giovedì 8 novembre 2001

Fasi della scristianizzazione dell’Occidente

di Alessandra Nucci

La situazione della cristianità alla data del Natale 2004 era caratterizzata dalla persecuzione un po’ ovunque.
Negli stati in guerra ciò non sorprende. In Iraq, ci dice il telegiornale, i cattolici non hanno osato celebrare la Messa di mezzanotte.
Alle notizie dai paesi a regime totalitario siamo abituati. In Cina, in settembre erano stati arrestati oltre 100 pastori cristiani, a Kaifeng city, molti di essi picchiati, condannati alla “rieducazione attraverso il lavoro”, accusati di essere "leaders di una setta malvagia." Sempre in settembre è morto Gao Kexian, vescovo cattolico di Yantai, prigioniero nelle carceri cinesi dall'ottobre 1999. Nel Vietnam e nella Corea del Nord seguaci di Cristo sono stati arrestati, torturati e costretti a rinunciare alla loro fede.[i]
Altrettanto nota è la situazione a cui possono andare incontro i seguaci di Cristo nei paesi in cui vige la Sharia islamica. In Arabia Saudita un cristiano indiano è stato rapito e tenuto sequestrato dalla polizia religiosa per sette mesi, accusato di “possesso di Bibbie e aver predicato il cristianesimo”. In Nigeria, sono stati messi in atto dei “pogrom”, in cui sono stati violentati, rapiti e uccisi dei cristiani nell’ambito di un programma di radicalizzazione che le autorità attribuiscono ai wahabiti sauditi. In Sudan da oltre vent’anni gli estremisti islamici stanno attuando pratiche di genocidio, conversioni forzate e riduzione in schiavitù, ai danni di cristiani e animisti, alcuni dei quali sono stati crocifissi.
È solo un campionario veloce e parziale di alcuni dei punti di sofferenza del corpo di Cristo nel mondo, di cui sulla stampa occidentale sono giunti almeno gli echi.
Quello di cui invece ci rendiamo conto ancora poco sono le persecuzioni in Occidente, spesso attuate con l’aiuto della legge. Non di arresti o persecuzioni fisiche si tratta, ma della restrizione al diritto di parola, di culto e di predicazione del Vangelo.

