritenere assurda ogni posizione, a cominciare da quella cristiana, che indichi la via per guadagnarla e ne prospetti le prerogative e le esigenze.
È quanto mai necessario, quindi, saper mostrare lo stretto legame esistente tra verità e libertà e come la coscienza umana non esca mortificata, ma anzi arricchita, dal confronto con la verità cui la fede ci fa rivolgere.”
La libertà non è mera possibilità di scelta, ma adesione critica a un’ipotesi di senso sperimentata a partire dalla propria esperienza come un valore. Da questo punto di vista l’autorità non è più in conflitto con la libertà, ma è anzi una precondizione di questa in quanto indica e propone una via da seguire.
La tradizione non è mai una trasmissione di valori o di nozioni astratte, bensì una testimonianza, quasi per pressione osmotica da persona a persona, tra un uomo che stia già sperimentando la pertinenza alla vita di quell’ipotesi di senso e un altro uomo che lo segue. E chi può aiutare a “crescere” (augere) in questa trasmissione è una reale auctoritas. Il nesso della persona autorevole – dell’“autorità” – con colui al quale egli si propone è un rapporto educativo. L’autorità del testimone non è dunque un fattore estrinseco rispetto a chi lo segue, ma costituisce il fattore che c’entra più intimamente con la mia stessa coscienza, in quanto è richiamo continuo all’io ad affrontare tutto alla luce di quel significato offerto.
2. L’emergenza educativa nel nostro tempo.
L’opera educativa incontra oggi, in un clima dominato dal relativismo nichilista, una serie di difficoltà che coinvolgono la famiglia, la scuola, la Chiesa e ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi.
La nostra è società non solida ma “liquida”, non monocentrica ma policentrica, non statica a dinamica. Viviamo in un villaggio globale con una miriade di aeropaghi e in una megalopoli virtuale dove esiste una folla solitaria che comunica attraverso i blog e i siti internet che costituiscono quello che ormai viene definito il sesto potere. Un attento discernimento sui valori autenticamente umani e cristiani della società di oggi costringe a concludere che in realtà stiamo sperimentando da alcuni decenni quella che dal card. Caffarra è stata definita una vera ‘catastrofe educativa’, senza più punti di riferimento inequivocabili, che mette tutti in crisi esistenziale e di identità.
La inquieta stagione della tarda modernità in cui viviamo vede l’educazione in una situazione di accentuata problematicità.
Le istituzioni educative diventano un affollato crocevia, in cui si incontrano e si scontrano concezioni e prospettive diverse, dove i compiti educativi stentano ad assumere profilo convincente per tutti e dove non sono valorizzati adeguatamente i patrimoni etici e religiosi provenienti dalla tradizione.
Il nostro tempo d’altra parte registra una serie di attenzioni al problema educativo con una serie di discipline che ci occupano di esso e con l’ampliamento dei limti cronologici e spaziali. Si parla di educazione permanente, scolarizzazione diffusa, specializzazioni sempre più articolate.
In una società che non è più caratterizzata dal riconoscimento di valori comuni, si attenuta la capacità educativa della famiglia e la scuola è ridotta a punto confuso di incontro e di scontro di pluralismi dispersi e di anonimato culturale.
Di fronte al ‘politeismo dei valori’, la mentalità corrente limita la linea di confine alla tolleranza. Di fatto, questa è ben lontana dal rispetto per l’altro e per le sue legittime scelte; genera, piuttosto, disimpegno e qualunquismo culturale e diventa terreno di coltura di pretese libertà, che mortificano l’uomo e la vita. Fino a rovesciarsi, inesorabilmente, nel suo contrario: “...l’individuo completamente tollerante è ipso facto un individuo per il quale nulla è vero, e in ultima analisi, forse, un individuo che non è nulla. È questo il terreno da cui spuntano i fanatici” (P.L. BERGER, Una gloria remota, Bologna 1994, 73).
In questa società, gli uomini si associano necessariamente soltanto in quanto portatori di bisogni, in quanto produttori e consumatori.
Con acuta espressione, un sociologo italiano presenta la fisionomia del giovane d’oggi (quelli, almeno – e sono legione – che abitano l’universo dei suoni e delle immagini) come homo sentiens e la tipizza come segue:
«L’Homo sentiens non legge o legge poco e male, interrompendo la lettura ad ogni pretesto, divagando. Leggere è un’operazione troppo intellettuale, troppo cartesiana per il suo gusto. Esige un minimo di concentrazione sulla pagina. Una parola dopo l’altra, una riga dietro l’altra. Che noia. Non regge. Proprio non ce la fa... È una costruzione troppo elaborata per l’Homo sentiens, che è portato a immaginare,
non a sillogizzare. Non ha orecchio né per i pronomi relativi né per i verbi al congiuntivo. Ignora, naturalmente, la consecutio temporum. Non legge, ma vede e ascolta. Non ragiona, intuisce. La sintesi di un’immagine l’attrae con le sue contrazioni fulminanti mentre è debole nell’analisi. L’annoia. Gli editori, su scala mondiale, si vanno prontamente adeguando e sfornano tonnellate di libri in cassetta.
L’Homo sentiens vive in gruppo. Aspetta dall’esterno, dal gruppo dei pari i segnali per comportarsi, agire e reagire. Possiede certamente una sua identità, ma questa si profila appannata. È una identità mobile e labile...» (F. FERRAROTTI, Homo sentiens, Napoli 1995, 115.).
Tutto ciò che completa la vita umana – cultura, religione, tradizione, nazione, morale – è escluso dai rapporti sociali e lasciato alla libertà individuale di ciascuno. In questo quadro, la religione, non ha più a che vedere con le finalità principali della società, e viene estromessa dalla progettualità educativa.
Spesso l'educazione finisce per essere solo "istruzioni per l'uso", come usare della vita, senza farsi troppo male, come se bastasse questo per essere felici. Si danno ai giovani delle ricette per farsi male il meno possibile: fai sesso come e quanto ti pare, ma usa il preservativo; rincretinisci quanto vuoi in una discoteca, ma prima di prendere la macchina aspetta un attimo, così non vai a sbattere; non bere troppo, che ti fa male; è meglio se non ti fai, perché “la droga ti spegne”, ma se proprio ti devi fare, almeno usa una siringa nuova, e via dicendo…
Se prima si poteva parlare di gioventù “bruciata” da tante esperienze più o meno ideologiche oggi mi sembra che tanti giovani siano “spenti” , senza radici, senza capacità di porre domande radicali, senza slancio, senza impegno, disorientati, qualunquisti, robot specializzati nell’uso del computer , del telefonino e dei videogiochi , ma incapaci di porsi domande sul perché di quello che fanno e di quello che sono.
Questa situazione della tarda modernità lancia alle comunità cristiane una sfida e rappresenta anche una occasione storica.
Ha detto Benedetto XVI nel discorso del giugno scorso alla Chiesa di Roma:”
“L’esperienza quotidiana ci dice – e lo sappiamo tutti - che educare alla fede proprio oggi non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento.
(…)Possiamo aggiungere che si tratta di un’emergenza inevitabile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo - il relativismo è diventato una sorta di dogma -, in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità, lo si considera “autoritario”, e si finisce per dubitare della bontà della vita – è bene essere uomo? è bene vivere? - e della validità dei rapporti e degli impegni che costituiscono la vita.
Come sarebbe possibile, allora, proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’umana esistenza, sia come persone sia come comunità?
Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere.
Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. Ma proprio così non offriamo ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita”.
3. La Chiesa Madre e Maestra come comunità educante
Di fronte a questa situazione la Chiesa è chiamata a riscoprire il suo ruolo di
Madre e di maestra e quindi di comunità educante che riscopra la sua capacità educativa soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. La Chiesa in tutte le sue articolazioni, quali la famiglia, la parrocchia, i gruppi, i movimenti, le associazioni, deve aiutare i giovani ad accompagnarli quotidianamente nell'esperienza dell’incontro e della sequela di Cristo come sola risposta alla domanda di senso.
Questo richiede che ci siano persone che hanno una cultura nata dalla fede e proprio per questo sono capaci di educare e di portare i giovani e gli adulti a un confronto critico e sistematico con le altre culture.
Il santo Padre Benedetto XVI nel discorso alla diocesi di Roma dice:
“Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole, lo chiede la società nel suo complesso, in Italia come in molte altre nazioni, perché vede messe in dubbio dalla crisi dell’educazione le basi stesse della convivenza. In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano “odio di sé” che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà.
Tutto questo non diminuisce però le difficoltà che incontriamo nel condurre i fanciulli, gli adolescenti e i giovani ad incontrare Gesù Cristo e a stabilire con Lui un rapporto duraturo e profondo. Eppure proprio questa è la sfida decisiva per il futuro della fede, della Chiesa e del cristianesimo ed è quindi una priorità essenziale del nostro lavoro pastorale: avvicinare a Cristo e al Padre la nuova generazione, che vive in un mondo per gran parte lontano da Dio”.
Di fronte a questa sfida il santo padre da alcune indicazioni di metodo.
Innanzitutto sottolinea che “dobbiamo sempre essere consapevoli che una simile opera non può essere realizzata con le nostre forze, ma soltanto con la potenza dello Spirito. Sono necessarie la luce e la grazia che vengono da Dio e agiscono nell’intimo dei cuori e delle coscienze. Per l’educazione e formazione cristiana, dunque, è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui. Perciò le nostre comunità potranno lavorare con frutto ed educare alla fede e alla sequela di Cristo essendo esse stesse autentiche “scuole” di preghiera (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 33), nelle quali si vive il primato di Dio”.
La seconda indicazione è la condivizione, l’empatia animata dalla carità.
“L’educazione cristiana, l’educazione cioè a plasmare la propria vita secondo il modello del Dio che è amore (cfr 1Gv 4,8.16), ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell’amore. Soprattutto oggi, quando l’isolamento e la solitudine sono una condizione diffusa, alla quale non pongono un reale rimedio il rumore e il conformismo di gruppo, diventa decisivo l’accompagnamento personale, che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso ed accolto. In concreto, questo accompagnamento deve far toccare con mano che la nostra fede non è qualcosa del passato, che essa può essere vissuta oggi e che vivendola troviamo realmente il nostro bene. Così i ragazzi e i giovani possono essere aiutati a liberarsi da pregiudizi diffusi e possono rendersi conto che il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga il più ragionevole. L’intera comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni e componenti, è chiamata in causa dal grande compito di condurre le nuove generazioni all’incontro con Cristo: su questo terreno, pertanto, deve esprimersi e manifestarsi con particolare evidenza la nostra comunione con il Signore e tra noi, la nostra disponibilità e prontezza a lavorare insieme, a “fare rete”, a realizzare con animo aperto e sincero ogni utile sinergia, cominciando dal contributo prezioso di quelle donne e di quegli uomini che hanno consacrato la propria vita all’adorazione di Dio e all’intercessione per i fratelli”
In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare ad una fede consapevole e libera e alla testimonianza coraggiosa del Signore Gesù assume un valore importante per far uscire la nostra società dalla crisi educativa che la affligge.
Bisogna allora impostare una “pastorale dell’educazione” passando dai valori teologici alla prassi quotidiana che diventi pedagogia pastorale.
Benedetto XVI dice che bisogna sviluppare la “pastorale dell’intelligenza” che implica una testimonianza cristiana credibile:
“ Il lavoro educativo passa attraverso la libertà, ma ha anche bisogno di autorevolezza. Perciò, specialmente quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza. Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l’affidabile bontà. L’autentico educatore cristiano è dunque un testimone che trova il proprio modello in Gesù Cristo, il testimone del Padre che non diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato (cfr Gv 8,28). Questo rapporto con Cristo e con il Padre è per ciascuno di noi, cari fratelli e sorelle, la condizione fondamentale per essere efficaci educatori alla fede.
(…) La testimonianza attiva da rendere a Cristo non riguarda dunque soltanto i sacerdoti, le religiose, i laici che hanno nelle nostre comunità compiti di formatori, ma gli stessi ragazzi e giovani e tutti coloro che vengono educati alla fede. La consapevolezza di essere chiamati a diventare testimoni di Cristo non è pertanto qualcosa che si aggiunge dopo, una conseguenza in qualche modo esterna alla formazione cristiana, come purtroppo spesso si è pensato e anche oggi si continua a pensare, ma al contrario è una dimensione intrinseca ed essenziale dell’educazione alla fede e alla sequela, così come la Chiesa è missionaria per sua stessa natura (cfr Ad gentes, 2). Fin dall’inizio della formazione dei fanciulli, per arrivare, con un cammino progressivo, alla formazione permanente dei cristiani adulti, bisogna quindi che mettano radici nell’animo dei credenti la volontà e la convinzione di essere partecipi della vocazione missionaria della Chiesa, in tutte le situazioni e circostanze della propria vita: non possiamo infatti tenere per noi la gioia della fede, dobbiamo diffonderla e trasmetterla, e così rafforzarla anche nel nostro cuore. Se la fede realmente diviene gioia di aver trovato la verità e l’amore, è inevitabile provare desiderio di trasmetterla, di comunicarla agli altri. Passa di qui, in larga misura, quella nuova evangelizzazione a cui il nostro amato Papa Giovanni Paolo II ci ha chiamati. ”.
