domenica 6 novembre 2011

"Educare alla vita buona del Vangelo". Il vescovo ai cooperatori salesiani di Sicilia

EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO
Mons. Michele Pennisi: Vescovo di Piazza Armerina,  Segretario della Commissione Episcopale per l’Educazione cattolica, la Scuola e l’Università
  Catania 6 novembre 2011
Sono molto lieto di parlare a voi cooperatori salesiani del tema dell’educazione alla vita buona del vangelo   che è nel DNA  di tutti coloro che si ispirano al carisma di don Bosco.




Come Salesiani Cooperatori  siete impegnati liberamente a rispondere alla vocazione salesiana, assumendo un modo specifico di vivere il Vangelo e di partecipare alla missione della Chiesa.
Siete chiamati  particolarmente ad una missione specifica: contribuire alla salvezza della gioventù, impegnandovi nella stessa missione educativa di  don Bosco a favore dei giovani.

1.     L’emergenza educativa ieri ed oggi
Ogni epoca ha avuto la sua emergenza educativa. Don Bosco ha saputo dare 
una risposta efficace alla emergenza educativa dei giovani di Torino del suo tempo con i fenomeni nuovi dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione e dell’emigrazione dei giovani dai paesi e dalle campagne alle città.
 Oggi dobbiamo analizzare la questione educativa nel nostro tempo che costituisce una delle sfide centrali di una società che guarda ad un futuro aperto alla speranza.
         Molti giovani vivono il presente con malessere e guardano al futuro con pessimismo ed angoscia e molti adulti si sentono incapaci di educare.
L’emergenza educativa manifesta non solo la diffusa difficoltà ad educare, ma anche l’idea stessa di educazione. Ogni tentativo educativo è visto come una indebita ingerenza nella propria vita. In una società che non è più caratterizzata dal riconoscimento di valori comuni, si attenuta la capacità educativa della famiglia e la scuola è ridotta a  punto confuso di incontro e di scontro di pluralismi dispersi e di anonimato culturale. Spesso l'educazione finisce per essere solo "istruzioni per l'uso", come usare della vita, senza farsi troppo male, come se bastasse questo per essere felici.
L'educazione oggi è messa a rischio dalle conseguenze del nichilismo che incomincia a serpeggiare fra le generazioni più giovani. Le ultime conseguenze del relativismo di stampo nichilista  sono  state espresse da  Albert Camus: "Se a nulla si crede, se nulla ha senso e se non possiamo affermare nessun valore, tutto è possibile e nulla ha importanza. Non c'è ne pro né contro, né l'assassino ha torto o ragione. Si possono attizzare i forni crematori, come anche ci si può consacrare alla cura dei lebbrosi. Malizia o virtù sono caso a capriccio"[1].
A questo proposito mi sembra molto significativo  ed emblematico l’appello rivolto  proprio qui a Catania dal comitato studentesco dello Spedalieri in seguito all’uccisione  dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, che è divenuto un emblema di riscatto contro il nichilismo dilagante. Scrivevano, fra l’altro,  gli studenti:Noi abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e verità. Noi riteniamo che la scuola possa costituire uno spazio adatto per questa ricerca e che liberamente uno possa verificare tutta la positività e il bene che la realtà ci promette. Dentro le cose che studiamo, dentro il tempo scolastico, dentro il rapporto con i professori. Ci stiamo giocando la vita degna d'esser vissuta e nostro stesso futuro.[2]
Ci lamentiamo che i nostri ragazzi non hanno interessi, non studiano, sono stanchi prima di iniziare qualsiasi lavoro. Che cosa dovrebbero studiare se tutto viene presentato sullo sfondo del nulla? Perché compiere delle scelte se non ce n'è una che vale? Si legge nei loro volti una "stanchezza spirituale" e al fondo una tristezza. La vita non viene percepita come una storia da costruire; le circostanze come occasioni favorevoli per la crescita. In tale clima è diventato difficile, se non impensabile, educare.
  Umberto Galimberti nel libro L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, riconduce il malessere e l’analfabetismo emotivo che appare diffuso tra la gioventù all’atmosfera nichilista del nostro tempo. Egli  ritenendo superata la paideia cristiana non vede altra via d’uscita che il ritorno a una “misura” della vita  propria della grecità classica,  motivato con il fatto che Dio sarebbe “davvero morto” e quindi sarebbe vana la ricerca di un senso assoluto della nostra esistenza.[3]  Si tratta di una specie di pedagogia omeopatica nella quale paradossalmente  il nichilismo,  diviene la cura per guarire dal nichilismo stesso.