La lotta contro il Natale negli USA
Oggi, negli Stati Uniti, in tempo di Natale non si contano gli assalti ai …. presepi. Si trova sempre più spesso chi, nel nome dei “diritti civili” e della separazione fra Stato e Chiesa, prende di mira le miti scenette della natività di Gesù. Alla Catholic League, associazione sorta per difendere il buon nome della Chiesa e della religione cattolica, a metà dicembre erano già stati segnalati molti casi, che si riportano in elenco per dare un’idea di come il fenomeno in parola sia, se non massiccio - anche perché fare il presepio oltreoceano non è un’usanza diffusa – però sparpagliato un po’ su tutto il vasto territorio USA. Riferisce la Catholic League che
· un Bambin Gesù è stato rubato dai cortili di famiglie a McKinney, nel Texas, a Pataskala, nel New Jersey, a Whitehall, nel Michigan, a Lockport e a Farmington, nell’Illinois.
· oltre dodici statue sono state rubate da un presepe a misura naturale nella contea di Pasco, in Florida
· i vandali hanno danneggiato un altro presepe a misura naturale a Merced, in California, e un presepe artigianale sulla proprietà di una famiglia di Lincoln, nel Nebraska.
· un presepe del peso di quasi mezzo quintale è stato rubato da una chiesa a Camillus, nello stato di New York, un altro da una chiesa a Fairmont, nel New York
· è stato vandalizzato il presepe allestito nella piazza Daley, a Chicago, ed è stata divelta la figura di Gesù Bambino, che era ancorata al suolo
· il Bambin Gesù è stato rubato anche dall’Obitorio di St. George, nello Utah, dallo storico cimitero Hancock, che si trova accanto al Municipio di Quincy nel Massachusetts, e dalla locanda Mountaineer Inn ad Asheville, nel North Carolina.
· Un presepe montato nel plexiglas è stato fatto a pezzi a Mineola, nello stato di New York.
· Gli studenti della Taylor University, nell’Indiana, hanno vandalizzato il presepe e hanno finito con l’appiccare un incendio.
Ma furti e vandalismi sono chiaramente contro la legge, quindi non ingenerano confusione fra i cristiani sul fatto se si tratti di vicende in qualche modo condonabili o “colpa” di qualche comportamento intollerante da parte dei cristiani stessi. Più difficile da comprendere è invece la censura della parola Natale, che in inglese comprende anche il nome Cristo: “Christmas”. Da tanti anni è invalso l’uso di mettere una “X” al posto di “Christ”, per cui Merry Christmas molto spesso diventa convenzionalmente Merry Xmas. Ciò poteva anche corrispondere all’abitudine gergale americana di abbreviare e ridurre a sigla tutto l’abbreviabile. Oggi però non di questo si tratta, ma di vera e propria censura. Molto scuole sono state costrette a sostituire la dicitura “vacanze di Natale” con “pausa invernale”. In alcuni grandi magazzini, come il gigantesco e rinomato Macy’s, la parola Natale è stata messa al bando. In alcuni luoghi sono stati banditi anche i famosi canti di Natale (Silent Night, White Christmas, per menzionare solo i più noti anche da noi). Un noto vettore postale ha interrotto la pratica tradizionale di far mettere agli autisti i berretti di Babbo Natale e di decorare i furgoni con le ghirlande. [ii]
La giustificaione di tutti questi sforzi per sofficare una tradizione amata anche dai non cristiani, in un paese dove oltretutto circa il 90 per cento della popolazione professa una qualche forma di cristianesimo, è “la separazione fra Stato e Chiesa” e la “tolleranza” della “diversità”:

Il movimento ateista
Tutto[iii] cominciò nel 1962, con la causa vinta contro lo Stato americano da Madalyn Murray O'Hair, fondatrice di “American Atheists”. La O’Hair, che si vantava di essere la donna più odiata d’America, aveva adito le vie legali a nome del figlio, William, cui rivendicava il diritto di andare a scuola senza dover sentir pronunciare il nome di Dio. Dal momento della sentenza a suo favore, non solo da tutte le scuole statali fu bandita la preghiera, ma fu proibito tutto, dalla menzione di Dio nelle cerimonie di laurea (cosa prima normale) all’eventuale minuto di silenzio per una qualche commemorazione a scuola, magari prima di una gara sportiva. Ci furono polemiche perfino quando i genitori delle vittime della strage di Columbine fecero una funzione cristiana in memoria dei loro figli. Per gli zeloti del laicismo qualunque menzione pubblica di Cristo è un insulto a chi cristiano non è.
Vale la pena soffermarsi sulla famiglia all’origine di questa vicenda. Il figlio della O’Hair, catapultato sotto i riflettori a 16 anni come simbolo dell’ateismo militante della madre, fu allevato a credere che Dio non esiste e che pertanto non esistevano neanche il bene e il male. Nella sua famiglia mancava il padre, la nonna leggeva le carte ed “espelleva” i demoni bruciando i capelli umani, lo zio teneva in camera montagne di riviste pornografiche e la madre riempiva la casa di statue di animali scolpiti nell’atto di accoppiarsi. Al figlio, Madalyn O’Hair diceva che il Papa andava processato per “crimini contro l’umanità” e che la Bibbia è un falso messo insieme da “un mucchio di ebrei affamati che vagavano per il deserto del Sinai”; gli insegnava inoltre che era “meglio essere omosessuali che cristiani” e che le cose più importanti della vita sono il cibo e il sesso. Per molti anni William Murray visse come gli era stato insegnato. A trent’anni era già stato sposato due volte, beveva un quartino di vodka al giorno, viveva solo per mangiare, bere e fare sesso.
“Ma venne il momento in cui le donne e l’alcool non mi davano più la felicità che la mia mamma atea mi aveva assicurato che mi avrebbero dato. Consumavo talmente tanto alcool che non mi ubriacavo più. Cominciai a prendere la marijuana e altre droghe in sostituzione dell’alcool che mi aveva tradito. A trent’anni cominciai a rendermi conto di quanto fosse stata vuota la mia vita. Non c’era nessuno nella mia vita. I miei unici amici erano le sigarette e l’alcool.” [iv]
Questa consapevolezza lo spinse a cercare Dio, a distanza di circa due decenni dalla famosa sentenza della Corte Suprema.
“Avevo visto ogni male nel mondo e adesso volevo vederne l’altro lato.”
Nel cercare di liberarsi dell’alcolismo Murray si accorse che lo Spirito Santo lo stava spingendo a cercare la verità nella Bibbia. Era l’unico posto dove non l’aveva mai cercata, poiché era proprio questo libro che la sua mamma – a nome suo - aveva fatto togliere dalle scuole statali di tutto il paese con la causa vinta nel 1963. “Fu in questa Bibbia che trovai la verità su Gesù Cristo, la verità che libera ogni persona. La verità che Gesù aveva pagato il prezzo per il mio peccato perché io potessi rinascere e avere il dono della vita eterna. Bastava che mi pentissi dei miei peccati e mi convertissi!”[v]
Oggi William Murray è pastore evangelico e lavora nella capitale americana. Sua madre, la gran sacerdotessa dell’ateismo in America, ha fatto una morte orrenda, vittima del mondo che aveva contribuito a costruire. Nel 1995 fu rapita, assieme alla figlia di William e al suo fratellastro. Per molti anni non se ne seppe più nulla. I loro resti furono ritrovati nel gennaio 2001, vicino ad Austin nel Texas. Erano stati torturati e assassinati da un ex-impiegato della American Atheists Inc. Gli “amici” atei non ne avevano nemmeno denunciato la scomparsa, pur essendosi preoccupati della sparzione di mezzo milione di dollari in monete d’oro, acquistate con i fondi dell’associazione.[vi]
Madalyn O’Hair è morta, ma la rivoluzione che contribuì a lanciare in America – quella che vuole estirpare la religione dalla vita pubblica – è viva più che mai[vii]. Lo strano è che la maggior parte dei suoi discepoli non è atea, molti hanno perfino una qualche fede vaga in Dio. Ma tutti sono ossessionati dalla sacra missione di impedire ogni manifestazione pubblica di fede. E se non riescono a parlare di incostituzionalità, allora si lamentano che è un’offesa alla tolleranza o un attacco alla diversità.
Vale la pena notare qui che una delle cose su cui amava insistere la O’Hair era che il suo caso dimostrava che un ateo non era necessariamente anche comunista. In un’intervista del 1989 dichiarò che una delle cose di cui andava
“più fiera è che si può dire ‘Io sono ateo’ oggi negli Stati Uniti senza essere chiamato ateo comunista o comunista ateo. Io ho separato queste due parole. Credo che probabilmente sia la cosa migliore che abbia mai fatto.”[viii]
In realtà, attesta il figlio,
“Mia madre accettò la dottrina comunista quando avevo circa dieci anni, e nella cantina della nostra casa a Baltimore si tenevano incontri dei gruppi di studio socialisti e comunisti.”[ix]