Continua i Papa Benedetto XVI :”Come ho detto al Convegno ecclesiale di Verona, “un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà” (Discorso del 19 ottobre 2006). Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse. Vogliono anche mostrare la loro generosità nella dedizione ai grandi valori che sono perenni e costituiscono il fondamento della vita.
Occorre maggiore attenzione e protagonismo da parte della chiesa nel campo dell’educazione.
La Chiesa deve rinnovare gli interessi formativi non solo per le fasce adolescenziali ma anche insistere nella formazione delle famiglie
I Vescovi al n. 17 della Nota nell’individuare i soggetti della sfida educativa , dicono che “L’impegno educativo della Chiesa italiana è ampio e multiforme: si avvale della crescente responsabilità di molte famiglie, della vasta rete delle parrocchie, dell’azione preziosa degli istituti religiosi e delle aggregazioni ecclesiali, dell’opera qualificata delle scuole cattoliche e delle altre istituzioni educative e culturali, dell’impegno profuso nella scuola dagli insegnanti di religione cattolica.
(…)Il tempo presente è straordinariamente favorevole a nuovi cammini di fede, che esprimano la ricchezza dell’azione dello Spirito e la possibilità di percorsi di santità. Tutto questo però potrà realizzarsi solo se le comunità cristiane sapranno accompagnare le persone, non accontentandosi di rivolgersi solo ai ragazzi e ai giovani, ma proponendosi più decisamente anche al mondo adulto, valorizzando nel dialogo la maturità, l’esperienza e la cultura di questa generazione. (…)
Per rendere maggiormente efficace questa azione, non va sottovalutata l’importanza di un migliore coordinamento dei soggetti educativi ecclesiali, le cui originalità potrebbero trovare un luogo di collegamento e valorizzazione in un forum nazionale delle realtà educative”.
4 L’educazione negli ambiti della vita quotidiana
Il compito educativo interessa in modo trasversale i vari ambiti dell’esperienza umana: dall’affettività alla cittadinanza, dalla catechesi alla scuola, dal lavoro e dal tempo libero ai mezzi della comunicazione di massa.
Al n. 12 della Nota della Cei si dice che “Il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio.
Abbiamo declinato pertanto la testimonianza della Chiesa secondo gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana. È così emerso il volto di una comunità che vuol essere sempre più capacedi intense relazioni umane, costruita intorno alla domenica, forte delle sue membra in apparenza più deboli, luogo di dialogo e d’incontro per le diverse generazioni, spazio in cui tutti hanno cittadinanza.
La scelta della vita come luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di
servizio costituisce un segnale incisivo in una stagione attratta dalle esperienze virtuali e propensa a privilegiare le emozioni sui legami interpersonali stabili.
Ne scaturisce un prezioso esercizio di progettualità, che desideriamo continui e si approfondisca ulteriormente. Si tratta di cinque concreti aspetti del “sì” di Dio all’uomo, del significato che il Vangelo indica per ogni momento dell’esistenza: nella sua costitutiva dimensione affettiva, nel rapporto con il tempo del lavoro e della festa, nell’esperienza della fragilità, nel cammino della tradizione, nella responsabilità e nella fraternità sociale”.
Nel Convegno di quest’anno abbiamo scelto cinque ambiti su cui ieri hanno lavorato i per i gruppi di lavoro , che cercherò di sintetizzare inserendo le analisi e le proposte nel contesto più vasto degli orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”.
4.1 . A proposito dell’educazione all’affettività la Nota della CEI dopo Loreto dice che “Comunicare il Vangelo dell’amore nella e attraverso l’esperienza umana degli affetti chiede di mostrare il volto materno della Chiesa, accompagnando la vita delle persone con una proposta che sappia presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore, reagendo al diffuso “analfabetismo affettivo” con percorsi formativi adeguati e una vita familiare ed ecclesiale fondata su relazioni profonde e curate.
La famiglia rappresenta il luogo fondamentale e privilegiato dell’esperienza affettiva. Di conseguenza, deve essere anche il soggetto centrale della vita ecclesiale, grembo vitale di educazione alla fede e cellula fondante e ineguagliabile della vita sociale.
Ciò richiede un’attenzione pastorale privilegiata per la sua formazione umana e spirituale, insieme al rispetto dei suoi tempi e delle sue esigenze. Siamo chiamati a rendere le comunità cristiane maggiormente capaci di curare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili, delle famiglie disgregate e di quelle forzatamente
separate a causa dell’emigrazione, prendendoci cura con tenerezza di ogni fragilità e nel contempo orientando su vie sicure i passi dell’uomo. Peraltro, la dimensione degli affetti non è esclusiva della famiglia e del cammino che a essa conduce; gli affetti innervano di sé ogni condizione umana e danno sapore amicale e spirituale a ogni relazione ecclesiale e sociale.
Il primo gruppo di lavoro si è occupato dell’educazione alla maturità relazionale e affettiva.
E’ stato premesso che dai principi pedagogici alla prassi educativa emerge una distanza che rende difficile il lavoro dell’educatore sia a livello familiare che a livello parrocchiale. La finalità perseguita all’interno del laboratorio dell’ambito affettività è stata quella di affinare un sentire educativo cristianamente orientato. I partecipanti sono stati stimolati a riflettere sulla “normalità” ferita dei giovani di oggi, sulle difficoltà di vivere esperienze affettive e relazionali autentiche e sane. L’affettività ferita sollecita la comprensione e l’ascolto di bisogni non facilmente decodificabili e la ricerca di forme di accostamento ai giovani fondati sull’incontro e sull’ascolto.
Rispetto alle linee guide da seguire per l’attività di laboratorio il gruppo :
Sono emerse delle difficoltà comuni:
· essere incapaci ad ascoltare il silenzio dei ragazzi ed andare oltre l’incomunicabilità che rappresenta la prima forma di accostamento del giovane all’adulto;
· chiusura dei giovani che non cercano l’aiuto degli adulti;
· rifiuto dei giovani ad accogliere le eventuali proposte di aiuto.
Emerge altresì:
· il bisogno degli educatori di conoscere strumenti pedagogici che facilitano la costruzione di rapporti educativi attraenti sotto il profilo della testimonianza alla vita cristiana;
· il bisogno di una ricerca pedagogica da realizzare nella comunità ecclesiale e parrocchiale trasversale ai diversi attori e ai gruppi di impegno;
· il bisogno di rendere la parrocchia un luogo di incontro dove, piuttosto che continuare ad adottare la pedagogia del no, dell’errore, del divieto, possano essere adottata una pedagogia del “permesso” .
· il bisogno nei sacerdoti ad agire comunitariamente accanto ai laici visto l’elevato carico numerico ed emotivo dei giovani che gravitano nelle parrocchie che richiedono attenzione e tempo;
· la solitudine nei giovani e nei bambini a causa della mancanza di cure genitoriali che spesso sono demandate ad altri;
· nei genitori l’esigenza di una genitorialità competente e il desiderio di svolgere con naturalezza il proprio mandato educativo caratterizzato dalle difficoltà dovute al “gap” generazionale. La visione presentata dai mass media di genitori “ideali” e “perfetti” e contesti matrimoniali senza difficoltà risulta fuorviante sia per i figli che per gli stessi coniugi.
Per educare alla maturità relazionale e affettiva i giovani bisogna condurli alla ricerca di percorsi con chiari obiettivi. Dentro la Chiesa significa condurre i giovani ad avere un progetto di vita, ad essere maturi in senso cristiano aperto alla vita, alle relazioni, alla consapevolezza di sé, autentici nel rapporto con gli altri, disponibili al servizio. Un cristiano è un uomo maturo affettivamente. Ecco perché gli obiettivi principali in parrocchia non devono perdere di vista prima di tutto la crescita nella fede.
Riguardo alle proposte, suggerimenti, impegni, itinerari, in riferimento a famiglia, scuola, chiesa :
E’ necessario ed auspicabile:
· Elaborare tra gli educatori una strategia caratterizzata da abilità comunicative capaci di dare senso alle nuove forme di linguaggio giovanile;
· Uscire dalle nostre parrocchie, oratori, ecc, per incontrare i giovani nei loro luoghi spontanei di aggregazione;
· Accettare che i giovani si pongano in antitesi rispetto alla proposta della Chiesa perché da questa antitesi possa nascere una prima forma di dialogo e di reciproca definizione;
· adottare una strategia caratterizzata non dai “divieti”, ma dai “permessi di vita”, capaci di attirare i giovani e di condurli verso una vita autenticamente fondata sull’esempio di Cristo;
· proporre scuole per i genitori tali da garantire la formazione permanente degli adulti. Il bisogno formativo del mondo adulto (religiosi compresi) può essere soddisfatto attraverso percorsi di formazione specifica alla genitorialità, al cammino di ricerca vocazionale, al cammino di preparazione alla vita di coppia e alla famiglia, al cammino di educazione socio-affettiva-sessuale; all’uso corretto delle nuove tecnologie (internet...);
· proporre percorsi anche per genitori e coniugi che provengono da famiglie disgregate, separate, divise;
· richiedere a tutti gli educatori un impegno ad agire secondo uno stile amorevole ed una alta congruenza di atteggiamenti personali e professionale.
· promuovere la crescita di educatori significativi ed empatici garantita da percorsi ed itinerari opportunamente progettati;
· attivare la formazione degli educatori basata sulla pedagogia del servizio. “Farsi piccoli con i piccoli”, è una proposta attuale e vincente nell’approccio con i ragazzi;
· diffondere negli ambienti educativi sussidi formativi e informativi curati da professionisti del settore;
· stimolare in ogni educatore a comprendere che il processo di crescita e autoformazione è in continuo divenire e quindi a sapersi mettere in discussione ed essere disponibile al cambiamento non identificandosi mai con il ruolo assunto.
4.2. Il secondo gruppo di lavoro si è occupato del tema “educare alla cittadinanza attiva e solidale”
Considerazioni generali
Al centro, è stata posta la cosiddetta “Questione antropologica” che in sé implica anche non solo una riflessione aggiornata sul nostro essere Chiesa, ma anche la nuova “Questione sociale”.
L’intreccio fra Chiesa e Società, è stato costante e senza nette linee di demarcazione il che ha lasciato intravedere un principio di unità e di totalità della persona lasciando sperare nel superamento della nota piaga della separatezza tra fede e vita.
Tutto questo, andrà incoraggiato e perseguito con iniziative opportune e innovative provenienti da un nostro “Progetto culturale diocesano” capace di mettere insieme tutte le risorse esistenti, per una pastorale globale e integrata attraverso la griglia dei cinque ambiti individuati in un’ottica di collaborazione, di condivisione diffusa e di vera corresponsabilità.
Si è messa in evidenza l’urgenza di ripensare il nostro essere Chiesa, di una riconversione aperta a tutte le sensibilità per esprimere una reale capacità di dialogo con tutti ad intra e ad extra di essa superando le comode barriere dell’autoreferenzialità e di forme di gestione della pastoralità accentratrici e talvolta escludenti anziché includenti. Cose che l’analisi spontanea che è emersa ha anche evidenziato come contrarie allo spirito di costante rinnovamento e di comunione ecclesiale diffusa.
La prima cittadinanza da conseguire per esprimere scelte educative illuminate sembra essere quella relativa al nostro vivere la Chiesa in tutte le sue dimensioni: parrocchiale, cittadina e diocesana.
Solo una fraternità effettiva, sperimentata ad intra, può essere riproposta nelle tante occasioni che la vita sociale offre sia nel pubblico che nel privato. Senza questa prima scuola di umanità, rivolta a tutti ma soprattutto ai nostri giovani, ogni sfida è per noi perdente: non avremmo da offrire il nostro specifico che è appunto l’unità, la fraternità, la comunione.
Poi, ma accanto a tutto questo, occorrono anche le competenze e queste vanno scoperte, suscitate, valorizzate e finalizzate a progetti e programmi pastorali all’interno di luoghi comuni di discernimento personale e comunitario.
Valido esempio di quanto si afferma, in ordine alle competenze, ne è il contributo consegnato da Vincenzo Di Natale su “ Government” e “Governance” che è stato allegato integralmente alla relazione.
Il gruppo di lavoro sulla Cittadinanza attiva e solidale, ha voluto, elencare, anche con molte e interessanti testimonianze ed esperienze, le possibili definizioni che sono inerenti con il concetto stesso di cittadinanza attiva.
