sabato 20 giugno 2015

Ragazzini Eritrei accolti alla Colonia Don Bosco di Catania. Ma subito vanno via. Il loro sogno è la Norvegia.

Erano una quarantina l'altra sera.
Tutti, pressappoco, bambini. Tredici e quattrodici anni.
Ragazzini e ragazzine, di cui un paio anche in cinta.
Nel pomeriggio erano arrivati al porto di Catania, a bordo di una nave della marina militare che li aveva raccolti dal barcone a poche miglia dalla Libia.
Li abbiamo accolti alla Colonia Don Bosco di Catania, un centro gestito dalle associazioni di Don Bosco Island.
Borino, Dony, Cinzia, Gea, Ciccio, don Enzo, don Luigi  e gli altri ragazzi dell'equipe li hanno ospitati senza si e senza ma.
Ad accoglierli c'erano anche Balde, Issue, Dembo e Juned. Quattro migranti del centro di Piazza Armerina che hanno già vissuto l'esperienza del deserto e dello sbarco. Migranti che accolgono migranti.

Subito arrivano frutta, pizza e acqua.
Via i vestiti del viaggio, impregnati dall'odore nauseabonto della stiva della nave, per indossare i nuovi.
Negli occhi dei ragazzini una grande stanchezza. Ma anche una  grande gioia.
Mangiano lentamente e ci osservano.
Un'altra delle tappe di avvicinamento alla loro meta era stata raggiunta.
Scambiamo qualche parole con Dembo che fa da interprete e traduttore.
I ragazzini, quasi tutti Eritrei, erano partiti  8 mesi fa.
Trentadue settimane per attraversare il deserto. Prima attraverso l'Etiopia, poi il Sudan ed infine la Libia.
Quasi tutto il percorso a piedi, un giorno dormendo sotto un albero, un altro sulle dune del Sahara, un altro ancora nelle periferie di un villaggio, e dove era possibile in una stazione.
In tarda serata una ventina di ragazzi vengono spostati in un centro di accoglienza vicino Palermo.
Ventuno rimangono a dormire nell’ostello della Colonia.
Diciannove eritreri e due ivoriani.
Qualcuno di loro ha la febbre. Ci pensa Ciccio a misurarla.
Trentanove e mezzo. Dony e Borino procurano i farmaci adatti.
L'indomani è l’alba di un giorno nuovo. Tutto è diverso.
I piccoli eritrei si comportano come adulti. Sanno quello che vogliono e cosa vogliono.
Parlottano tra di loro, cercano un telefono.
Rifocillati e rivestiti sono pronti ad un’altra tappa per il raggiungimento della loro meta.
E si! La loro meta. La Norvegia, non l'Italia.
La sera precedente, al molo del porto di Catania, non hanno voluto farsi fotosegnalare.
Se lo avessero fatto sarebbero stati costretti a rimanere in Italia per almeno due anni.
Ma sanno bene la lezione. Sono stati istruiti a puntino.
Verso le due si allontanano. Simone e Salvatore li inseguono, cercano di dissuaderli.
Gli spiegano che le frontiere a nord sono chiuse.
Ma non c’è proprio niente da fare. Si allontatano di corsa. Sanno già dove andare.
Nessuno può fermali.
“Norway, Norway”, dicono.
Fino a quando non arrivarenno in Norvegia nessuno li fermerà.
In fondo il peggio l’hanno già passato.
Hanno camminato 8 mesi nel deserto, sono usciti indenni dall’inferno della Libia e hanno attraversato su un barcone il Mediterraneo.
Per loro, adesso, arrivare in Norvegia,  nonostante le frontiere chiuse, sarà come una passeggiata.
Forza ragazzi, sono sicuro che ce la farete!


Ogni cittadino del mondo è libero di muoversi in ogni parte del mondo.
Passerete le Alpi e gli altri confini, alla faccia di chi vi chiama clandestini!
Noi tifiamo per voi.

Norway, Norway!!!

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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