sabato 10 settembre 2011

Tutto quello che non dovrebbe accadere nelle scuole.

Gentimomo Architetto,
Casualmente ho letto il vostro articolo riguardante l'eccellente arresto di un preside e del suo collaboratore DSGA. La notizia non mi ha sorpreso in considerazione al fatto che opero nel mondo della scuola da infiniti anni in qualità di insegnante. A riguardo della malversazione amministrativa nell'ambito della scuola, ho già pubblicato un libro ed altri ne seguiranno. Le allego il file così vi renderete conto di quello che accade in altre scuole attraverso gli occhi dei professori. FRANCESCA RUSSELLO







Di
Francesca Russello

Illustrazioni di Daniela Balistreri



























































INDICE
PREMESSA PAG. 4
CAPITOLO I LA SEDE DI SERVIZIO PAG. 9
CAPITOLO II IL DEBUTTO NEL CONTESTO SCOLASTICO PAG 13
CAPITOLO III IL BUIO PAG. 17
CAPITOLO IV IL “BRANCO” PAG. 23
CAPITOLO V GLI ASSOCIATI- I CONSOCIATI E I DISSOCIATI PAG. 28
CAPITOLO VI I PERSEGUITATI PAG 31
CAPITOLO VII “SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA” PAG. 37
CAPITOLO VIII IL VERBALE INCRIMINATO PAG. 43
CAPITOLO IX L’IMPATTO TRIONFALE NELL’EPOCA AUREA PAG. 5 0
CAPITOLO X IL DECLINO PAG. 53
CAPITOLO XI L’ESCLUSIONE PAG. 56
CAPITOLO XII L’ELIMINAZIONE PAG. 59
CAPITOLO XIII LE VESSAZIONI VERSO UNA VITTIMA ECCELLENTE PAG.65
CAPITOLO XIV LA RESTAURAZIONE OPPRESSIVA E REPRESSIVA PAG. 70
CAPITOLO XV UN INCARICO TORMENTATO PAG.74
CAPITOLO XVI NATA SOTTO UNA CATTIVA STELLA PAG. 77
CAPITOLO XVII ANNEGARE NEL TORBIDO PAG. 80
CAPITOLO XVIII L’IMPOPOLARITA’ PAG. 84
CAPITOLO XIX LA SCUOLA DEI FANNULLONI PAG.88
CAPITOLO XX IL TRAGHETTATORE DELLE ANIME DANNATE PAG. 91
CAPITOLO XXI LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI PAG. 96
CAPITOLO XXII LE ASSURDITA’ PRECEDENTI E CONCLUSIVE PAG.100