Tra i termini quelli particolarmente rilevanti sono:
RESPONSABILITÀ, CONFRONTO, DIALOGO nella formazione alla cittadinanza socio politica e culturale. Riflessione sul fatto che tali elementi, seppure prioritari, sono gli stessi che spesso risultano carenti nella società civile;
PLURALITÀ come contenuto della cittadinanza; IDENTITÀ, SOLIDARIETÀ e STIMA, parole che assumono un senso che va oltre il concetto di semplice tolleranza;
PARTECIPAZIONE, DEMOCRATICITÀ, per sottolineare l’attualità della cittadinanza;
COOPERAZIONE, CONDIVISIONE, APPARTENENZA, nel senso di appartenere alla propria città, differenza che contraddice l’apparenza;
TESSUTO: il lavoro di rete come un tessuto da tessere, con tutta la lentezza e la fatica del suo costituirsi che dà ad esso ancora più valore!
Alcuni approcci per una educazione mirante alla cittadinanza attiva e solidale
In una società complessa e sempre in evoluzione è necessario parlare, a questo punto, di una governance della educazione per fornire ai discenti gli strumenti per affrontare queste complessità. Ma il primo strumento è la persona stessa.
Sta maturando nella nostra società la richiesta di educazione e si comincia a comprendere che una risposta adeguata non è collegata agli obbiettivi dell’apprendimento delle conoscenze, ma riguarda il senso stesso e la finalità dell’educazione. Per dare consistenza progettuale a questa diffusa consapevolezza è indispensabile evidenziare il punto centrale: imparare ad essere è il compito essenziale dell’educazione. Tale compito rimanda alla questione fondamentale, che è di natura antropologica. L’oggetto e il soggetto dell’educazione è l’uomo e l’educazione deve tendere a rendere l’uomo più uomo. L’educazione si configura come un itinerario di crescita che porta l’essere umano ad essere e diventare persona, quindi essenzialmente più se stesso, vivendo tutte le relazioni conformemente alla sua vera natura.
In questo senso l’educazione mira a formare persone nella loro globalità, capaci di vivere dignitosamente, di relazionarsi, di collocarsi da soggetti liberi e responsabili nella società. I giovani devono essere in grado di aprirsi progressivamente alla realtà e di formarsi a una sana e robusta concezione di vita. L’emergenza educativa nasce dal fatto che, nel contesto culturale post-moderno, la definizione dell’uomo come persona (e non solo come soggetto), fine, valore, libertà, interiorità, amore, qualitativamente e ontologicamente diverso dalla restante concatenazione naturale e animale, aperto agli altri e a Dio, sembra non avere la capacità di attrarre, di richiamare la coscienza dei singoli e della società in modo consapevole e, soprattutto, di essere il punto di partenza per le conseguenti mediazioni scientifiche, normative, educative, sul piano personale, sociale, istituzionale.
Inoltre, è importante rilevare che, quando si parla di cittadinanza attiva, non si può non parlare di cittadinanza europea, in quanto costruzione di una governance mondiale che mette al centro l’uomo e il rispetto dei criteri di giustizia sociale per la costruzione della pace. Non si può non citare il Trattato costituzionale che parla di diritti umani come elementi fondativi di un’educazione alla cittadinanza.
Tale assunto include due livelli che devono essere rispettati, soprattutto all’interno della scuola e dal mondo dell’istruzione e della formazione generalmente inteso:
– la conoscenza, il sapere, la cosiddetta educazione civica, che è conoscenza dell’Europa, delle sue Istituzioni e dei suoi spazi di partecipazione, della possibilità di poter partecipare;
– l’azione successiva, l’azione civica, rappresentata da tutte le realtà associative che operano nel mondo dell’educazione e del volontariato.
Una scuola che educa deve far conoscere le strutture e gli spazi di partecipazione europei, ma allo stesso tempo aprire le scuole al mondo dell’associazionismo per far conoscere ai giovani l’esistenza di questo movimento molto attivo che si muove ed opera. Tale consapevolezza darebbe sicuramente un valore diverso all’agire di ognuno, che non si sentirebbe quindi più solo, ma parte di un processo e di una relazione volti all’attenzione anche dell’altro.
Oltre all’aspetto europeo, acquista certamente importanza anche il contesto locale, il territorio a noi più vicino. Si avverte oggi la necessità di dare più spazio ai giovani nella cittadinanza locale, in quanto il gap tra la classe giovanile e quella dirigente cresce sempre di più. Bisogna prendere coscienza, inoltre, dell’esistenza di un mondo giovanile attivo e propositivo, valorizzarlo e dargli voce.
P r o p o s t e:
1. Costituzione di Laboratori permanenti di formazione culturale a supporto della maturazione di tutta la persona sul piano umano e spirituale, morale e sociale, comunitario e professionale;
2. Insegnare e diffondere la dottrina sociale della Chiesa, dai primi elementi della catechesi di base sino ai gradi più alti della formazione;
3. Itinerari di formazione politica economica, scientifica, artistica e tecnica – sulla base della dottrina sociale cattolica, sapendo che la politica è l’esercizio più elevato della carità, un “atto di carità del prossimo” come lo definì Pio XI –secondo ideali superiori, trascendenti, ispirati dal Vangelo. “Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diventa mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo ed al marxismo; l’arte decade nel meretricio” (Messaggio al Circolo di Cultura “Luigi Sturzo” – 1966);
4. Puntare alla formazione di una classe dirigente e di operatori con una cultura basata sulla dottrina sociale cattolica, con una seria formazione economica e giuridica e con una conoscenza della macchina amministrativa dello Stato e della sua burocrazia;
5. Educare a sentimenti di fraternità. In democrazia il problema dell’educazione è fondamentale per avere élite tratte da ogni classe e categoria, aperte a tutti, sempre rinnovate e portatrici di rinnovamenti;
6. La marginalità diventa la provocazione più immediata per i cristiani impegnati nella carità come scelta fondamentale del proprio agire. Allora l’attenzione agli ultimi per arrivare a tutti globalizzando la solidarietà con progetti di ampio respiro sul piano cittadino e diocesano nel superamento della spicciola azione caritativa parrocchiale, non escludendola tuttavia, per promuovere e organizzare “la carità sociale” attraverso le varie forme di partecipazione alla vita sociale e politica.
7. Visto l’accrescimento della presenza di immigrati nei nostri territori creare luoghi provvidenziali di raccordo tra l’Oriente e l’Occidente e d’incontro tra civiltà diverse a sfondo interreligioso. Dall’incontro tra le culture nasce “il seme di un’umanità riconciliata” diceva Giovanni Paolo II;
8. Promuovere e dare impulso a tutte le iniziative economiche del settore non profit, delle aziende di “economia di comunione” e di “economia relazionale” e a tutte le iniziative finanziarie a sostegno di nuove imprenditorialità a vocazione solidale.
9. Unanimemente, meno ritualità estranea alla vita da parte dei sacerdoti per avere più tempo di formare le persone nel rispetto della loro profonda vocazione ad essere nel mondo ma non del mondo, uomini integrali e meno clericali di quanto siano quelli che si ritengono impegnati.
4,3 Per quanto riguarda il compito educativo della scuola bisogna osservare che:
L’educazione è da sempre uno dei grandi campi di azione della missione salvifica della Chiesa; lo è, specificamente, in quella situazione caratteristica che è la scuola pur nel rispetto della sua sana laicità. Si è messo in evidenza come purtoppo la scuola statale oggi non sempre garantisce una prospettiva dentro un orizzonte di senso umano compiuto.
In una scuola pubblica fondata sull’autonomia e sull’apertura al territorio non è accettabile la tesi che considera la scuola mondo separato ed estraneo alla missione propria della comunità cristiana. La pastorale della scuola è dunque servizio alla salvezza dell’uomo; i cristiani rendono testimonianza esplicita a Cristo nella vita della scuola, mostrando come la fede in Lui arricchisce la vita dell’uomo in tutte le sue manifestazioni positive e la riscatta dai decadimenti che la insidiano, rendendola autenticamente umana.
Per una autentica opera educativa nella scuola si tratta di finalizzare la formazione personale, la responsabilità professionale, l’ impegno culturale e sociale degli insegnanti con l’attenzione rivolta al bene e agli interessi reali degli studenti.
L’educazione non può ridursi riduce a un insieme di procedure e di tecniche, ma si qualifica anzitutto come trasmissione testimoniale e argomentata di valori, entro il quadro di una elaborazione pedagogica umanistica.
Nel Convegno della Diocesi di Roma Benedetto XVI ha affermato:
“Anche le scuole statali, secondo forme e modi diversi, possono essere sostenute nel loro compito educativo dalla presenza di insegnanti credenti – in primo luogo, ma non esclusivamente, i docenti di religione cattolica – e di alunni cristianamente formati, oltre che dalla collaborazione di tante famiglie e della stessa comunità cristiana. La sana laicità della scuola, come delle altre istituzioni dello Stato, non implica infatti una chiusura alla Trascendenza e una falsa neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di un’autentica formazione della persona.”.
Il prevalere in base ad una discutibile idea della laicità della visione di pretesa neutralità della scuola , conduce di fatto a forme di socializzazione manipolatrice ad opera delle agenzie prevalenti sul piano emotivo-simbolico, con la conseguente creazione di personalità fragili e instabili.
Una corretta prospettiva pedagogica, al contrario, non si accontenta di una impostazione strumentale, ristretta entro il perimetro della ricerca dei mezzi; essa è chiamata a spaziare nel territorio più decisivo dei fini: non si occupa solo del ‘come’, ma anche del‘perché’; evadendo di fatto dalle strettoie che ne contrabbandano la
scientificità al prezzo di una presunta neutralità culturale e di una illusoria oggettività scientifica.
Dal gruppo di lavoro sono emerse le seguenti proposte:
- Occorre meglio coordinare i soggetti educativi ecclesiali attivando un Forum per il discernimento interassociativo sui temi dell’educazione e della scuola con l’apporto dei diversi soggetti operanti nella scuola(docenti, genitori, studenti).
- Occorre un raccordo tra la pastorale scolastica, giovanile, familiare, catechistica e quella dei problemi sociali e del lavoro per realizzare una rafforzata comunione per la missione.
-Occorre porre all’attenzione: la continuità dell’atto educativo fra fede, cultura e vita che superi la frammentazione e la divisione fra pubblico e privato, fra la comunità cristiana e le altre istituzioni educative presenti nel territorio.
- Occorre un sostegno ai compiti educativi della famiglia, alla responsabilità educativa primaria dei genitori dando continuità ai percorsi formativi delle parrocchie e delle altre agenzie del territorio.
- Occorre un maggior dialogo delle parrocchie con le scuole e gli insegnati di religione cattolica.
- Si suggerisce di formare in ogni scuola comunità d’istituto dove si incontrino docenti, alunni, personale direttivo e non docente genitori accomunati dalal setsas fede con la presenza degli IRC e di coinvolgere gruppi di volontari per il recupero dei ragazzo svantaggiati.
Occorre una conversione dell’intelligenza, della libertà, del cuore degli ’insegnanti per proporre progetti educativi ispirati ai valori cristiani.
Inoltre si mostra necessario:
• per le parrocchie dare attenzione e spazio (psicologico prima ancora che materiale) alla conoscenza della situazione scolastica sul territorio e prevedere la costituzione di idonei organismi pastorali, perché questa attenzione pastorale non rimanga circoscritta alla sensibilità di alcuni o a emergenze episodiche;
• per le famiglie fare oggetto di attenzione e di discernimento i libri di testo, alle linee di impostazione didattica dei docenti, la situazione degli ambienti (‘ecologia’ materiale, funzionale, morale) dove i ragazzi trascorrono tante ore della loro giornata;
Bisogna incoraggiare le associazioni dei genitori come luogo della solidarietà educativa e favorire la loro presenza attiva negli organismi collegiali della scuola;
- La scuola, inoltre, è luogo segnalato di pastorale giovanile. La scuola è uno dei luoghi privilegiati per questo incontro, dove la professionalità si esprime nella sua qualità di testimonianza della fede e ritrova freschezza. La giovinezza della fede, infatti, non ha età e mette in comunicazione vera persone di generazioni diverse, quando è posta con quella autenticità che i giovani amano e sempre apprezzano, anche quando sembrano non condividerne le convinzioni.
4.4. Tradizio: comunità ecclesiale, comunità educante
Educare alla tradizione per una comunità ecclesiale, rappresenta molto più che la trasmissione di nozioni relative alla fede e alla morale, dal momento che l’atto mediante cui si comunica la fede della Chiesa implica sempre un e-ducere (tirar fuori) dalla solitudine del peccato e della lontananza da Dio e dai fratelli, per condurre alla comunione con Dio e i fratelli. La tradizione dunque non si ‘insegna’ nel senso stretto del termine, ma si media; sarebbe meglio dire si passa di mano in mano, di bocca in bocca. (La Delfa)
Nella trasmissione del proprio patrimonio spirituale e culturale ogni generazione si misura con un compito di straordinaria importanza e delicatezza, che costituisce un vero e proprio esercizio di speranza. Alla famiglia deve essere riconosciuto il ruolo primario nella trasmissione dei valori fondamentali della vita e nell’educazione alla fede e all’amore, sollecitandola a svolgere il proprio compito e integrandolo nella comunità cristiana.