         Bisogna allora  chiedersi con Vattimo “se riusciamo a vivere senza nevrosi in un mondo in cui Dio è morto”.[4]
Ma la morte di Dio ha portato alla morte dell’uomo e a considerare l’umanesimo un fenomeno culturale ormai superato.
Il post-moderno porta al post-educativo. J..F.Lyotard trae la logica conseguenza da queste premesse sul terreno educativo, sostenendo che "l'antico principio secondo il quale l'acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione dello spirito e anche dalla personalità, cade e cadrà sempre più in disuso"[5].
L’emergenza  educativa determina la diminuzione se non l’espropriazione della funzione educativa delle tradizionali  agenzie formative e il suo affidamento di fatto al mondo dei mezzi della comunicazione sociale, ai nuovi virtuali genitori elettronici, ai social network o al gruppo di pari che talvolta degenera in branco, ai talk show, condotti da abili registi dove tutti gridano ma non ne viene  nulla di costruttivo.
In nome di una sterile “neutralità”, i giovani  sono abbandonati alla loro solitudine e diventano sempre più incapaci di venire a capo della loro vita. Di fronte al ‘politeismo dei valori’, la mentalità corrente limita la linea di confine ad una certa tolleranza relativista, che  è ben lontana dal rispetto  autentico per l’altro e che invece genera disimpegno e qualunquismo culturale  e può degenerare in violenza.
Il sociologo Berger ha scritto “...l’individuo completamente tollerante è ipso facto un individuo per il quale nulla è vero, e in ultima analisi, forse, un individuo che non è nulla. È questo il terreno da cui spuntano i fanatici”.[6]
Alcuni sostengono che si poteva parlare di gioventù “bruciata” da tante esperienze più o meno ideologiche oggi mi sembra che tanti giovani siano “spenti” , senza radici, senza capacità di porre domande radicali, senza slancio, senza impegno, disorientati, qualunquisti,  robot specializzati nell’uso del computer , del telefonino e dei videogiochi , ma incapaci di porsi domande sul perché di quello che fanno e di quello che sono.
Vi leggo un giudizio sui giovani:” La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura”.[7] Si tratta non di una novità , ma di un giudizio contenuto in una tavoletta assiro-babilonese del 3000 a.c.
In realtà queste analisi rischiano di essere parziali se non false e inficiate di pregiudizi.
Don Bosco ci ha insegnato che anche nel giovane  apparentemente più cattivo c’è sempre una scintilla di bene ed è dal positivo che c’è in una persona che bisogna partire se  si vuole educare.
La gioventù di oggi è certamente fragile ed esposta a rischi, ma carica di attese, di domande di speranze a cui spesso gli adulti non sanno dare delle risposte convincenti.
La crisi dei giovani è in gran parte derivata da una crisi degli adulti.  Gli adulti hanno bisogno  di riacquistare la giusta stima di sé, di essere aiutati a ripartire dal positivo della loro esperienza, di riscoprire la consapevolezza della loro responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.
            Il soggetto adeguato dell’educazione può  essere soltanto una personalità autorevole come don Bosco che ha un rapporto positivo con i giovani  e che realizza attorno a sé una vera comunità educante, ossia una rete solidale e responsabile di legami in funzione della crescita dei giovani.
                   La sua pedagogia e' fondata sulla comprensione e sull'amore verso i giovani e sulla positività del reale che lo portò a mettere al centro l'allegria a rendere l'educatore una persona autorevole che si rende presente ai giovani e sulla base della confidenza e la ragionevolezza .
                   Don Bosco riunì i giovani negli oratori quotidiani concepiti come luoghi di formazione cristiana, di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale,
                   Ha scritto un suo biografo: "L'oratorio di don Bosco  e' innanzitutto come una parrocchia dei ragazzi che non hanno parrocchia e secondariamente una struttura o un luogo. Sostanzialmente l'oratorio  è  don Bosco stesso, la sua persona, la sua energia, il suo stile, il suo metodo educativo".