Il processo alle intenzioni
Anche nel resto dell’Occidente stanno fioccando gli attacchi alla cristianità, passando per vie legisltaive e giudiziarie, per lo più con il pretesto di difendere le vittime di discriminazioni. A questo scopo è stato inserito l’istituto della “non-discriminazione” a tutti i livelli di legislazione, sovranazionale (legge UE del 2000, Costituzione europea), nazionale ( leggi di vari paesi, di cui è difficile avere il quadro completo; uno è il Religious and Racial Tolerance Act dell’Australia, v. sotto) e sotto-nazionale (Statuti regionali italiani).
Questo concetto della non-discriminazione suona molto bene, ma non si capisce la volontà di elencare minuziosamente anche le categorie da non-discriminare. (Nella Costituzione europea ne sono elencate quindici[x], fra cui “sesso” e “orientamento sessuale” - e va da sé che con la doppia dicitura si mira a fornire una base giuridica per reclamare la “parità di trattamento” nella definizione del matrimonio a coppie diverse da quella eterosessuale.)
Viene da chiedersi: non sarebbe sufficiente affermare il “riconoscimento della pari dignità sociale della persona”, senza mettersi ad elencare quali categorie sono pari? Forse che se uno non rientra in una di queste categorie è permesso discriminarlo? E come si distinguerà la discriminazione da una “legittima” opinione, da una preferenza, magari basata su altre caratteristiche dello stesso soggetto (che so: rissosità? disonestà? minore inclinazione al lavoro? allo studio ….)?
La verità è che questo divieto di “discriminazione” è un invito aperto a fare il processo alle intenzioni. Anche in campo religioso.

Presunto innocente? No: colpevole!
Come se non bastasse, in vari casi (ad esempio: la normativa europea) la norma che vieta la “discriminazione” è accompagnata dal sovvertimento dell’istituto giuridico della presunta innocenza. Chi è accusato di “discriminazione” infatti è presunto colpevole: dal momento in cui è accusato, grava su di lui l’onere della prova!
È il caso infatti della legge australiana Racial and Religious Tolerance Act 2001 che è stata usata recentemente per permettere a un gruppo religioso di trascinare davanti al tribunale un altro gruppo religioso, per un dissidio in fatto di opinioni religiose. E poco importa che l’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU, della quale anche l’Australia è firmataria, affermi che:
Ognuno ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto comprende la libertà di avere delle opinioni senza interferenze e di cercare, ricevere e impartire informazioni e idee attraverso qualunque media e senza riguardo a frontiere.

In nome della “tolleranza” nello stato della Victoria, in Australia, un pastore cristiano pakistano è stato condannato per aver diffamato l’Islam. In un bollettino e in un seminario pubblico aveva spiegato il Corano e gli Hadith in un modo che, secondo il “Consiglio islamico dello stato della Victoria”, che per questo ha fatto causa, incitava “all’odio, al grave disprezzo, o al disgusto o grave canzonatura di quella persona o gruppo di persone”.
All’imputato, presunto colpevole, non è bastato, per discolparsi, dimostrare che quanto affermato era vero. Anzi: a un certo punto il giudice australiano ha perfino criticato il fatto di aver preso il Corano troppo alla lettera; strana accusa, per una religione che presenta il Corano come la verità rivelata da Dio a Maometto. Il giudice ha accertato che molte delle affermazioni erano esatte, ma che sono più “tipiche” dell’Islam praticato negli Stati del Golfo, di quanto lo siano dell’Islam diffuso più in generale. Dunque, le parole, pur veridiche, risultano illegali perché giudicate incitamenti all’odio.
La condanna in questo processo indica che non è più possibile discutere di religione in pubblico, nello stato australiano della Victoria, senza il timore di essere processati. Significa la fine di due diritti umani fondamentali- la libertà di espressione e la libertà di culto.