Il diffuso clima di sfiducia nei confronti dell’educazione rende ancor più necessaria e preziosa l’opera formativa che la comunità cristiana deve svolgere in tutte le sedi, ricorrendo in particolare alle scuole e alle istituzioni universitarie. In modo del tutto peculiare, poi, la parrocchia costituisce una palestra di educazione permanente alla fede e alla comunione, e perciò anche un ambito di confronto, assimilazione e trasformazione di linguaggi e comportamenti, in cui un ruolo decisivo va riconosciuto agli itinerari catechistici. In tale prospettiva, essa è chiamata a interagire con la ricca e variegata esperienza formativa delle associazioni, dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali.
Al lavoro della tradizione appartiene anche un’educazione a riconoscere la presenza della fede attraverso tutti i segni: le forme espressive dell’arte, della musica, della scienza, della letteratura, della creazione di forme nuove di civiltà, della stessa creatività sociale e politica, della testimonianza della carità.
Riguardo alla trasmissione della fede la situazione è drammatica. Alcune domande: Se e come trasmettiamo la fede? Abbiamo cognizione di cosa significa trasmettere la fede? Come trasmettere la fede in parrocchie disagiate, presenti in quartieri difficili, dove c’è delinquenza, dove ci sono altre religioni? Trasmettere la fede a quale uomo? Non c’è il rischio di censurare la globalità del messaggio cristiano fondato sul vangelo della Croce per renderlo più gradevole? La misura della proposta di “uomo” è quella di Cristo?
La sfida educativa consiste nel trasmettere la fede per formare un uomo nuovo ad immagine di Cristo. La persona al centro. Il come non ci deve far perdere di vista il contenuto: “quando non sappiamo cosa dire cerchiamo di dirlo meglio”.
Spesso non abbiamo una ragione di vita e ci culliamo in una traditio come una forza inerte. Invece dovremmo dare VITA a quello che crediamo. E allora dovremmo farla finita con il trasmettere “per sentito dire”, e questo a cominciare dalla famiglia, perché è in famiglia che si apprende, che si cresce. Non si può arrivare ai Sacramenti solo per fare una festa .
E’ emersa la proposta di un progetto di catechesi cittadina, a partire dal Battesimo, al fine di svolgere un lavoro univoco perché la diversificazione tra le parrocchie crea confusione e non dà segno di unità. Si auspica un risveglio dei compiti dei Consigli pastorali e del Coordinamento pastorale cittadino dai quali necessariamente passa ogni forma di programmazione in ordine alla pastorale parrocchiale e cittadina.
Occorre adattare ai tempi, ai ritmi, alle regole della società moderna ciò che è l’operato dei catechisti. Ciascun catechista dovrebbe essere capace di rendere la trasmissione della fede attraente.
Si propone di fare in alcuni casi ( anziani, gruppo famiglia , lavoratori , malati) catechesi alle famiglie presso la propria abitazione.
Si deve scardinare l’abitudine che si ha nella logica istituzionalizzata della catechesi come scuola che prevede l’interruzione a maggio per riprendere ad ottobre.. Interrompere è come togliere il pane quotidiano ai propri figli.
Si propone la conoscenza del territorio parrocchiale e l’educazione alla CARITA’ e alla VERITA’, facendo in modo che la Chiesa non abbia l’immagine di un padre avaro e di una madre sterile. Occorre essere testimoni gratuitamente, perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente dobbiamo dare.
Il linguaggio della traditio deve esser l’amore. La gente ha sete di verità e quindi della PAROLA.
Si sente l’esigenza di essere o avere operatori di pastorale più preparati. Importanza dell’empatia.
Per la Traditio della fede ai giovani è necessario metterci dalla loro parte.
- Attenzione agli anziani, specialmente i terminali: come evangelizzarli? E’ necessario pensare bene ai canali di trasmissione.
- Per la trasmissione della fede va recuperata la pietà popolare che va evangelizzata con pazienza e discernimento .
- Occorre insistere sulla famiglia : ci sono varie esperienze positive di coinvolgimento dei genitori e qualche frutto si comincia a raccogliere. E’ un percorso difficile, ma non impossibile.
A livello operativo non si possono dare regole per tutti. Ciò che funziona in una parrocchia può non funzionare in un’altra. La nostra fede non è costituita da regole morali da realizzare. Si deve recuperare un messaggio importante che la fede è una relazione. Se c’è una relazione viene custodita una norma.
Ciò che permane è il contenuto che si traduce nella santità e le ricadute che essa ha nella vita quotidiana come vita secondo lo Spirito..
4.5 Riguardo al quinto gruppo “oltre il groviglio delel notizie” che si è occupato dell’educazione in riferimento ai mass media
Oggi più che mai l'educatore o il diseducatore sovrano è l'ambiente con tutte le sue forme espressive a partire dai massmedia e dai nuovi virtuali genitori elettronici: la Tv , il computer, internet.
Ha detto il Santo Padre nel citato convegno delal Diocesi di Roma:”
“Oggi più che nel passato l’educazione e la formazione della persona sono influenzate da quei messaggi e da quel clima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad una mentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione, o meglio profanazione, del corpo e della sessualità. Perciò, proprio per quel grande “sì” che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio, non possiamo certo disinteressarci dell’orientamento complessivo della società a cui apparteniamo, delle tendenze che la animano e degli influssi positivi o negativi che essa esercita sulla formazione delle nuove generazioni.
Sul fronte della comunicazione, si devono registrare i notevoli passi compiuti negli anni recenti, ma anche la necessità che non si attenui l’impegno alla formazione. Resta obiettivo non trascurabile l’immettere nel circuito della comunicazione la voce della Chiesa, costruendo ponti di comprensione tra l’esperienza ecclesiale, nelle sue forme quotidiane e peculiari, e la mentalità corrente.
Il gruppo di lavoro ha osservato che sono tanti i campi in cui avviene la comunicazione tra cui alcuni specificamente ecclesiali come la liturgia, l’omelia, l’arte sacra. Il problema della comunicazione è quello di farsi capire dalle nuove generazioni e dalle altre culture. I cristiani siamo chiamati ad essere portatori di speranza e comunicatori di buone notizie .
L’esperienza della chiesa deve trovare spazio in una cultura dove la chiesa è una minoranza e dove predomina una cultura negativa
La chiesa si deve preoccupare di rivolgersi agli operatori della comunicazione, aprirsi alle nuove tecniche della comunicazione , riscoprire spazi culturali rimasti vuoti, creare esperienze positive nell’utilizzo die mass media e di formazione delle coscienze alla lettura critica dei messaggi provenienti dai mass media aiutando le persone a orientarsi nel groviglio di notizie.
Si propone:
- di valorizzare la categoria di comunicazione come strategia pastorale
- la realizzazione di musical per coinvolgere i giovani,
- L’ uso della videocatechesi
- L’organizzazione di cineforum con una lettura critica dei films
- Favorire esperienze di letture di un libro accompagnate da commento comunitario
- La valorizzazione del direttorio della comunicazioni sociali e della stampa e dei mezzi di comunicazione di ispirazione cristiana (il quotidiano Avvenire, l’agenzia SIR, il settimanale diocesano e le numerose altre testate cattoliche, il canale televisivo Sat2000 e il circuito radiofonico InBlu).
Conclusione
La dinamica educativa, che parte come trasmissione da una generazione all’altra, si rivela così, ad uno sguardo attento, come un bisogno strutturale della vita intera. Il compito dell’educazione è dunque una sfida e un impegno alla ragione e alla libertà non solo di chi viene educato ma anche e in primo luogo di chi educa. Nessuna analisi o tecnica “psico-pedagogica” potrà mai sostituirsi a quest’affascinante avventura della conoscenza e dell’affezione: non si tratta infatti di trasmettere valori o modelli di comportamento, ma di comunicare se stessi, e più precisamente un modo diverso di giudicare la realtà e un nuovo modo di coinvolgersi con essa. È importante riconoscere che la vera posta in gioco nel nostro rapporto con la tradizione, attraverso il rapporto con un testimone autorevole che ce la trasmette, è proprio un’educazione a giudicare tutto – giudizio è infatti il modo con cui noi riconosciamo ciò che c’è affermandone il senso – e ad amare la realtà, con quell’affezione che, prima di essere un sentimento emotivo, è l’adesione al reale che mi interpella.
Tutto quello che emerso in questo Convegno deve confluire in una pastorale "integrata" metta in campo tutte le energie di cui il popolo di Dio dispone, valorizzandole nella loro specificità e al tempo stesso facendole confluire entro progetti comuni, definiti e realizzati insieme" (CEI, Nota pastorale dopo Verona, n. 25).
Per questo motivo questo Convegno non è un punto di arrivo ma un punto di partenza.
Quanto è emerso da questo convegno sarà oggetto di studio e di programmazione da parte dei gruppi di lavoro con cui ci incontreremo il prossimo 18 ottobre, degli uffici diocesani il 24 ottobre, del consiglio presbiterale il 26 ottobre, del consiglio pastorale diocesano il 5 novembre.
Durante quest’anno continuerò la visita pastorale a livello cittadino. Mi auguro quindi che questi temi siano oggetto di riflessione e di verifica nelle singole parrocchie e nelle singole città .
Con i presbiteri il primo incontro sarà il prossimo 12 ottobre con la presenza di S.E. Mons. Luciano Monari Vescovo di Brescia e Vice Presidente della CEI che presenterà la Lettera ai sacerdoti italiani che ho consegnato personalmente ad ogni presbitero lo scorso tre luglio.
Ai presbiteri , presenti ed assenti, da cui dipende in buona parte la realizzazione delle istanze di questo convegno, vogliamo dedicare la preghiera conclusiva.
EDUCARE ALLA FEDE E ALLA TESTIMONIANZA CRISTIANA
Il nostro Convegno, programmato dopo aver sentito gli organismi diocesani di partecipazione ecclesiale, vuole aiutarci a dare un contributo alla emergenza educativa che coinvolge tutti.
In questi tre pomeriggi la nostra Chiesa diocesana si è riunita in convegno, per avviare l’anno pastorale alla luce di un impegno comune che vede nella questione antropologica e nella sfida educativa una priorità pastorale.
Le riflessioni di S.E. Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino, e il prof. Antonio Bellingreri, ordinario di Pedagogia Generale dell’Università di Palermo e dell’Università Kore di Enna, si hanno offerto punti stimolanti di riflessione.
1. La questione dell’uomo e della verità
Il tema della relazione di oggi “ Educare alla fede e alla testimonianza”, che si pone in continuità con il Convegno di Verona e con il discorso di Benedetto XVI al Convegno pastorale della diocesi di Roma l’11 giugno scorso , è un tema che ci riguarda ognuno di noi chiamato a crescere nell’adesione a Gesù Cristo, incontrato all’interno della comunità ecclesiale.
Educare alla fede vuol dire aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo attraverso Gesù Cristo con il Padre.
La Chiesa tempio dello Spirito Santo, è quella compagnia affidabile nella quale siamo generati ed educati per diventare, in Cristo, figli ed eredi di Dio.
L’importanza del tema dell’educazione, in riferimento alle sfide e alle prospettive poste dalla modernità e dal trapasso culturale in atto, è crescente.
Ci dobbiamo chiedere: la fede cristiana ha un futuro nella nostra società? I nostri giovani potranno ancora dirsi cristiani?
Ci si dobbiamo interrogare con fiducia, con sforzo creativo e lungimirante verso quale futuro vogliamo andare, quale dovrà essere la società di domani ma anche di oggi.
Non ci può essere un futuro aperto alla speranza se l’educazione non sarà rimessa al centro dell’interesse e delle preoccupazioni delle persone, delle famiglie, della Chiesa e di tutta la società civile e quindi dello Stato stesso.
“L’educazione, in quanto trasmissione della cultura di un popolo da una generazione all’altra, consiste nel rendere partecipi le nuove generazioni di ciò che sta alla radice della vita comune, vale a dire del senso profondo e ultimo del vivere, così come si trova inscritto nelle forme di vita personali e sociali della generazione adulta.”(Ruini)
La Nota della CEI attribuisce un rilievo particolare all’educare, parlandone con un linguaggio propositivo e costruttivo, è attenta all’esperienza di vita dei destinatari, ne individua il criterio di fondo da seguire nella centralità della persona incontrata dentro una tradizione, resa viva dall’appartenenza ad una famiglia e ad una comunità.
La sfida educativa tocca ogni ambito del vissuto umano e si serve di molteplici strumenti e opportunità, a cominciare dai mezzi della comunicazione sociale, dalle possibilità offerte dalla religiosità popolare, dai pellegrinaggi e dal patrimonio artistico.