2.     Il documento della CEI: Educare alla vita buona del Vangelo
Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020  vogliono essere un sussidio a promuovere nella prassi pastorale un impegno educativo della Chiesa in Italia, che tenga conto che l’educazione, costitutiva della natura evolutiva e relazionale dell’uomo, va proposta come un’esperienza integrale e positiva della vita che riguarda la persona nella sua globalità, senza separare l’educazione umana da quella cristiana. 
Non bisogna aspettarsi una compiuta analisi sociologica o una  originale proposta pedagogica, ma solo una riflessione volta a valorizzare  la prassi pastorale.
Il richiamo alla “vita buona” contenuto nel titolo va inteso in tutta la pregnanza di questa espressione, facendo attenzione a non banalizzarlo. L’espressione è familiare in questo senso “forte”, a quanti si occupano di problemi etici perché in questo ambito si è soliti distinguere – e non a contrapporre – “vita giusta” e “vita buona”.
Con la prima formula”vita giusta” si intende una vita conforme alle regole della legge morale e ispirata al senso del dovere nei confronti di queste regole. È qui, in una vita “giusta”, che si compie il vertice dell’esistenza umana, a prescindere – anzi spesso inevitabilmente in contrasto – con i propri desideri e con le esigenze della felicità  soggettiva, tendenzialmente svalutata come mero “piacere” (“prima il dovere e poi il piacere”, recita un noto detto).
La logica della “vita buona” è assai diversa. Essa pone a criterio ultimo della vita morale non ciò che si fa, ma ciò che si è. Non si tratta di rinunziare ai propri desideri e di contraddirli “volendo” e “facendo” qualcosa di diverso da ciò a cui essi tendono, ma di plasmarli gradualmente in modo che tendano al bene.
 Non si tratta di scegliere tra doveri e felicità, ma di adempiere i propri doveri per essere felici.  Una prospettiva certamente più vicina al precetto dell’amore evangelico , nonché alla promessa di beatitudine che l’accompagna.
  «Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone» (n.8).
L’educazione, in questa prospettiva, non è volta a imporre dei doveri da rispettare, ma ad aiutare la gente a ritrovarsi e a realizzarsi, scoprendo il senso della propria vita ed evitando di cadere in una serie di storture – potremmo usare il termine “vizi”, l’opposto delle virtù - che la rendono infelice (cfr n.8).
Questa vita buona ha una sua specificazione “del Vangelo”. Questo giustifica che nell’introduzione si voglia porre «Alla scuola di Cristo, maestro e pedagogo».
E’ fondamentale l’idea che in Cristo si trova una pienezza di umanità, oltre che di divinità, in grado di illuminare tutto il percorso educativo. 
«Le virtù umane e quelle cristiane, infatti, non appartengono ad ambiti separati. Gli atteggiamenti virtuosi della vita crescono insieme, cooperano alla maturità della persona e allo sviluppo della sua libertà, determinano la sua capacità di abitare la terra, di lavorare, gioire e amare, seguendo quell’anelito a raggiungere la somiglianza con il sommo bene, che è Dio Amore» (n.15).
Si tratta di partire dal Vangelo per risvegliare l’umanità degli uomini: «Sappiamo che il Vangelo fa emergere in ognuno le domande più urgenti e profonde, permette di comprenderne l’importanza, di dare un ordine ai problemi e di collocarli nell’orizzonte della vita sociale» (n.4).
 Importante il riferimento alle domande. Il nostro tempo ha un eccesso di risposte, ma non sembra più capace di alimentare delle vere domande, che dovrebbero essere il punto di partenza della ricerca.
I vescovi si dicono di guardare con uno sguardo positivo la situazione presente: «Illuminati dalla fede nel nostro Maestro e incoraggiati dal suo esempio, noi abbiamo buone ragioni per ritenere di essere alle soglie di un tempo opportuno per nuovi inizi. Occorre, però, ravvivare il coraggio, anzi la passione per l’educare» (n.30).
Capitolo 1 – Educare in un mondo che cambia
Il documento sottolinea l’importanza di calare il discorso educativo nel nostro concreto clima culturale: «Vogliamo prendere coscienza, insieme a tutti gli educatori, di alcuni aspetti problematici della cultura contemporanea, come la tendenza a ridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, la bellezza a godimento effimero, cercando di riconoscere anche in essi le domande inespresse e le potenzialità nascoste, e di far leva sulle risorse offerte dalla cultura stessa» (n.7).
