Mi chiamo Giuseppe ed ho 34 anni.
Esattamente da due giorni sono un nuovo disoccupato, uno dei tanti, dei troppi disoccupati italiani.
La mia storia è semplice, fin troppo comune di questi tempi in cui si parla di crisi, di licenziamenti, di fabbriche che chiudono, ma l'impressione che ho avuto insieme ai miei colleghi, anch’essi licenziati, è che la tanto famosa crisi sia stata in realtà, per tante industrie, un ottimo e insperato alibi che ha consentito loro di giustificare i licenziamenti.
Io sono stato assunto nel maggio 1996 dopo sei mesi di lavoro in nero ma sono stato molto fortunato rispetto alla maggior parte dei colleghi, infatti, da li a qualche mese è arrivata una legge che innalzava l’età entro la quale si poteva essere assunti come apprendisti, portandola da 21 a 26.
Questo comportò che alcuni miei compagni, dopo aver lavorato un lungo periodo in nero, sono stati assunti come apprendisti all’età di 25 anni.
Insomma, la trafila standard che un ragazzo doveva attraversare per potersi dire occupato regolare era la seguente :
1) periodo di lavoro in nero (durava mesi e a volte anche un anno);
PIP (piani di inserimento professionale, durata un anno),
Borsa Lavoro (altro contratto a termine della durata, mi pare, di un anno);
contratto di apprendistato (durata 4 anni), e alla fine, se si era fortunati, il tanto sognato contratto a tempo indeterminato.Insomma, 5, 6, o 7 lunghi anni di precariato, di lavorare e non parlare, di compiacere il capo e i capetti per ottenere quel posto e ritenersi molto fortunati di avercelo.
Già questo deve dare il senso di quello che è la vita di fabbrica oggi, io parlo della mia ma credo che tutte siano più o meno combinate allo stesso modo.
Inoltre, per esempio, era bandita la parola “sindacato”, quello era argomento da non sfiorare assolutamente.
Ci sono stati dei tentativi di qualche sindacalista, qualcuno è stato qualche giorno fuori dai cancelli a volantinare o cercare di parlare, ma il clima generale era tale che questi venisse snobbato e guardato quasi come nemico.
Nel 2002, una semplice e rispettosissima lettera controfirmata dal 98% dei lavoratori che chiedevano una copia del contratto di lavoro e che gli venissero regolarmente pagati gli straordinari, scatenò la decisione immediata della chiusura degli stabilimenti, chiusura durata 4 giorni e finita solo dopo che mi hanno costretto a cancellarmi dal sindacato (ero l’unico iscritto, alla CGIL) e solo dopo che tutti i lavoratori hanno chiesto formalmente scusa alla dirigenza… Sembra assurdo ma invece è la realtà.
Queste poche parole tanto per delineare un quadro generale e generico.
Ma visto che in prima persona sono stato protagonista e al centro di passaggi storici e tragici della storia di quella fabbrica, avendo subito sulla mia pelle gli strali dei capi ma anche la miope indifferenza o addirittura ostilità da parte di chi difendevo, posso dire di avere, con il tempo, maturato una visione forse più globale e meno scontata della situazione.
Da operaio con cultura di sinistra dovrei prendermela con l’imprenditore cattivo che sfrutta i poveri operai indifesi e bisognosi, ed invece credo che sia più giusto e costruttivo da parte nostra porre l’accento soprattutto sull’inconsistenza della moderna classe operaia, sulla mancanza di una coscienza di classe, sulla mancanza di dignità di una generazione che considera proprio padrone chiunque gli porga un tozzo di pane.La mia testimonianza è probabilmente simile a migliaia di altre testimonianze, tutte diverse ma uguali nei punti fondamentali.
Il mio ormai ex datore di lavoro è stato un vero mago nel cogliere tutte le opportunità che la legge gli ha offerto, ha sfruttato tutti gli sgravi possibili sulla manodopera, diciamo anche tranquillamente che ne ha abusato, ha sfruttato tutte le agevolazioni fiscali possibili, tutti i finanziamenti per le zone disagiate, ma la legge gli ha consentito, una volta finito di mungere lo Stato, di impossessarsi dei beni e licenziare gli operai.Gli operai, quegli stessi che sono serviti a giustificare i finanziamenti, quegli stessi che hanno lavorato duro, ma quegli stessi che per troppo tempo sono stati ciechi, sordi e complici di quella politica industriale che li avrebbe usati e poi gettati via.La sinistra deve assolutamente promuovere una grande operazione culturale in questo paese, una operazione che faccia rendere la gente consapevole di se e dei propri diritti. Abbiamo ereditato una legislazione del lavoro che è all’avanguardia mondiale e che è il frutto delle lotte dei nostri padri, adesso ce la stiamo facendo sfilare da sotto gli occhi e non ce ne accorgiamo, e non muoviamo un dito.Il peggior nemico del lavoratore non è il datore di lavoro, ma è l’ignoranza, la superficialità, la crescente volgarità dei costumi e dei valori. Chiedo a voi politici si di modificare alcune leggi, di vigilare su determinati meccanismi che agevolano la sudditanza dei più deboli verso i più forti, ma chiedo soprattutto di ricominciare a lavorare sulle menti della gente, chiedo che a scuola si formino persone e non solo bravi tecnici, chiedo di non sentire mai più un operaio sfruttato che giustifica il proprio sfruttatore dicendo che “anche lui avrebbe fatto la stessa cosa"!So di essere uscito fuori tema, e so di essermi lasciato andare in una sorta di sfogo autocritico, perdonatemi se potete ma mi sembrava giusto non dare la solita testimonianza da operaio licenziato e, passatemi il termine, un po sfigato della situazione.
Credo sia più utile invece guardarci dentro, capire dove sbagliamo già nell’educazione dei nostri figli e dei nostri alunni, capire perché, al di là delle televisioni di regime che ci hanno rincretiniti, non riusciamo a non essere i carnefici di noi stessi.