1. Sfida educativa e questione antropologica a partire dal Convegno di Verona
L’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo presuppone una concezione integrale dell’uomo da trasmettere di generazione in generazione.
La sfida educativa è legata alla questione antropologica “: non si può educare se non alla luce di un progetto di persona e di società” (Mons. Giuseppe Betori, 1° Incontro nazionale delle aggregazioni laicali e dei soggetti operanti nel campo dell’educazione e della scuola – Roma 11-13 maggio 2007).
Su questo versante la Chiesa italiana, nel IV Convegno Ecclesiale nazionale tenutosi a Verona, ha ritenuto centrale la questione antropologica e l’assunzione della sfida educativa che ne consegue.
Problemi quali la definizione dell’essere umano, della persona, delle sue relazioni, delle sue aspirazioni profonde, hanno necessariamente un’essenziale dimensione educativa, al punto che il Papa Benedetto XVI ha definito l’educazione una “questione fondamentale e decisiva”.
Nella Nota pastorale dopo il IV Convegno Ecclesiale Nazionale “Rigenerati per una speranza viva (1 Pt 1,3): Testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo” gli stessi Vescovi italiani abbiamo scritto: Siamo provocati a recuperare e riproporre l’autentica unicità e grandezza della persona umana, segnata dal peccato ma non irrimediabilmente compromessa nel suo tendere a orizzonti definitivi di vita, di libertà, di amore e di gioia”(n.15).
L’impegno profuso in questa direzione deve continuare, per contrastare i tentativi volti a ridurre l’uomo a semplice prodotto della natura, mortificandone la dignità e la costitutiva vocazione alla trascendenza nel campo della cultura, delle scienze e della tecnologia, dell’etica e del diritto”
Il Convegno ecclesiale di Verona parlando dell’emergenza educativa, ha sottolineato la necessità cioè di riprogettare percorsi, itinerari e metodi formativi che interessino trasversalmente tutti gli ambiti della vita privata e collettiva con particolare riferimento ai compiti delle diverse agenzie educative.
Dal Convegno di Verona in tutti gli ambiti è risuonato in tutti gli ambiti un appello che, , “ci spinge ad un rinnovato protagonismo in questo campo: ci è chiesto un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e più significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti. La formazione, a partire dalla famiglia, deve essere in grado di dare significato alle esperienze quotidiane, interpretando la domanda di senso che alberga nella coscienza di molti. Nello stesso tempo, le persone devono essere aiutate a leggere la loro esistenza alla luce del Vangelo, così che trovi risposta il desiderio di quanti chiedono di essere accompagnati a vivere la fede come cammino di sequela del Signore Gesù, segnato da una relazione creativa tra la Parola di Dio e la vita di ogni giorno” Questo è scritto al n. 17 della Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale Nazionale di Verona .
Nello stesso documento al n. 15 è detto: “La “questione antropologica”, ,si inserisce nella più ampia “questione della verità”, con cui tutti – credenti o meno – devono confrontarsi. “Il diffondersi della sfiducia verso la capacità dello spirito umano di raggiungere una verità non puramente soggettiva e provvisoria, bensì oggettiva e impegnativa, genera non raramente la messa in questione dell’esistenza stessa di tale verità, con la conseguenza di ritenere assurda ogni posizione, a cominciare da quella cristiana, che indichi la via per guadagnarla e ne prospetti le prerogative e le esigenze.
È quanto mai necessario, quindi, saper mostrare lo stretto legame esistente tra verità e libertà e come la coscienza umana non esca mortificata, ma anzi arricchita, dal confronto con la verità cui la fede ci fa rivolgere.”
La libertà non è mera possibilità di scelta, ma adesione critica a un’ipotesi di senso sperimentata a partire dalla propria esperienza come un valore. Da questo punto di vista l’autorità non è più in conflitto con la libertà, ma è anzi una precondizione di questa in quanto indica e propone una via da seguire.
La tradizione non è mai una trasmissione di valori o di nozioni astratte, bensì una testimonianza, quasi per pressione osmotica da persona a persona, tra un uomo che stia già sperimentando la pertinenza alla vita di quell’ipotesi di senso e un altro uomo che lo segue. E chi può aiutare a “crescere” (augere) in questa trasmissione è una reale auctoritas. Il nesso della persona autorevole – dell’“autorità” – con colui al quale egli si propone è un rapporto educativo. L’autorità del testimone non è dunque un fattore estrinseco rispetto a chi lo segue, ma costituisce il fattore che c’entra più intimamente con la mia stessa coscienza, in quanto è richiamo continuo all’io ad affrontare tutto alla luce di quel significato offerto.
2. L’emergenza educativa nel nostro tempo.
L’opera educativa incontra oggi, in un clima dominato dal relativismo nichilista, una serie di difficoltà che coinvolgono la famiglia, la scuola, la Chiesa e ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi.
La nostra è società non solida ma “liquida”, non monocentrica ma policentrica, non statica a dinamica. Viviamo in un villaggio globale con una miriade di aeropaghi e in una megalopoli virtuale dove esiste una folla solitaria che comunica attraverso i blog e i siti internet che costituiscono quello che ormai viene definito il sesto potere. Un attento discernimento sui valori autenticamente umani e cristiani della società di oggi costringe a concludere che in realtà stiamo sperimentando da alcuni decenni quella che dal card. Caffarra è stata definita una vera ‘catastrofe educativa’, senza più punti di riferimento inequivocabili, che mette tutti in crisi esistenziale e di identità.
La inquieta stagione della tarda modernità in cui viviamo vede l’educazione in una situazione di accentuata problematicità.
Le istituzioni educative diventano un affollato crocevia, in cui si incontrano e si scontrano concezioni e prospettive diverse, dove i compiti educativi stentano ad assumere profilo convincente per tutti e dove non sono valorizzati adeguatamente i patrimoni etici e religiosi provenienti dalla tradizione.
Il nostro tempo d’altra parte registra una serie di attenzioni al problema educativo con una serie di discipline che ci occupano di esso e con l’ampliamento dei limti cronologici e spaziali. Si parla di educazione permanente, scolarizzazione diffusa, specializzazioni sempre più articolate.
In una società che non è più caratterizzata dal riconoscimento di valori comuni, si attenuta la capacità educativa della famiglia e la scuola è ridotta a punto confuso di incontro e di scontro di pluralismi dispersi e di anonimato culturale.
Di fronte al ‘politeismo dei valori’, la mentalità corrente limita la linea di confine alla tolleranza. Di fatto, questa è ben lontana dal rispetto per l’altro e per le sue legittime scelte; genera, piuttosto, disimpegno e qualunquismo culturale e diventa terreno di coltura di pretese libertà, che mortificano l’uomo e la vita. Fino a rovesciarsi, inesorabilmente, nel suo contrario: “...l’individuo completamente tollerante è ipso facto un individuo per il quale nulla è vero, e in ultima analisi, forse, un individuo che non è nulla. È questo il terreno da cui spuntano i fanatici” (P.L. BERGER, Una gloria remota, Bologna 1994, 73).
In questa società, gli uomini si associano necessariamente soltanto in quanto portatori di bisogni, in quanto produttori e consumatori.
Con acuta espressione, un sociologo italiano presenta la fisionomia del giovane d’oggi (quelli, almeno – e sono legione – che abitano l’universo dei suoni e delle immagini) come homo sentiens e la tipizza come segue:
«L’Homo sentiens non legge o legge poco e male, interrompendo la lettura ad ogni pretesto, divagando. Leggere è un’operazione troppo intellettuale, troppo cartesiana per il suo gusto. Esige un minimo di concentrazione sulla pagina. Una parola dopo l’altra, una riga dietro l’altra. Che noia. Non regge. Proprio non ce la fa... È una costruzione troppo elaborata per l’Homo sentiens, che è portato a immaginare,
non a sillogizzare. Non ha orecchio né per i pronomi relativi né per i verbi al congiuntivo. Ignora, naturalmente, la consecutio temporum. Non legge, ma vede e ascolta. Non ragiona, intuisce. La sintesi di un’immagine l’attrae con le sue contrazioni fulminanti mentre è debole nell’analisi. L’annoia. Gli editori, su scala mondiale, si vanno prontamente adeguando e sfornano tonnellate di libri in cassetta.
L’Homo sentiens vive in gruppo. Aspetta dall’esterno, dal gruppo dei pari i segnali per comportarsi, agire e reagire. Possiede certamente una sua identità, ma questa si profila appannata. È una identità mobile e labile...» (F. FERRAROTTI, Homo sentiens, Napoli 1995, 115.).
Tutto ciò che completa la vita umana – cultura, religione, tradizione, nazione, morale – è escluso dai rapporti sociali e lasciato alla libertà individuale di ciascuno. In questo quadro, la religione, non ha più a che vedere con le finalità principali della società, e viene estromessa dalla progettualità educativa.
Spesso l'educazione finisce per essere solo "istruzioni per l'uso", come usare della vita, senza farsi troppo male, come se bastasse questo per essere felici. Si danno ai giovani delle ricette per farsi male il meno possibile: fai sesso come e quanto ti pare, ma usa il preservativo; rincretinisci quanto vuoi in una discoteca, ma prima di prendere la macchina aspetta un attimo, così non vai a sbattere; non bere troppo, che ti fa male; è meglio se non ti fai, perché “la droga ti spegne”, ma se proprio ti devi fare, almeno usa una siringa nuova, e via dicendo…
Se prima si poteva parlare di gioventù “bruciata” da tante esperienze più o meno ideologiche oggi mi sembra che tanti giovani siano “spenti” , senza radici, senza capacità di porre domande radicali, senza slancio, senza impegno, disorientati, qualunquisti, robot specializzati nell’uso del computer , del telefonino e dei videogiochi , ma incapaci di porsi domande sul perché di quello che fanno e di quello che sono.
Questa situazione della tarda modernità lancia alle comunità cristiane una sfida e rappresenta anche una occasione storica.
Ha detto Benedetto XVI nel discorso del giugno scorso alla Chiesa di Roma:”
“L’esperienza quotidiana ci dice – e lo sappiamo tutti - che educare alla fede proprio oggi non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento.
(…)Possiamo aggiungere che si tratta di un’emergenza inevitabile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo - il relativismo è diventato una sorta di dogma -, in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità, lo si considera “autoritario”, e si finisce per dubitare della bontà della vita – è bene essere uomo? è bene vivere? - e della validità dei rapporti e degli impegni che costituiscono la vita.
Come sarebbe possibile, allora, proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’umana esistenza, sia come persone sia come comunità?
Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere.
Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. Ma proprio così non offriamo ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita”.
3. La Chiesa Madre e Maestra come comunità educante
Di fronte a questa situazione la Chiesa è chiamata a riscoprire il suo ruolo di
Madre e di maestra e quindi di comunità educante che riscopra la sua capacità educativa soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. La Chiesa in tutte le sue articolazioni, quali la famiglia, la parrocchia, i gruppi, i movimenti, le associazioni, deve aiutare i giovani ad accompagnarli quotidianamente nell'esperienza dell’incontro e della sequela di Cristo come sola risposta alla domanda di senso.
Questo richiede che ci siano persone che hanno una cultura nata dalla fede e proprio per questo sono capaci di educare e di portare i giovani e gli adulti a un confronto critico e sistematico con le altre culture.
Il santo Padre Benedetto XVI nel discorso alla diocesi di Roma dice:
“Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole, lo chiede la società nel suo complesso, in Italia come in molte altre nazioni, perché vede messe in dubbio dalla crisi dell’educazione le basi stesse della convivenza. In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano “odio di sé” che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà.
Tutto questo non diminuisce però le difficoltà che incontriamo nel condurre i fanciulli, gli adolescenti e i giovani ad incontrare Gesù Cristo e a stabilire con Lui un rapporto duraturo e profondo. Eppure proprio questa è la sfida decisiva per il futuro della fede, della Chiesa e del cristianesimo ed è quindi una priorità essenziale del nostro lavoro pastorale: avvicinare a Cristo e al Padre la nuova generazione, che vive in un mondo per gran parte lontano da Dio”.
Di fronte a questa sfida il santo padre da alcune indicazioni di metodo.
Innanzitutto sottolinea che “dobbiamo sempre essere consapevoli che una simile opera non può essere realizzata con le nostre forze, ma soltanto con la potenza dello Spirito. Sono necessarie la luce e la grazia che vengono da Dio e agiscono nell’intimo dei cuori e delle coscienze. Per l’educazione e formazione cristiana, dunque, è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui. Perciò le nostre comunità potranno lavorare con frutto ed educare alla fede e alla sequela di Cristo essendo esse stesse autentiche “scuole” di preghiera (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 33), nelle quali si vive il primato di Dio”.
La seconda indicazione è la condivizione, l’empatia animata dalla carità.