Come esempio di questa ambivalenza, i vescovi hanno scelto il tema della libertà: «Pensiamo, ad esempio, alla ricerca diffusa di amore e di libertà, valori a partire dai quali è possibile proporre un percorso educativo capace di offrire un’esperienza integrale della fede e della vita cristiana (…) Il desiderio di libertà rappresenta un terreno d’incontro favorevole tra l’anelito dell’uomo e il messaggio cristiano» (n.8).
«Siamo così condotti alle radici dell’“emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”.
La ricaduta sullo stile educativo è evidente. Non si tratta di indottrinare, ma, valorizzando questo bisogno di autonomia, di responsabilizzare l’altro(cfr.n.10).
Oltre che sulle modalità dell’educare, questa prospettiva liberatrice si riflette anche sul suo esito: «Di fronte agli educatori cristiani, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, si presenta, pertanto, la sfida di contrastare l’assimilazione passiva di modelli ampiamente divulgati e di superarne la fatuità, promuovendo la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione» (n.10).
L’educazione deve tendere all’armonia fra tutte le dimensioni di una persona: «Una vera relazione educativa richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo, tra intelligenza e sensibilità, tra mente, cuore e spirito. La persona viene così orientata verso il senso globale di se stessa e della realtà» (n.13).
Capitolo 2 – Gesù, il Maestro, rivela l’uomo a se stesso 
«Posti di fronte ai nodi che caratterizzano oggi la sfida educativa, ci mettiamo ancora una volta alla scuola di Gesù, nostro unico e vero Maestro. Lo facciamo con grande fiducia, sapendo che egli è il “maestro buono” (Mc 10,17), che ha detto e ha fatto, mostrando nella propria vita il suo insegnamento» (n.16).
Quale  pedagogia  deriva  dal modo di rapportarsi di Gesù all’uomo? 
 Un primo lineamento globale  del vangelo  presenta un Gesù aperto, disponibile, che accetta di incontrare le persone che lo cercano, ed anche quelle che non lo cercano, ed anche quelli che fuggono da Lui, e proprio nei giorni in cui aveva vinto la morte ( i due di Emmaus).
Egli è profondamente attento alle singole persone  e rispettoso della libertà.
           La sue pedagogia non è  parolaia:  Gesù fa per primo quello che dice,  mettendo le sue opere come il primo messaggio che rende credibile ciò che annuncia.

Capitolo 3 – Educare: incontro, relazione e fiducia
Si parte sempre dall’esempio di Gesù nei rapporti con i suoi discepoli. E’ un modello per chiunque voglia educare: «Dall’esempio di Gesù apprendiamo che la relazione educativa esige pazienza, gradualità, reciprocità distesa nel tempo. Non è fatta di esperienze occasionali e di gratificazioni istantanee. Esige stabilità, progettualità coraggiosa, impegno prospettico. Solo così i grandi ideali non scadono nella velleità delle buone intenzioni» (n.25).
«Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione educativa, prendono posizione e mettono in gioco la propria libertà. Essa si forma, cresce e matura solo nell’incontro con un’altra libertà; si verifica solo nelle relazioni personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione» (n.26).
Ma l’educazione non è un processo unidirezionale. L’educatore vive dentro una comunità educante ed è inserito in una rete di relazioni di cui è al tempo stesso soggetto attivo e destinatario. In questo senso egli deve anche lasciarsi educare. Dalla realtà, dalle situazioni,m ma anche da coloro a cui si rivolge per educarli: «Educatore ed educando sono chiamati a mettersi in gioco, a correggere e lasciarsi correggere, a modificare e a rivedere le proprie scelte, a vincere la tentazione di dominare l’altro» (n.28).
 In questa circolarità matura la passione e l’attitudine educativa: «La passione educativa è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza accompagnata e maturata alla scuola di altri maestri. Nessun testo e nessuna teoria, per quanto illuminanti, potranno sostituire questo apprendistato sul campo» (n.29).
Resta la responsabilità di chi, pur ricevendo dagli altri, ha il compito precipuo di educare:«L’educatore attua la sua azione anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona. Essa rende efficace l’esercizio dell’autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale» (n.29).
In questo cammino bisogna saper in che direzione si va:   «E’ importante sottolineare che ogni itinerario educativo richiede che sia sempre specificata e condivisa la meta verso cui procedere» (n.28).
Quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza. Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l’affidabile bontà.
Al n. 34 si afferma:”  Nell’opera educativa della Chiesa emerge con evidenza il ruolo primario della testimonianza, perché l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri lo fa perché sono anche testimoni credibili e coerenti della Parola che annunciano e vivono[8]. […] Molte sono le figure esemplari – tra cui non pochi santi – che hanno fatto dell’impegno educativo la loro missione e hanno dato vita a iniziative singolari, parecchie delle quali mantengono ancora oggi la loro validità e sono un prezioso contributo al bene della società. L’azione di questi grandi educatori si fonda sulla convinzione che occorra «illuminare la mente per irrobustire il cuore» e sull’intima percezione che «l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne mette in mano la chiave»[9]. E’ una citazione delle memorie biografiche di don Bosco.
Nell’opera dei grandi testimoni dell’educazione cristiana, secondo la genialità e la creatività di ciascuno, troviamo i tratti fondamentali della azione educativa:
“l’autorevolezza dell’educatore, la  centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e  orizzonte alla ricerca di senso dei giovani, la formazione integrale della persona, la corresponsabilità per la costruzione del bene comune. […]
Mentre va  riconosciuto e apprezzato il lavoro straordinario di numerosi insegnanti, animatori e catechisti, si avverte il bisogno di suscitare e sostenere una nuova generazione di cristiani che si dedichi all’opera educativa, capace di assumere come scelta di vita la passione per i ragazzi e per i giovani, disposta ad ascoltarli, accoglierli e accompagnarli, a far loro proposte esigenti anche in contrasto con la mentalità corrente”(n.34)
Capitolo 4 – La Chiesa comunità educante e l’alleanza educativa
 «Se si vuole che l’azione educativa ottenga il suo scopo, è necessario che tutti i soggetti in essa coinvolti operino armonicamente verso lo stesso fine. Per questo occorre elaborare e condividere un progetto educativo che definisca obiettivi, contenuti e metodi su cui lavorare» (n.35). Questo costituisce un obiettivo per la pastorale: «La complessità dell’azione educativa sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizzi “un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale”  » (n.35).
Il documento esamina successivamente le diverse comunità educanti tra cui è indispensabile, oggi, costituire una sinergia.
«La famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante» (n.36).
Si parla poi della comunità cristiana ed in particolare della parrocchia. (n.39).
Il documento si sofferma su altre realtà ecclesiali la cui valenza educativa è importante.
L’oratorio «è un luogo in cui i laici possono assumere da protagonisti responsabilità educative in passato riservate quasi esclusivamente ai sacerdoti» :   “Un ambito in cui tale approccio ha permesso di compiere passi  significativi è quello dei giovani e dei ragazzi. La necessità di rispondere  alle loro esigenze porta a superare i confini parrocchiali e ad allacciare alleanze con le altre agenzie educative. Tale dinamica incide anche su quell’espressione, tipica dell’impegno educativo di tante parrocchie, che è l’oratorio. Esso accompagna nella crescita umana e spirituale le  nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna  animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani:  aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio”(n.42) 
 Si parla poi della missione delle varie aggregazioni ecclesiali come la vostra.
«Nelle diocesi e nelle parrocchie sono attive tante aggregazioni ecclesiali: associazioni e movimenti, gruppi e confraternite.  Si tratta di esperienze significative per l’azione educativa, che richiedono di essere sostenute e coordinate. In esse i fedeli di ogni età e condizione sperimentano la ricchezza di autentiche relazioni fraterne; si formano all’ascolto della Parola e al discernimento comunitario; maturano la capacità di testimoniare con efficacia il Vangelo nella società”(n.43).
Una particolare attenzione  è  riservata a quegli istituti che per carisma specifico si dedicano espressamente a compiti educativi: «questo è uno dei doni più preziosi che le persone consacrate possono offrire anche oggi alla gioventù, facendola oggetto di un servizio pedagogico ricco di amore». È importante, al fine di valorizzarne la presenza sul territorio, percorrere vie di più stretta collaborazione e intesa con le Chiese locali”(n.45).
Si parla poi delle comunità educanti che, al di fuori dell’area ecclesiale, svolgono comunque una funzione fondamentale.  Anch’esse sono in difficoltà.