E in Europa…
Il divieto di “discriminazione” ha già fatto una vittima anche in Europa. Il 29 giugno scorso, in Svezia, il pastore protestante Ake Green è stato condannato a un mese di carcere per aver criticato il “matrimonio” omosessuale. L’anno prima, di luglio, nel corso di una predica nella città di Borghom, Green aveva definito contrario ai valori cristiani il progetto di legge sulle cosiddette “unioni di fatto” omosessuali, argomentando la sua posizione con citazioni tratte dalle Bibbia, che condanna la pratica omosessuale. Denunciato dalle organizzazioni di difesa dei “diritti civili”, Green è stato arrestato dalla polizia per “istigazione all’odio”. L’unico paese a protestare ufficialmente presso la Svezia per questo grave avvenimento è stata la Slovenia.
E in Italia? Beh, c’è da considerare la chiarezza con cui la Chiesa si esprime riguardo all’istituto famigliare. Infatti le organizzazioni omosessualiste hanno già denunciato in sede penale, nel giugno 2003, il Lexicon Familiare edito a cura del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Ma una legge specifica contro le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale era in via di preparzione anche da noi:
Se il Pontefice e con lui i fedeli cattolici, non vengono però oggi incriminati è perché, con la caduta del Governo D’Alema, è stato accantonato il progetto di legge n.6582, presentato il 23 novembre 1999, primo firmatario proprio l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema, insieme al Ministro per le Pari Opportunità, Laura Balbo, affiancato dal testo unificato del 1 luglio 1999 riguardante le “Disposizioni per la prevenzione e la repressione delle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale”. Questi disegni di legge prevedevano sanzioni penali non solo per chiunque esprimesse pubbblicamente critiche su una qualunque perversione sessuale, ma anche per chi partecipasse ad associazioni, movimenti o gruppi, o prestasse assistenza alle loro attività”, ritenute “incitamento alla discriminazione per motivi di orientamento sessuale”, che deve essere punito “per il solo fatto della partecipazione, con la reclusione da sei mesi a quattro anni”. [xi]

Purtroppo però il progetto di legge D’Alema non ha nemmeno più bisogno di essere attuato: i governi nazionali sono stati scavalcati da due direttive dell'UE[xii] e, come già riferito, dalla stessa Costituzione europea (Art. II-21)

L’inquisizione laica
Il caso Buttiglione, bocciato come candidato a Commissario europeo perché “troppo cattolico” è noto a tutti, ma pochi organi di stampa hanno riportato per intero le sue dichiarazioni, che invece sono utili per capire. Trascriviamo qui un articolo del Wall Street Journal, uno dei pochi giornali che lo ha fatto.

"E’ importante – ha detto Buttiglione ai legislatori – fare una distinzione fra moralità e legge. Si possono considerare immorali molte cose che non sono proibite. Posso pensare che l’omosessualità sia un ‘peccato’, ma ciò è inefficace, a meno che io non affermi che è un crimine. Lo stato non ha diritto di interferire in questo campo". […]
"I diritti degli omosessuali devono esser difesi sulla stessa base dei diritti di tutti gli altri cittadini europei. Ma non accetto che gli omosessuali siano considerati una categoria a parte, che richiede una particolare protezione".
Questo è ciò che ha effettivamente irritato i parlamentari socialisti e verdi, che evidentemente ritengono le loro richiesta massimalisti sui diritti dei gay come parte della principale corrente europea. Buttiglione ha replicato che le cose non stanno così, e ha precisato che solo tre Paesi dell’Unione Europea, Spagna, Paesi Bassi e Belgio, permettono attualmente il matrimonio fra individui dello stesso sesso. Ha aggiunto che questo non deve diventare un argomento di legislazione europea, opinione a nostro avviso ragionevole data la delicatezza culturale dell’argomento. Che gli omosessuali meritino o richiedano diritti particolari e che tali diritti debbano portare avanti ulteriormente la loro causa, è una questione che ogni Paese può decidere singolarmente. Buttiglione poggia su una base solida quando afferma che la questione non deve essere imposta agli europei da anonimi legislatori di Bruxelles, ansiosi di ampliare il loro potere e divulgare le loro opinioni sulla moralità.
"Credo nella libertà, che significa non imporre agli altri ciò che uno considera giusto. Alla domanda se proporrò una norma che legalizza le famiglie omosessuali, la risposta è ‘no’".
Ancora più stupefacente è il modo in cui un’altra delle dichiarazioni di Buttiglione è stata travisata dai parlamentari e da molti mezzi di informazione, che lo hanno dipinto come un misogino, che vuole le donne chiuse e incasa a fare figli.
"Il matrimonio", ha detto, "consente alle donne di avere figli e nello stesso tempo la protezione di un uomo". È chiaro che , se un’osservazione di carattere sociologico con profonde radici nella biologia umana viene usata in modo scorretto per diffamare una persona, non può trattarsi di un semplice malinteso.
"Non ho mai detto che voglio una famiglia in cui la donna stia a casa ad alleare i figli. Ho detto che nel mondo di oggi le donne hanno troppi obblighi e che dobbiamo trovare il modo di consentire loro la maternità e di sviluppare le loro doti a livello professionale", ha detto Buttiglione a sua difesa al termine dell’audizione. Pochi femministi potrebbero sollevare obiezioni. Eppure al candidato italiano è stato affibbiato il ruolo di un fanatico religioso, che vuole riportarci indietro ai tempi del Medioevo. [….][xiii]