“L’educazione cristiana, l’educazione cioè a plasmare la propria vita secondo il modello del Dio che è amore (cfr 1Gv 4,8.16), ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell’amore. Soprattutto oggi, quando l’isolamento e la solitudine sono una condizione diffusa, alla quale non pongono un reale rimedio il rumore e il conformismo di gruppo, diventa decisivo l’accompagnamento personale, che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso ed accolto. In concreto, questo accompagnamento deve far toccare con mano che la nostra fede non è qualcosa del passato, che essa può essere vissuta oggi e che vivendola troviamo realmente il nostro bene. Così i ragazzi e i giovani possono essere aiutati a liberarsi da pregiudizi diffusi e possono rendersi conto che il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga il più ragionevole. L’intera comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni e componenti, è chiamata in causa dal grande compito di condurre le nuove generazioni all’incontro con Cristo: su questo terreno, pertanto, deve esprimersi e manifestarsi con particolare evidenza la nostra comunione con il Signore e tra noi, la nostra disponibilità e prontezza a lavorare insieme, a “fare rete”, a realizzare con animo aperto e sincero ogni utile sinergia, cominciando dal contributo prezioso di quelle donne e di quegli uomini che hanno consacrato la propria vita all’adorazione di Dio e all’intercessione per i fratelli”
In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare ad una fede consapevole e libera e alla testimonianza coraggiosa del Signore Gesù assume un valore importante per far uscire la nostra società dalla crisi educativa che la affligge.
Bisogna allora impostare una “pastorale dell’educazione” passando dai valori teologici alla prassi quotidiana che diventi pedagogia pastorale.
Benedetto XVI dice che bisogna sviluppare la “pastorale dell’intelligenza” che implica una testimonianza cristiana credibile:
“ Il lavoro educativo passa attraverso la libertà, ma ha anche bisogno di autorevolezza. Perciò, specialmente quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza. Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l’affidabile bontà. L’autentico educatore cristiano è dunque un testimone che trova il proprio modello in Gesù Cristo, il testimone del Padre che non diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato (cfr Gv 8,28). Questo rapporto con Cristo e con il Padre è per ciascuno di noi, cari fratelli e sorelle, la condizione fondamentale per essere efficaci educatori alla fede.
(…) La testimonianza attiva da rendere a Cristo non riguarda dunque soltanto i sacerdoti, le religiose, i laici che hanno nelle nostre comunità compiti di formatori, ma gli stessi ragazzi e giovani e tutti coloro che vengono educati alla fede. La consapevolezza di essere chiamati a diventare testimoni di Cristo non è pertanto qualcosa che si aggiunge dopo, una conseguenza in qualche modo esterna alla formazione cristiana, come purtroppo spesso si è pensato e anche oggi si continua a pensare, ma al contrario è una dimensione intrinseca ed essenziale dell’educazione alla fede e alla sequela, così come la Chiesa è missionaria per sua stessa natura (cfr Ad gentes, 2). Fin dall’inizio della formazione dei fanciulli, per arrivare, con un cammino progressivo, alla formazione permanente dei cristiani adulti, bisogna quindi che mettano radici nell’animo dei credenti la volontà e la convinzione di essere partecipi della vocazione missionaria della Chiesa, in tutte le situazioni e circostanze della propria vita: non possiamo infatti tenere per noi la gioia della fede, dobbiamo diffonderla e trasmetterla, e così rafforzarla anche nel nostro cuore. Se la fede realmente diviene gioia di aver trovato la verità e l’amore, è inevitabile provare desiderio di trasmetterla, di comunicarla agli altri. Passa di qui, in larga misura, quella nuova evangelizzazione a cui il nostro amato Papa Giovanni Paolo II ci ha chiamati. ”.
Continua i Papa Benedetto XVI :”Come ho detto al Convegno ecclesiale di Verona, “un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà” (Discorso del 19 ottobre 2006). Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse. Vogliono anche mostrare la loro generosità nella dedizione ai grandi valori che sono perenni e costituiscono il fondamento della vita.
Occorre maggiore attenzione e protagonismo da parte della chiesa nel campo dell’educazione.
La Chiesa deve rinnovare gli interessi formativi non solo per le fasce adolescenziali ma anche insistere nella formazione delle famiglie
I Vescovi al n. 17 della Nota nell’individuare i soggetti della sfida educativa , dicono che “L’impegno educativo della Chiesa italiana è ampio e multiforme: si avvale della crescente responsabilità di molte famiglie, della vasta rete delle parrocchie, dell’azione preziosa degli istituti religiosi e delle aggregazioni ecclesiali, dell’opera qualificata delle scuole cattoliche e delle altre istituzioni educative e culturali, dell’impegno profuso nella scuola dagli insegnanti di religione cattolica.
(…)Il tempo presente è straordinariamente favorevole a nuovi cammini di fede, che esprimano la ricchezza dell’azione dello Spirito e la possibilità di percorsi di santità. Tutto questo però potrà realizzarsi solo se le comunità cristiane sapranno accompagnare le persone, non accontentandosi di rivolgersi solo ai ragazzi e ai giovani, ma proponendosi più decisamente anche al mondo adulto, valorizzando nel dialogo la maturità, l’esperienza e la cultura di questa generazione. (…)
Per rendere maggiormente efficace questa azione, non va sottovalutata l’importanza di un migliore coordinamento dei soggetti educativi ecclesiali, le cui originalità potrebbero trovare un luogo di collegamento e valorizzazione in un forum nazionale delle realtà educative”.
4 L’educazione negli ambiti della vita quotidiana
Il compito educativo interessa in modo trasversale i vari ambiti dell’esperienza umana: dall’affettività alla cittadinanza, dalla catechesi alla scuola, dal lavoro e dal tempo libero ai mezzi della comunicazione di massa.
Al n. 12 della Nota della Cei si dice che “Il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio.
Abbiamo declinato pertanto la testimonianza della Chiesa secondo gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana. È così emerso il volto di una comunità che vuol essere sempre più capacedi intense relazioni umane, costruita intorno alla domenica, forte delle sue membra in apparenza più deboli, luogo di dialogo e d’incontro per le diverse generazioni, spazio in cui tutti hanno cittadinanza.
La scelta della vita come luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di
servizio costituisce un segnale incisivo in una stagione attratta dalle esperienze virtuali e propensa a privilegiare le emozioni sui legami interpersonali stabili.
Ne scaturisce un prezioso esercizio di progettualità, che desideriamo continui e si approfondisca ulteriormente. Si tratta di cinque concreti aspetti del “sì” di Dio all’uomo, del significato che il Vangelo indica per ogni momento dell’esistenza: nella sua costitutiva dimensione affettiva, nel rapporto con il tempo del lavoro e della festa, nell’esperienza della fragilità, nel cammino della tradizione, nella responsabilità e nella fraternità sociale”.
Nel Convegno di quest’anno abbiamo scelto cinque ambiti su cui ieri hanno lavorato i per i gruppi di lavoro , che cercherò di sintetizzare inserendo le analisi e le proposte nel contesto più vasto degli orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”.
4.1 . A proposito dell’educazione all’affettività la Nota della CEI dopo Loreto dice che “Comunicare il Vangelo dell’amore nella e attraverso l’esperienza umana degli affetti chiede di mostrare il volto materno della Chiesa, accompagnando la vita delle persone con una proposta che sappia presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore, reagendo al diffuso “analfabetismo affettivo” con percorsi formativi adeguati e una vita familiare ed ecclesiale fondata su relazioni profonde e curate.
La famiglia rappresenta il luogo fondamentale e privilegiato dell’esperienza affettiva. Di conseguenza, deve essere anche il soggetto centrale della vita ecclesiale, grembo vitale di educazione alla fede e cellula fondante e ineguagliabile della vita sociale.
Ciò richiede un’attenzione pastorale privilegiata per la sua formazione umana e spirituale, insieme al rispetto dei suoi tempi e delle sue esigenze. Siamo chiamati a rendere le comunità cristiane maggiormente capaci di curare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili, delle famiglie disgregate e di quelle forzatamente
separate a causa dell’emigrazione, prendendoci cura con tenerezza di ogni fragilità e nel contempo orientando su vie sicure i passi dell’uomo. Peraltro, la dimensione degli affetti non è esclusiva della famiglia e del cammino che a essa conduce; gli affetti innervano di sé ogni condizione umana e danno sapore amicale e spirituale a ogni relazione ecclesiale e sociale.
Il primo gruppo di lavoro si è occupato dell’educazione alla maturità relazionale e affettiva.
E’ stato premesso che dai principi pedagogici alla prassi educativa emerge una distanza che rende difficile il lavoro dell’educatore sia a livello familiare che a livello parrocchiale. La finalità perseguita all’interno del laboratorio dell’ambito affettività è stata quella di affinare un sentire educativo cristianamente orientato. I partecipanti sono stati stimolati a riflettere sulla “normalità” ferita dei giovani di oggi, sulle difficoltà di vivere esperienze affettive e relazionali autentiche e sane. L’affettività ferita sollecita la comprensione e l’ascolto di bisogni non facilmente decodificabili e la ricerca di forme di accostamento ai giovani fondati sull’incontro e sull’ascolto.
Rispetto alle linee guide da seguire per l’attività di laboratorio il gruppo :
Sono emerse delle difficoltà comuni:
· essere incapaci ad ascoltare il silenzio dei ragazzi ed andare oltre l’incomunicabilità che rappresenta la prima forma di accostamento del giovane all’adulto;
· chiusura dei giovani che non cercano l’aiuto degli adulti;
· rifiuto dei giovani ad accogliere le eventuali proposte di aiuto.
Emerge altresì:
· il bisogno degli educatori di conoscere strumenti pedagogici che facilitano la costruzione di rapporti educativi attraenti sotto il profilo della testimonianza alla vita cristiana;
· il bisogno di una ricerca pedagogica da realizzare nella comunità ecclesiale e parrocchiale trasversale ai diversi attori e ai gruppi di impegno;
· il bisogno di rendere la parrocchia un luogo di incontro dove, piuttosto che continuare ad adottare la pedagogia del no, dell’errore, del divieto, possano essere adottata una pedagogia del “permesso” .
· il bisogno nei sacerdoti ad agire comunitariamente accanto ai laici visto l’elevato carico numerico ed emotivo dei giovani che gravitano nelle parrocchie che richiedono attenzione e tempo;
· la solitudine nei giovani e nei bambini a causa della mancanza di cure genitoriali che spesso sono demandate ad altri;
· nei genitori l’esigenza di una genitorialità competente e il desiderio di svolgere con naturalezza il proprio mandato educativo caratterizzato dalle difficoltà dovute al “gap” generazionale. La visione presentata dai mass media di genitori “ideali” e “perfetti” e contesti matrimoniali senza difficoltà risulta fuorviante sia per i figli che per gli stessi coniugi.
Per educare alla maturità relazionale e affettiva i giovani bisogna condurli alla ricerca di percorsi con chiari obiettivi. Dentro la Chiesa significa condurre i giovani ad avere un progetto di vita, ad essere maturi in senso cristiano aperto alla vita, alle relazioni, alla consapevolezza di sé, autentici nel rapporto con gli altri, disponibili al servizio. Un cristiano è un uomo maturo affettivamente. Ecco perché gli obiettivi principali in parrocchia non devono perdere di vista prima di tutto la crescita nella fede.
Riguardo alle proposte, suggerimenti, impegni, itinerari, in riferimento a famiglia, scuola, chiesa :
E’ necessario ed auspicabile:
· Elaborare tra gli educatori una strategia caratterizzata da abilità comunicative capaci di dare senso alle nuove forme di linguaggio giovanile;
· Uscire dalle nostre parrocchie, oratori, ecc, per incontrare i giovani nei loro luoghi spontanei di aggregazione;
· Accettare che i giovani si pongano in antitesi rispetto alla proposta della Chiesa perché da questa antitesi possa nascere una prima forma di dialogo e di reciproca definizione;
· adottare una strategia caratterizzata non dai “divieti”, ma dai “permessi di vita”, capaci di attirare i giovani e di condurli verso una vita autenticamente fondata sull’esempio di Cristo;
· proporre scuole per i genitori tali da garantire la formazione permanente degli adulti. Il bisogno formativo del mondo adulto (religiosi compresi) può essere soddisfatto attraverso percorsi di formazione specifica alla genitorialità, al cammino di ricerca vocazionale, al cammino di preparazione alla vita di coppia e alla famiglia, al cammino di educazione socio-affettiva-sessuale; all’uso corretto delle nuove tecnologie (internet...);
· proporre percorsi anche per genitori e coniugi che provengono da famiglie disgregate, separate, divise;
· richiedere a tutti gli educatori un impegno ad agire secondo uno stile amorevole ed una alta congruenza di atteggiamenti personali e professionale.
· promuovere la crescita di educatori significativi ed empatici garantita da percorsi ed itinerari opportunamente progettati;
· attivare la formazione degli educatori basata sulla pedagogia del servizio. “Farsi piccoli con i piccoli”, è una proposta attuale e vincente nell’approccio con i ragazzi;
· diffondere negli ambienti educativi sussidi formativi e informativi curati da professionisti del settore;
· stimolare in ogni educatore a comprendere che il processo di crescita e autoformazione è in continuo divenire e quindi a sapersi mettere in discussione ed essere disponibile al cambiamento non identificandosi mai con il ruolo assunto.