Oggi nella scuola «il docente tende a essere considerato non tanto un maestro di cultura e di vita, quanto un trasmettitore di nozioni e di competenze e un facilitatore dell’apprendimento; tutt’al più, un divulgatore di comportamenti socialmente accettabili » (n.46).
Si ricorda che” La scuola cattolica e i centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale di istruzione e formazione”(n.48).
Bisogna superare lo “scollamento” tra i livelli di azione pastorale e tra gli ambiti educativi, progettare percorsi formativi per genitori e insegnanti per aiutarli a scoprire la propria vocazione educativa e promuovere ed incoraggiare le associazioni di genitori, studenti, insegnanti a esplicita finalità educativa.
Il documento non dimentica che a esercitare un ruolo educativo fondamentale, al di là delle “agenzie” tradizionali, è la società. «La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione, attraverso la promozione di condizioni e stili di vita sani, rispettosi dei valori autentici, in cui sia possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso autentico della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie » (n.50).
Ma qui il concetto di “educatore” (o del suo contrario) si allarga immensamente, insieme alla responsabilità che gli è connessa: «Ciò richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo. La società nella sua globalità, infatti, costituisce un ambiente vitale dal forte impatto educativo; essa veicola una serie di riferimenti fondamentali che condizionano in bene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sugli stili di vita e sulle scelte concrete» (n.50).
I vescovi sottolineano che ormai l’influsso della famiglia, della scuola e della parrocchia è diventato minoritario rispetto a quello, sempre più invasivo, della società nel suo complesso: «Inoltre, i vari ambienti di vita e di relazione – non ultimi quelli del divertimento, dello sport, dell’arte, dello spettacolo, del tempo libero e del turismo – esercitano un’influenza talvolta maggiore di quella dei luoghi tradizionali della formazione, come la famiglia e la scuola. Essi, come tali, offrono perciò delle preziose opportunità da raccogliere perché non manchi, in tutti gli spazi sociali, di una proposta educativa integrale» (n.50).
Un ruolo fondamentale spetta sicuramente ai mezzi di comunicazione. Essi sono molto di più che meri “strumenti” e acquistano il valore di fattori costitutivi dell’ambiente vitale delle persone: «Agendo sul mondo vitale, i mezzi di comunicazione arrivano a dare forma alla realtà stessa. Essi intervengono in modo incisivo sull’esperienza delle persone e permettono un ampliamento delle potenzialità umane. Dall’influsso più o meno consapevole che tali mezzi esercitano, dipende in buona parte la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo. Essi vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile» (n.51).
Il problema, dunque, non è di demonizzare la Tv o Internet, ma di porre l’educazione al loro uso tra gli obiettivi fondamentali di un’educazione adeguata: «Un obiettivo da raggiungere, dunque, sarà anzitutto quello di educare alla conoscenza di questi mezzi e dei loro linguaggi e una più diffusa competenza quanto al loro uso» (n.51).
Capitolo 5 – Indicazioni per la progettazione pastorale
La finalità da perseguire è innanzi tutto quella di una diffusa presa di coscienza e di un’assunzione di responsabilità.
«A livello locale, si tratta di considerare con realismo i punti di debolezza e di sofferenza presenti nei diversi contesti educativi, come pure le esperienze positive in atto.  (n.53).
Ci sono poi delle «scelte prioritarie in campo educativo», che sono:
          a. L’iniziazione cristiana, in quanto «realizza l’unità e l’integrazione fra annuncio, celebrazione e carità», (n.54).
b. Percorsi di vita buona, identificati con gli ambiti di Verona.
In particolare, si tratta di «presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore e sulla affettività e sessualità umana, contrastando il diffuso analfabetismo affettivo» (n.54).
Di «impegnarsi perché ogni persona possa vivere “un lavoro che lasci spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e sociale”» ; «valorizzare le potenzialità educative dell’associazionismo legato alle professioni, al tempo libero, allo sport e al turismo» (n.54).