Crocifissi no, presepi forse
In Italia l’attacco ai crocifissi e ai presepi sul piano giudiziario almeno per ora è sostanzialmente fallito.
In questo ultimo Natale però si è finalmente capito che ai musulmani il presepe non dà alcun fastidio. Ce lo hanno detto loro stessi: anche i musulmani credono all’esistenza di Gesù, venerano Maria, credono alla nascita verginale. Che problema c’è a esporre un presepe? Per loro quello è un Profeta che è venuto prima di Maometto, perché non esporlo?
Il crocifisso è un’altra cosa: per il musulmano non è Gesù che ha salvato il mondo, quindi il crocifisso è solo un simbolo di morte. Da notare però che nelle scuole di alcune città una minoranza di laicisti aveva cominciato a chiedere di toglierlo dalle aule agli inizi degli anni Novanta, anche dove non c’era ancora nessun bambino musulmano. Perché? Per tutelare la “laicità dello Stato”. Il fatto è però che la prescrizione del crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche risale non al Concordato del 1929 ma alla laicissima legge Casati del 1859, approvata da uno Stato non certo connivente con la Chiesa cattolica.
Si ricorderà poi che nell’ottobre 2003 il Tribunale dell’Aquila, su ricorso di Adel Smith, fondatore dell’Unione mussulmani d’Italia, aveva condannato l'Istituto comprensivo di scuola materna ed elementare di Ofena a rimuovere il Crocifisso esposto nelle aule. La reazione degli italiani fu significativa e pressoché univoca. Credenti e non credenti insorsero a difesa della croce, come simbolo di una storia, della civiltà italiana, e gli abitanti di Ofena eressero immediatamente un crocifisso alto tre metri davanti alla stessa scuola materna ed elementare. È la riprova che di fronte a un attacco aperto e visibile la gente reagisce, ritrova la spina dorsale. Il ministro dell’Istruzione Moratti chiuse la questione con un conferenza stampa in cui spiegò che:
”Non è consentito l’esposizione nelle aule di simboli religiosi, fatto salvo il crocifisso”: nemmeno se sono i genitori o i docenti di una classe a chiederlo. La costituzione,” ha spiegato, raccomanda che la scuola pubblica si fondi sui valori della cultura italiana.”In questa ottica”, ha aggiunto, “il sistema educativo di istruzione e di formazione delineato dalla legge 53 del 23 marzo 2003 è orientato essenzialmente alla crescita spirituale e morale della persona, che rappresenta la premessa indispensabile per una reale comprensione dei valori della nostra cultura”: dunque niente simboli islamici. [xiv]
Quella dei segni esteriori della cristianità non è solo un discorso di superficie. Se si riescono ad abolire i simboli si instaura un precedente anche psicologico di riferimento che i vari movimenti laicisti e “sbattezzatori” non mancherebbero di utilizzare per guadagnare altro terreno.
Si aprirebbe la porta inoltre all’intimidazione. E la paura, sappiamo per esperienza, sparge di per sé, per emulazione, altra paura.