4.2. Il secondo gruppo di lavoro si è occupato del tema “educare alla cittadinanza attiva e solidale”
Considerazioni generali
Al centro, è stata posta la cosiddetta “Questione antropologica” che in sé implica anche non solo una riflessione aggiornata sul nostro essere Chiesa, ma anche la nuova “Questione sociale”.
L’intreccio fra Chiesa e Società, è stato costante e senza nette linee di demarcazione il che ha lasciato intravedere un principio di unità e di totalità della persona lasciando sperare nel superamento della nota piaga della separatezza tra fede e vita.
Tutto questo, andrà incoraggiato e perseguito con iniziative opportune e innovative provenienti da un nostro “Progetto culturale diocesano” capace di mettere insieme tutte le risorse esistenti, per una pastorale globale e integrata attraverso la griglia dei cinque ambiti individuati in un’ottica di collaborazione, di condivisione diffusa e di vera corresponsabilità.
Si è messa in evidenza l’urgenza di ripensare il nostro essere Chiesa, di una riconversione aperta a tutte le sensibilità per esprimere una reale capacità di dialogo con tutti ad intra e ad extra di essa superando le comode barriere dell’autoreferenzialità e di forme di gestione della pastoralità accentratrici e talvolta escludenti anziché includenti. Cose che l’analisi spontanea che è emersa ha anche evidenziato come contrarie allo spirito di costante rinnovamento e di comunione ecclesiale diffusa.
La prima cittadinanza da conseguire per esprimere scelte educative illuminate sembra essere quella relativa al nostro vivere la Chiesa in tutte le sue dimensioni: parrocchiale, cittadina e diocesana.
Solo una fraternità effettiva, sperimentata ad intra, può essere riproposta nelle tante occasioni che la vita sociale offre sia nel pubblico che nel privato. Senza questa prima scuola di umanità, rivolta a tutti ma soprattutto ai nostri giovani, ogni sfida è per noi perdente: non avremmo da offrire il nostro specifico che è appunto l’unità, la fraternità, la comunione.
Poi, ma accanto a tutto questo, occorrono anche le competenze e queste vanno scoperte, suscitate, valorizzate e finalizzate a progetti e programmi pastorali all’interno di luoghi comuni di discernimento personale e comunitario.
Valido esempio di quanto si afferma, in ordine alle competenze, ne è il contributo consegnato da Vincenzo Di Natale su “ Government” e “Governance” che è stato allegato integralmente alla relazione.
Il gruppo di lavoro sulla Cittadinanza attiva e solidale, ha voluto, elencare, anche con molte e interessanti testimonianze ed esperienze, le possibili definizioni che sono inerenti con il concetto stesso di cittadinanza attiva.
Tra i termini quelli particolarmente rilevanti sono:
RESPONSABILITÀ, CONFRONTO, DIALOGO nella formazione alla cittadinanza socio politica e culturale. Riflessione sul fatto che tali elementi, seppure prioritari, sono gli stessi che spesso risultano carenti nella società civile;
PLURALITÀ come contenuto della cittadinanza; IDENTITÀ, SOLIDARIETÀ e STIMA, parole che assumono un senso che va oltre il concetto di semplice tolleranza;
PARTECIPAZIONE, DEMOCRATICITÀ, per sottolineare l’attualità della cittadinanza;
COOPERAZIONE, CONDIVISIONE, APPARTENENZA, nel senso di appartenere alla propria città, differenza che contraddice l’apparenza;
TESSUTO: il lavoro di rete come un tessuto da tessere, con tutta la lentezza e la fatica del suo costituirsi che dà ad esso ancora più valore!
Alcuni approcci per una educazione mirante alla cittadinanza attiva e solidale
In una società complessa e sempre in evoluzione è necessario parlare, a questo punto, di una governance della educazione per fornire ai discenti gli strumenti per affrontare queste complessità. Ma il primo strumento è la persona stessa.
Sta maturando nella nostra società la richiesta di educazione e si comincia a comprendere che una risposta adeguata non è collegata agli obbiettivi dell’apprendimento delle conoscenze, ma riguarda il senso stesso e la finalità dell’educazione. Per dare consistenza progettuale a questa diffusa consapevolezza è indispensabile evidenziare il punto centrale: imparare ad essere è il compito essenziale dell’educazione. Tale compito rimanda alla questione fondamentale, che è di natura antropologica. L’oggetto e il soggetto dell’educazione è l’uomo e l’educazione deve tendere a rendere l’uomo più uomo. L’educazione si configura come un itinerario di crescita che porta l’essere umano ad essere e diventare persona, quindi essenzialmente più se stesso, vivendo tutte le relazioni conformemente alla sua vera natura.
In questo senso l’educazione mira a formare persone nella loro globalità, capaci di vivere dignitosamente, di relazionarsi, di collocarsi da soggetti liberi e responsabili nella società. I giovani devono essere in grado di aprirsi progressivamente alla realtà e di formarsi a una sana e robusta concezione di vita. L’emergenza educativa nasce dal fatto che, nel contesto culturale post-moderno, la definizione dell’uomo come persona (e non solo come soggetto), fine, valore, libertà, interiorità, amore, qualitativamente e ontologicamente diverso dalla restante concatenazione naturale e animale, aperto agli altri e a Dio, sembra non avere la capacità di attrarre, di richiamare la coscienza dei singoli e della società in modo consapevole e, soprattutto, di essere il punto di partenza per le conseguenti mediazioni scientifiche, normative, educative, sul piano personale, sociale, istituzionale.
Inoltre, è importante rilevare che, quando si parla di cittadinanza attiva, non si può non parlare di cittadinanza europea, in quanto costruzione di una governance mondiale che mette al centro l’uomo e il rispetto dei criteri di giustizia sociale per la costruzione della pace. Non si può non citare il Trattato costituzionale che parla di diritti umani come elementi fondativi di un’educazione alla cittadinanza.
Tale assunto include due livelli che devono essere rispettati, soprattutto all’interno della scuola e dal mondo dell’istruzione e della formazione generalmente inteso:
– la conoscenza, il sapere, la cosiddetta educazione civica, che è conoscenza dell’Europa, delle sue Istituzioni e dei suoi spazi di partecipazione, della possibilità di poter partecipare;
– l’azione successiva, l’azione civica, rappresentata da tutte le realtà associative che operano nel mondo dell’educazione e del volontariato.
Una scuola che educa deve far conoscere le strutture e gli spazi di partecipazione europei, ma allo stesso tempo aprire le scuole al mondo dell’associazionismo per far conoscere ai giovani l’esistenza di questo movimento molto attivo che si muove ed opera. Tale consapevolezza darebbe sicuramente un valore diverso all’agire di ognuno, che non si sentirebbe quindi più solo, ma parte di un processo e di una relazione volti all’attenzione anche dell’altro.
Oltre all’aspetto europeo, acquista certamente importanza anche il contesto locale, il territorio a noi più vicino. Si avverte oggi la necessità di dare più spazio ai giovani nella cittadinanza locale, in quanto il gap tra la classe giovanile e quella dirigente cresce sempre di più. Bisogna prendere coscienza, inoltre, dell’esistenza di un mondo giovanile attivo e propositivo, valorizzarlo e dargli voce.
P r o p o s t e:
1. Costituzione di Laboratori permanenti di formazione culturale a supporto della maturazione di tutta la persona sul piano umano e spirituale, morale e sociale, comunitario e professionale;
2. Insegnare e diffondere la dottrina sociale della Chiesa, dai primi elementi della catechesi di base sino ai gradi più alti della formazione;
3. Itinerari di formazione politica economica, scientifica, artistica e tecnica – sulla base della dottrina sociale cattolica, sapendo che la politica è l’esercizio più elevato della carità, un “atto di carità del prossimo” come lo definì Pio XI –secondo ideali superiori, trascendenti, ispirati dal Vangelo. “Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diventa mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo ed al marxismo; l’arte decade nel meretricio” (Messaggio al Circolo di Cultura “Luigi Sturzo” – 1966);
4. Puntare alla formazione di una classe dirigente e di operatori con una cultura basata sulla dottrina sociale cattolica, con una seria formazione economica e giuridica e con una conoscenza della macchina amministrativa dello Stato e della sua burocrazia;
5. Educare a sentimenti di fraternità. In democrazia il problema dell’educazione è fondamentale per avere élite tratte da ogni classe e categoria, aperte a tutti, sempre rinnovate e portatrici di rinnovamenti;
6. La marginalità diventa la provocazione più immediata per i cristiani impegnati nella carità come scelta fondamentale del proprio agire. Allora l’attenzione agli ultimi per arrivare a tutti globalizzando la solidarietà con progetti di ampio respiro sul piano cittadino e diocesano nel superamento della spicciola azione caritativa parrocchiale, non escludendola tuttavia, per promuovere e organizzare “la carità sociale” attraverso le varie forme di partecipazione alla vita sociale e politica.
7. Visto l’accrescimento della presenza di immigrati nei nostri territori creare luoghi provvidenziali di raccordo tra l’Oriente e l’Occidente e d’incontro tra civiltà diverse a sfondo interreligioso. Dall’incontro tra le culture nasce “il seme di un’umanità riconciliata” diceva Giovanni Paolo II;
8. Promuovere e dare impulso a tutte le iniziative economiche del settore non profit, delle aziende di “economia di comunione” e di “economia relazionale” e a tutte le iniziative finanziarie a sostegno di nuove imprenditorialità a vocazione solidale.
9. Unanimemente, meno ritualità estranea alla vita da parte dei sacerdoti per avere più tempo di formare le persone nel rispetto della loro profonda vocazione ad essere nel mondo ma non del mondo, uomini integrali e meno clericali di quanto siano quelli che si ritengono impegnati.
4,3 Per quanto riguarda il compito educativo della scuola bisogna osservare che:
L’educazione è da sempre uno dei grandi campi di azione della missione salvifica della Chiesa; lo è, specificamente, in quella situazione caratteristica che è la scuola pur nel rispetto della sua sana laicità. Si è messo in evidenza come purtoppo la scuola statale oggi non sempre garantisce una prospettiva dentro un orizzonte di senso umano compiuto.
In una scuola pubblica fondata sull’autonomia e sull’apertura al territorio non è accettabile la tesi che considera la scuola mondo separato ed estraneo alla missione propria della comunità cristiana. La pastorale della scuola è dunque servizio alla salvezza dell’uomo; i cristiani rendono testimonianza esplicita a Cristo nella vita della scuola, mostrando come la fede in Lui arricchisce la vita dell’uomo in tutte le sue manifestazioni positive e la riscatta dai decadimenti che la insidiano, rendendola autenticamente umana.
Per una autentica opera educativa nella scuola si tratta di finalizzare la formazione personale, la responsabilità professionale, l’ impegno culturale e sociale degli insegnanti con l’attenzione rivolta al bene e agli interessi reali degli studenti.
L’educazione non può ridursi riduce a un insieme di procedure e di tecniche, ma si qualifica anzitutto come trasmissione testimoniale e argomentata di valori, entro il quadro di una elaborazione pedagogica umanistica.
Nel Convegno della Diocesi di Roma Benedetto XVI ha affermato:
“Anche le scuole statali, secondo forme e modi diversi, possono essere sostenute nel loro compito educativo dalla presenza di insegnanti credenti – in primo luogo, ma non esclusivamente, i docenti di religione cattolica – e di alunni cristianamente formati, oltre che dalla collaborazione di tante famiglie e della stessa comunità cristiana. La sana laicità della scuola, come delle altre istituzioni dello Stato, non implica infatti una chiusura alla Trascendenza e una falsa neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di un’autentica formazione della persona.”.
Il prevalere in base ad una discutibile idea della laicità della visione di pretesa neutralità della scuola , conduce di fatto a forme di socializzazione manipolatrice ad opera delle agenzie prevalenti sul piano emotivo-simbolico, con la conseguente creazione di personalità fragili e instabili.
Una corretta prospettiva pedagogica, al contrario, non si accontenta di una impostazione strumentale, ristretta entro il perimetro della ricerca dei mezzi; essa è chiamata a spaziare nel territorio più decisivo dei fini: non si occupa solo del ‘come’, ma anche del‘perché’; evadendo di fatto dalle strettoie che ne contrabbandano la
scientificità al prezzo di una presunta neutralità culturale e di una illusoria oggettività scientifica.
Dal gruppo di lavoro sono emerse le seguenti proposte:
- Occorre meglio coordinare i soggetti educativi ecclesiali attivando un Forum per il discernimento interassociativo sui temi dell’educazione e della scuola con l’apporto dei diversi soggetti operanti nella scuola(docenti, genitori, studenti).