Di comprendere che «l’esperienza della fragilità umana, della sofferenza e del limite si manifesta in tanti modi e in tutte le età, ed è essa stessa, in certo modo, una “scuola” da cui imparare» (n.54)
«Avvertiamo inoltre la necessità di educare alla cittadinanza responsabile. L’attuale dinamica sociale appare infatti segnata da una forte tendenza individualistica che svaluta la dimensione sociale, fino a ridurla a una costrizione necessaria e a un prezzo da pagare per ottenere un risultato vantaggioso per il proprio interesse (…)Per questo appare necessaria una seria educazione alla socialità e alla cittadinanza, mediante una larga diffusione dei principi della dottrina sociale della Chiesa, anche rilanciando l’azione educativa delle Scuole di formazione all’impegno sociale e politico. Una cura particolare andrà riservata affinché sorga una generazione nuova di laici cristiani, capaci di impegnarsi a livello politico con competenza e rigore morale per uno sviluppo autentico e sostenibile» (n.54).
c. Si auspica «La promozione di nuove figure educative. Occorre promuovere una diffusa responsabilità del laicato, perché germini una profonda sensibilità ad assumere compiti educativi nella Chiesa e nella società» (n.54) Per esempio, «formatori degli educatori e dei docenti; evangelizzatori di strada, nel mondo della devianza, del carcere e delle varie forme di povertà» (n.54).
Si indicano, infine, degli obiettivi comuni da privilegiare:
- La formazione permanente degli adulti e delle famiglie.
- Il rilancio della vocazione educativa degli istituti di vita consacrata, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali e delle organizzazioni di volontariato.
E' una comunità intera ad essere investita di un compito educativo, anche se poi deve esprimere competenze e figure educative specifiche. E' particolarmente importante curare raccordi e sinergie tra i vari settori pastorali coinvolti ed aprire un confronto e un dialogo con ogni altra realtà educativa per promuovere la necessaria corresponsabilità in particolare nei confronti delle nuove generazioni. Solo lavorando "in rete", realizzando una alleanza educativa fra famiglia, scuola, chiesa, e altre agenzie formative presenti sul territorio è possibile elaborare un progetto educativo organico capace di trasmettere valori condivisi.
3.     Emergenza educativa e carisma salesiano per la salvezza dei giovani
San Giovanni Bosco fu un santo moderno  vissuto in un tempo di grandi turbamenti e sconvolgimenti politici ,culturali e sociali che si distinse come educatore dei giovani trasformando la scuola e la chiesa in una famiglia. Don Bosco era convinto che senza la familiarità con Dio non era possibile educare. Ragione, religione, amorevolezza era il trinomio del suo metodo educativo.
La sua pedagogia e' fondata sulla comprensione e sull'amore verso i giovani e sulla positività del reale che lo portò a mettere al centro l'allegria a rendere l'educatore una persona autorevole che si rende presente ai giovani e sulla base della confidenza e la ragionevolezza .
Egli volle che nelle sue scuole fosse applicato il sistema « preventivo », che consisteva nel prevenire gli errori, in tempi nei quali il sistema educativo era ancora « repressivo », e consisteva nel reprimere e punire gli sbagli commessi.
Mons. Mario Sturzo, fratello del più famoso don Luigi,  che fu vescovo di Piazza Armerina per 38 anni e di cui  ricorre in questo mese il 150 della nascita e il 70 della morte,nel libro Problemi di filosofia dell’educazione, il Vescovo indica come modello il sistema di don Giovanni Bosco aggiungendo che  il metodo preventivo si può qualificare come “ metodo dell’azione integrale»[10]. L’opera educatrice di don Bosco appare agli occhi del Vescovo come un’azione «lunga, varia, complessa, non esaurita con la sua esistenza, e vivente ancora e prosperante e progrediente nella bella attividella congregazione da lui fondata». Tale azione «dice a chi sa intenderla, che essa – sottolinea il Vescovo -   fu processualiricca della più intensa attività, […]fu processualità etica, e fu sistematica nelle sublimi intuizioni del genio, e fu fìnalistica, perché da Dio prese le mosse, Dio ebbe sempre presente, come il vero principio animatore, e a Dio fu rivolta, come al vero fine d'ogni umana attività e della stessa vita». [11]
Il  messaggio  di Don Bosco rimane di grande attualità per superare l’emergenza educativa.
 Vorrei richiamare a questo proposito quello che il Santo Padre Benedetto XVI ha scritto ai Salesiani riuniti per il loro  ultimo capitolo generale:”
“Il  vostro carisma vi pone nella situazione privilegiata di poter valorizzare l’apporto dell’educazione nel campo dell’evangelizzazione dei giovani. Senza educazione, in effetti, non c’è evangelizzazione duratura e profonda, non c’è crescita e maturazione, non si dà cambio di mentalità e di cultura.