Il cristianesimo espulso pure dalla storia
Il cristianesimo viene espunto anche dai documenti e dai libri di storia. Il modo in cui si studia a scuola il nostro Risorgimento sarebbe da rivedere ovunque dopo aver riletto, ad esempio, la biografia di Pio IX e quella di San Giovanni Bosco, e i libri in tema di Risorgimento di Angela Pellicciari, Rino Cammilleri e Antonio Nicoletta, per nominare solo quelli che ho letto io. Si noterà, fra l’altro, che l’Italia è stata fatta come si sta facendo oggi l’Unione europea: unendo dall’alto, a tavolino, stati diversi con storie diverse, che parlano lingue diverse. E, come erano massoni i principali fautori dell’unità d’Italia, Mazzini, Garibaldi e Cavour, così sono in massima parte massoni i costruttori dell’unità che ci sta portando in 400 milioni ad essere governati tutti da Bruxelles.
E infatti, ancora, come l’unità d’Italia fu fatta in modo ostile alla Chiesa cattolica, che inizialmente, con Pio IX, non era affatto contraria ai moti indipendentisti, così non c’è da sorprendersi oggi che gli estensori della Costituzione europea abbiamo preferito espungere ogni altro riferimento storico piuttosto che permettere che nella carta fondante entrasse il minimo accenno alle radici storicamente cristiane della civiltà europea.

© UVG. 32 marzo 2005
[i] M. Malkin, Christians in the crossfire, WorldNetDaily, 22 dicembre 2004
[ii] The Jewish Grinch Who Stole Christmas, WorldNetDaily 2004
[iii] Non fu la sola, ma una di tre cause contemporanee. (E la contemporaneità porta a pensare che lo sforzo fosse in realtà collegato e concentrico. E’ del 1962 la causa Engel vs. Vitale, intentata da dei genitori di Long Island, contro una preghiera "non-denominazionale" che i funzionari della pubblica istruzione dello stato di New York avevano composto per i bambini delle scuole. Nel 1963 una famiglia di Philadelphia, gli Schempps, fecero causa contro la lettura obbligatoria della Bibbia nelle scuole della Pennsylvania. La loro causa arrivò alla Corte Suprema mentre era in corso quella della O'Hair contro la recita del Padre Nostro nelle scuole di Baltimore. La Corte Suprema riunì le istanze e stabilì, in una decisione presa 8 a 1, che la lettura della Bibbia o altre partiche devozionali religiose nelle scuole statali erano incostituzionali.
[iv][iv] William J. Murray, He Fought Christ, articoli scritti in morte di Madalyn O’Hair nel 2001, e My Life Without God, edito da Religious Freedo Coalition, P.O. Box 77511 Washington, DC 20013
Per informazioni: webmaster@wjmurray.com
[v] Ibid
[vi] della vicenda si occupò l’Internal Revenue Service, il Fisco americano, perché fare fosse in atto un tentativo di evasione fiscale e corruzione. American Atheists risultavano avere dei conti all’estero mentre continuavano a inviare lettere per raccogliere fondi dai sostenitori. Cfr. Scott McLemee, Don’t Stop Unbelieving, A new biography of America’s most godless woman. http://www.killingthebuddha.com/critical_devotion/dont_stop.htm consultato il 1/1/2005
[vii] Don Feder, O'Hair a casualty of her own revolution?
[viii] Freedom Rider, Woman, Atheist, Anarchist, 1989, http://www.positiveatheism.org/writ/madalyn.htm consultato il 1/1/2005
[ix] William J.Murray, Madalyn Murray 0’Hair, The Final Chapter,
[x] sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, handicap, età, cittadinanza, tendenze sessuali.
[xi] F. Bernabei, Citare la Bibbia è reato?, Radici cristiane, dicembre 2004 p.54
[xii] la Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, e un'altra più dettagliata del settembre
[xiii] The Wall Street Journal Europe, 13 ottobre 2004
[xiv] Moratti: Solo il crocifisso in aula, Libero 25 settembre 2003 p 4

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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