- Occorre un raccordo tra la pastorale scolastica, giovanile, familiare, catechistica e quella dei problemi sociali e del lavoro per realizzare una rafforzata comunione per la missione.
-Occorre porre all’attenzione: la continuità dell’atto educativo fra fede, cultura e vita che superi la frammentazione e la divisione fra pubblico e privato, fra la comunità cristiana e le altre istituzioni educative presenti nel territorio.
- Occorre un sostegno ai compiti educativi della famiglia, alla responsabilità educativa primaria dei genitori dando continuità ai percorsi formativi delle parrocchie e delle altre agenzie del territorio.
- Occorre un maggior dialogo delle parrocchie con le scuole e gli insegnati di religione cattolica.
- Si suggerisce di formare in ogni scuola comunità d’istituto dove si incontrino docenti, alunni, personale direttivo e non docente genitori accomunati dalal setsas fede con la presenza degli IRC e di coinvolgere gruppi di volontari per il recupero dei ragazzo svantaggiati.
Occorre una conversione dell’intelligenza, della libertà, del cuore degli ’insegnanti per proporre progetti educativi ispirati ai valori cristiani.
Inoltre si mostra necessario:
• per le parrocchie dare attenzione e spazio (psicologico prima ancora che materiale) alla conoscenza della situazione scolastica sul territorio e prevedere la costituzione di idonei organismi pastorali, perché questa attenzione pastorale non rimanga circoscritta alla sensibilità di alcuni o a emergenze episodiche;
• per le famiglie fare oggetto di attenzione e di discernimento i libri di testo, alle linee di impostazione didattica dei docenti, la situazione degli ambienti (‘ecologia’ materiale, funzionale, morale) dove i ragazzi trascorrono tante ore della loro giornata;
Bisogna incoraggiare le associazioni dei genitori come luogo della solidarietà educativa e favorire la loro presenza attiva negli organismi collegiali della scuola;
- La scuola, inoltre, è luogo segnalato di pastorale giovanile. La scuola è uno dei luoghi privilegiati per questo incontro, dove la professionalità si esprime nella sua qualità di testimonianza della fede e ritrova freschezza. La giovinezza della fede, infatti, non ha età e mette in comunicazione vera persone di generazioni diverse, quando è posta con quella autenticità che i giovani amano e sempre apprezzano, anche quando sembrano non condividerne le convinzioni.
4.4. Tradizio: comunità ecclesiale, comunità educante
Educare alla tradizione per una comunità ecclesiale, rappresenta molto più che la trasmissione di nozioni relative alla fede e alla morale, dal momento che l’atto mediante cui si comunica la fede della Chiesa implica sempre un e-ducere (tirar fuori) dalla solitudine del peccato e della lontananza da Dio e dai fratelli, per condurre alla comunione con Dio e i fratelli. La tradizione dunque non si ‘insegna’ nel senso stretto del termine, ma si media; sarebbe meglio dire si passa di mano in mano, di bocca in bocca. (La Delfa)
Nella trasmissione del proprio patrimonio spirituale e culturale ogni generazione si misura con un compito di straordinaria importanza e delicatezza, che costituisce un vero e proprio esercizio di speranza. Alla famiglia deve essere riconosciuto il ruolo primario nella trasmissione dei valori fondamentali della vita e nell’educazione alla fede e all’amore, sollecitandola a svolgere il proprio compito e integrandolo nella comunità cristiana.
Il diffuso clima di sfiducia nei confronti dell’educazione rende ancor più necessaria e preziosa l’opera formativa che la comunità cristiana deve svolgere in tutte le sedi, ricorrendo in particolare alle scuole e alle istituzioni universitarie. In modo del tutto peculiare, poi, la parrocchia costituisce una palestra di educazione permanente alla fede e alla comunione, e perciò anche un ambito di confronto, assimilazione e trasformazione di linguaggi e comportamenti, in cui un ruolo decisivo va riconosciuto agli itinerari catechistici. In tale prospettiva, essa è chiamata a interagire con la ricca e variegata esperienza formativa delle associazioni, dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali.
Al lavoro della tradizione appartiene anche un’educazione a riconoscere la presenza della fede attraverso tutti i segni: le forme espressive dell’arte, della musica, della scienza, della letteratura, della creazione di forme nuove di civiltà, della stessa creatività sociale e politica, della testimonianza della carità.
Riguardo alla trasmissione della fede la situazione è drammatica. Alcune domande: Se e come trasmettiamo la fede? Abbiamo cognizione di cosa significa trasmettere la fede? Come trasmettere la fede in parrocchie disagiate, presenti in quartieri difficili, dove c’è delinquenza, dove ci sono altre religioni? Trasmettere la fede a quale uomo? Non c’è il rischio di censurare la globalità del messaggio cristiano fondato sul vangelo della Croce per renderlo più gradevole? La misura della proposta di “uomo” è quella di Cristo?
La sfida educativa consiste nel trasmettere la fede per formare un uomo nuovo ad immagine di Cristo. La persona al centro. Il come non ci deve far perdere di vista il contenuto: “quando non sappiamo cosa dire cerchiamo di dirlo meglio”.
Spesso non abbiamo una ragione di vita e ci culliamo in una traditio come una forza inerte. Invece dovremmo dare VITA a quello che crediamo. E allora dovremmo farla finita con il trasmettere “per sentito dire”, e questo a cominciare dalla famiglia, perché è in famiglia che si apprende, che si cresce. Non si può arrivare ai Sacramenti solo per fare una festa .
E’ emersa la proposta di un progetto di catechesi cittadina, a partire dal Battesimo, al fine di svolgere un lavoro univoco perché la diversificazione tra le parrocchie crea confusione e non dà segno di unità. Si auspica un risveglio dei compiti dei Consigli pastorali e del Coordinamento pastorale cittadino dai quali necessariamente passa ogni forma di programmazione in ordine alla pastorale parrocchiale e cittadina.
Occorre adattare ai tempi, ai ritmi, alle regole della società moderna ciò che è l’operato dei catechisti. Ciascun catechista dovrebbe essere capace di rendere la trasmissione della fede attraente.
Si propone di fare in alcuni casi ( anziani, gruppo famiglia , lavoratori , malati) catechesi alle famiglie presso la propria abitazione.
Si deve scardinare l’abitudine che si ha nella logica istituzionalizzata della catechesi come scuola che prevede l’interruzione a maggio per riprendere ad ottobre.. Interrompere è come togliere il pane quotidiano ai propri figli.
Si propone la conoscenza del territorio parrocchiale e l’educazione alla CARITA’ e alla VERITA’, facendo in modo che la Chiesa non abbia l’immagine di un padre avaro e di una madre sterile. Occorre essere testimoni gratuitamente, perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente dobbiamo dare.
Il linguaggio della traditio deve esser l’amore. La gente ha sete di verità e quindi della PAROLA.
Si sente l’esigenza di essere o avere operatori di pastorale più preparati. Importanza dell’empatia.
Per la Traditio della fede ai giovani è necessario metterci dalla loro parte.
- Attenzione agli anziani, specialmente i terminali: come evangelizzarli? E’ necessario pensare bene ai canali di trasmissione.
- Per la trasmissione della fede va recuperata la pietà popolare che va evangelizzata con pazienza e discernimento .
- Occorre insistere sulla famiglia : ci sono varie esperienze positive di coinvolgimento dei genitori e qualche frutto si comincia a raccogliere. E’ un percorso difficile, ma non impossibile.
A livello operativo non si possono dare regole per tutti. Ciò che funziona in una parrocchia può non funzionare in un’altra. La nostra fede non è costituita da regole morali da realizzare. Si deve recuperare un messaggio importante che la fede è una relazione. Se c’è una relazione viene custodita una norma.
Ciò che permane è il contenuto che si traduce nella santità e le ricadute che essa ha nella vita quotidiana come vita secondo lo Spirito..
4.5 Riguardo al quinto gruppo “oltre il groviglio delel notizie” che si è occupato dell’educazione in riferimento ai mass media
Oggi più che mai l'educatore o il diseducatore sovrano è l'ambiente con tutte le sue forme espressive a partire dai massmedia e dai nuovi virtuali genitori elettronici: la Tv , il computer, internet.
Ha detto il Santo Padre nel citato convegno delal Diocesi di Roma:”
“Oggi più che nel passato l’educazione e la formazione della persona sono influenzate da quei messaggi e da quel clima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad una mentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione, o meglio profanazione, del corpo e della sessualità. Perciò, proprio per quel grande “sì” che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio, non possiamo certo disinteressarci dell’orientamento complessivo della società a cui apparteniamo, delle tendenze che la animano e degli influssi positivi o negativi che essa esercita sulla formazione delle nuove generazioni.
Sul fronte della comunicazione, si devono registrare i notevoli passi compiuti negli anni recenti, ma anche la necessità che non si attenui l’impegno alla formazione. Resta obiettivo non trascurabile l’immettere nel circuito della comunicazione la voce della Chiesa, costruendo ponti di comprensione tra l’esperienza ecclesiale, nelle sue forme quotidiane e peculiari, e la mentalità corrente.
Il gruppo di lavoro ha osservato che sono tanti i campi in cui avviene la comunicazione tra cui alcuni specificamente ecclesiali come la liturgia, l’omelia, l’arte sacra. Il problema della comunicazione è quello di farsi capire dalle nuove generazioni e dalle altre culture. I cristiani siamo chiamati ad essere portatori di speranza e comunicatori di buone notizie .
L’esperienza della chiesa deve trovare spazio in una cultura dove la chiesa è una minoranza e dove predomina una cultura negativa
La chiesa si deve preoccupare di rivolgersi agli operatori della comunicazione, aprirsi alle nuove tecniche della comunicazione , riscoprire spazi culturali rimasti vuoti, creare esperienze positive nell’utilizzo die mass media e di formazione delle coscienze alla lettura critica dei messaggi provenienti dai mass media aiutando le persone a orientarsi nel groviglio di notizie.
Si propone:
- di valorizzare la categoria di comunicazione come strategia pastorale
- la realizzazione di musical per coinvolgere i giovani,
- L’ uso della videocatechesi
- L’organizzazione di cineforum con una lettura critica dei films
- Favorire esperienze di letture di un libro accompagnate da commento comunitario
- La valorizzazione del direttorio della comunicazioni sociali e della stampa e dei mezzi di comunicazione di ispirazione cristiana (il quotidiano Avvenire, l’agenzia SIR, il settimanale diocesano e le numerose altre testate cattoliche, il canale televisivo Sat2000 e il circuito radiofonico InBlu).
Conclusione
La dinamica educativa, che parte come trasmissione da una generazione all’altra, si rivela così, ad uno sguardo attento, come un bisogno strutturale della vita intera. Il compito dell’educazione è dunque una sfida e un impegno alla ragione e alla libertà non solo di chi viene educato ma anche e in primo luogo di chi educa. Nessuna analisi o tecnica “psico-pedagogica” potrà mai sostituirsi a quest’affascinante avventura della conoscenza e dell’affezione: non si tratta infatti di trasmettere valori o modelli di comportamento, ma di comunicare se stessi, e più precisamente un modo diverso di giudicare la realtà e un nuovo modo di coinvolgersi con essa. È importante riconoscere che la vera posta in gioco nel nostro rapporto con la tradizione, attraverso il rapporto con un testimone autorevole che ce la trasmette, è proprio un’educazione a giudicare tutto – giudizio è infatti il modo con cui noi riconosciamo ciò che c’è affermandone il senso – e ad amare la realtà, con quell’affezione che, prima di essere un sentimento emotivo, è l’adesione al reale che mi interpella.
Tutto quello che emerso in questo Convegno deve confluire in una pastorale "integrata" metta in campo tutte le energie di cui il popolo di Dio dispone, valorizzandole nella loro specificità e al tempo stesso facendole confluire entro progetti comuni, definiti e realizzati insieme" (CEI, Nota pastorale dopo Verona, n. 25).
Per questo motivo questo Convegno non è un punto di arrivo ma un punto di partenza.
Quanto è emerso da questo convegno sarà oggetto di studio e di programmazione da parte dei gruppi di lavoro con cui ci incontreremo il prossimo 18 ottobre, degli uffici diocesani il 24 ottobre, del consiglio presbiterale il 26 ottobre, del consiglio pastorale diocesano il 5 novembre.
Durante quest’anno continuerò la visita pastorale a livello cittadino. Mi auguro quindi che questi temi siano oggetto di riflessione e di verifica nelle singole parrocchie e nelle singole città .
Con i presbiteri il primo incontro sarà il prossimo 12 ottobre con la presenza di S.E. Mons. Luciano Monari Vescovo di Brescia e Vice Presidente della CEI che presenterà la Lettera ai sacerdoti italiani che ho consegnato personalmente ad ogni presbitero lo scorso tre luglio.
Ai presbiteri , presenti ed assenti, da cui dipende in buona parte la realizzazione delle istanze di questo convegno, vogliamo dedicare la preghiera conclusiva.