 I giovani nutrono desideri profondi di vita piena, di amore autentico, di libertà costruttiva; ma spesso purtroppo le loro attese sono tradite e non giungono a realizzazione. E’ indispensabile aiutare i giovani a valorizzare le risorse che portano dentro come dinamismo e desiderio positivo; metterli a contatto con proposte ricche di umanità e di valori evangelici; spingerli ad inserirsi nella società come parte attiva attraverso il lavoro, la partecipazione e l’impegno per il bene comune.
Ciò richiede a chi li guida di allargare gli ambiti dell’impegno educativo con attenzione alle nuove povertà giovanili, all’educazione superiore, all’immigrazione; richiede inoltre di avere attenzione alla famiglia e al suo coinvolgimento.”
La sfida educativa  ha una sua  peculiare importanza in Sicilia per l’educazione alla legalità , al bene comune,  per la resistenza alla mafia. E’ necessario un lavoro lungo, lento, capillare, volto, secondo lo spirito di don Bosco, ad educare più che a reprimere. In famiglia, a scuola, in parrocchia, dev'essere possibile accompagnare le parole di condanna con l'indicazione di esempi efficaci come quello di don Pino Puglisi.  E’ necessario  continuare l'impegno di formazione delle coscienze soprattutto delle nuove generazioni
La “sfida dell’educazione”,  deve tradursi per i cristiani in una vera passione per le giovani generazioni , alle quali va sempre nuovamente offerta la proposta del Vangelo  come  risposta alle attese della ragione e del cuore di ogni uomo.
E’ importante tener presente che all’inizio della esperienza della fede c’è un avvenimento di bellezza che affascina e convince, che non possiamo pretendere di sostituire con discorsi o con ragionamenti. Solo nella bellezza di Dio che risplende nel volto di  Gesù Cristo, Vangelo vivente incontrato nella comunità ecclesiale, il cristianesimo si presenta in tutta la sua verità , in tutta la bontà e in tutta la sua forza persuasiva e in tutta la sua capacità di educare alla vita buona del Vangelo.


Domande:
         Quali sono le domande più profonde che emergono nei giovani di oggi nel nostro ambiente?
         Come conciliare l’educazione umana con l’evangelizzazione, la formazione degli onesti cittadini con quella dei buoni cristiani?
I nostri giovani sentono  potranno ancora dirsi cristiani?
Quale è la concezione della libertà nei giovani di oggi? Come educarli ad una libertà responsabile ?
Quali sono le responsabilità degli adulti nella crisi dei giovani?
Come si può diventare persone autorevoli e non autoritarie? Testimoni e non solo maestri?
Come coinvolgere le famiglie , le parrocchie e le scuole  nell’esperienza educativa dell’oratorio? Come i laici possono essere protagonisti  ?
Quale la missione dei laici e delle aggregazioni laicali nel compito educativo? Come formarsi?
A partire dal carisma di don Bosco cosa suggerite per aiutare i giovani a superare l’emergenza educativa?




[1]              A. CAMUS, L'uomo in rivolta, Bompiani, Milano 2002,p.7.
[2]              Comitato studentesco Liceo «Spedalieri», Catania (La_Sicilia 15 febbraio 2007,2
[3]              U GALIMBERTI, L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani,  Feltrinelli, Milano 2007.
[4]              G. VATTIMO, Al di là del soggetto. Nietzsche, Heidegger e l’ermeneutica,Feltrinelli, Milano 1981.
[5]               J.F.LYOTARD, La condizione postmoderna, tr. it., Feltrinelli, Milano 1981, 12
[6]              P.L. BERGER, Una gloria remota,. Avere fede nell'epoca del pluralismo . Il Mulino Bologna Bologna 1994, 73.

[7] Da una tavoletta  assiro-babilonese risalente a circa tremila anni fa cit. in E. BIEMMI, Il secondo annuncio, EDB, Bologna 2011,5-6.
[8]              Cfr PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 41.
[9]              E. CERIA, Memorie biografiche di san Giovanni Bosco, vol. XVI, SEI, Torino 1935, p. 447.  
          
[10] M. Sturzo, Problemi di filosofia dell’educazione, Trani, Vecchi&C.Editori, 1929, p. 253.
[11] Ibidem.








Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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