PREMESSA
I miei primi vagiti furono intesi come parole che presero la forma scritta a soli tre anni.
D’allora la mia amica inseparabile divenne la penna.
Precoce per natura, iniziai a soli tre mesi a emettere suoni: le prime forme arcaiche di parole.
Ben presto, i miei parenti terrorizzati di un simile fenomeno, mi misero subito a tacere e non ebbi più voce in capitolo.
Vissi per l’intero arco della mia vita all’ombra di me stessa sotto mentite spoglie.
Fu così che le mie opinioni e le stesse idee, non furono tenute in conto né mai ascoltate dagli attenti osservatori, i quali essendo terrorizzati dal mio bagaglio espressivo, nel timore della mia coerente determinazione a farmi valere ed essere prevaricati, mi definirono:”vinciudda e minnittusa” e ritennero giusto sigillare le mie opinioni mediante censura, sottoponendo all’embargo le mie imprudenti idee.
Mi accorsi così, che madre natura non mi aveva dotato del dono prezioso quale il carisma verso gli altri.
Tale privazione invece, fu concessa a mio fratello, il quale mise immediatamente in luce: la mite diplomazia, l’accomodante mediazione e il prudente senso di sedare gli animi accesi.
Io, al contrario, ereditai dalla scia paterna soltanto l’ironia e il sacrificio caritatevole verso il prossimo.
Per questa mia mancanza di non scendere mai a compromessi e per la personale rivolta interiore, iniziarono per me i lunghi periodi di silenzio, interrotti da sporadici impulsi giacobini d’innata ribellione, la quale fu soffocata ripetutamente.
Sconfitta, accettai passivamente per il quieto vivere le gravi imposizioni. Fu così che la mia libertà di parola con il ricatto, divenne muta.
Per effetto contrario, accrebbe vertiginosamente la mia foga scritta.
Mi accorsi immediatamente che, se le mie parole non avevano voce, le stesse, venivano lette e ascoltate con attenta considerazione.
Fiduciosa e consapevole di un dono così prezioso, impugnai così la mia amata penna per rendere giustizia ai miei pensieri.
Appresi in tal modo che, se le mie parole non sortivano effetto, le relative missive generavano clamori immediati.
È da precisare che, nell’ambito professionale dalle mie relazioni riguardanti l’andamento didattico e disciplinare dei discenti, scaturivano verbali dettagliati in ogni Consiglio di Classe in tutte le
scuole di servizio, alle quali fornivo un fedele adeguamento della realtà e soprattutto, agevolazione di procedura ove potevano attingere i miei illustri ex colleghi nella stesura degli atti.
Tra gli angoli più reconditi della mia memoria, si delineano svariati episodi mai svelati perché avrebbero suscitato allarmanti polemiche per la mia precocità.
Appare chiaro che a soli cinque anni, già alfabetizzata dai vari membri della famiglia materna e autodidatta per eccellenza, mi presentai con gioia a vivere il mio primo indimenticabile giorno di scuola. Finalmente, raggiungevo una meta da tanto ambita dopo lunghi e incessanti pianti di protesta ripetuti ogni primo di ottobre nell’osservare gli altri frugoletti, che venivano accompagnati a scuola. Poiché vivevo con gioia questa protratta attesa, l’arrivo nell’ambito scolastico deluse enormemente le mie aspettative.
Fu uno strazio nell’osservare la maggior parte degli infanti della mia età, piangere e disperarsi per quel motivo che ritenevo gioia e al quale versavo inconsolabili lacrime nel restare a casa.
Per tali stupidi e incomprensibili fenomeni tediosi da me percepiti, la giornata mi fu offuscata e considerai i frignoni dei guastafeste, i quali cercai, con maturità di consolarle.
Si delineò così un marcato senso di solidarietà nei riguardi del prossimo.
Durante il corso della mia esistenza, ho sempre raccolto gatti randagi e preso cura dei meticci umani di ogni tempo e di ogni età.
Le esperienze vissute mi hanno portato a difendermi attraverso il mezzo d'alleanza pattuito, chiamato “penna”e con la quale, ho condotto tutte le battaglie della mia vita.
I miei ex-alunni l’avevano denominata “la penna assassina”, quando il termine dispregiativo era determinato dagli atti di indisciplina sedati da codesto strumento di purificazione.
Invece lo stesso mezzo, veniva osannato quando presagiva note d’elogio o apportava le ottime valutazioni.
Mi sono da sempre avvalsa, dunque, della mia versatilità nella comunicazione scritta, in particolar modo, per portare a termine le lunghe crociate in difesa della sfera sociale, le stesse, costantemente sinuose e difficoltose, culminavano spesso, in feroci e sanguinarie lotte senza né tregua né confini.
Sempre all’ombra della mia discrezione, mi sono prodigata sovente verso gli altri, animata di coraggioso altruismo e slanci di diffusa generosità.
Pur tuttavia, i risultati sono stati talvolta deludenti, ma senza rimpiangere il passato o rinnegare i miei errori, ho continuato ad affrontare la vita con entusiasmo e lo stesso candore di una scanzonata ventenne.
Il mio spiccato senso della giustizia mi ha consentito di affinare delle competenze non attinenti alla mia professione, ma bensì armato e affilato le armi di difesa sempre per gli altri.
Non so come né come mai abbia interiorizzato il mio “modus vivendi” e il mio stile di vita di azione e di pensiero; ereditato molto probabilmente, da qualche lontano antenato che ai suoi tempi era considerato l’avvocato degli oppressi.
Infatti, nel secolo scorso, quando l’analfabetismo imperversava, lo zio” Casimiro” cugino di nonna,
nella sua vestaglia da camera, scendeva in strada, accoglieva la gente in difficoltà e alla stessa, forniva nel suo piccolo, avendo conseguito la classe 6° dell’Avviamento, il suo contributo culturale-informativo, sapiente e saggio, redigendo varie lettere, richieste d’impiego o comunicazioni difensive contro le insidie nell’ambito della sopravvivenza degli sfortunati incolti.
Fu allora che la famiglia influente dal lato materno, colta e benestante di Fagiolara, ebbe il soprannome di “DOMANDI”, che a quei tempi vantava anche un laureato in Economia e Commercio.
I miei natali hanno giocato un ruolo decisivo sulla mia formazione culturale, cresciuta da sempre seguendo il motto di un'esortazione martellante inculcatomi dai miei genitori:”Prima
consegui la laurea e poi se ne parla…!” che ha provocato in me, l’impulso irrefrenabile di coronare questo desiderio comune.
Dopo un curriculum sofferto e tormentato a livello professionale, ho ambito a coniugare il mio senso della giustizia e lo spirito missionario.
E’ da considerarsi che anche la mia carriera, volta nella schiera del precariato, è stata articolata e combattuta in diverse occasioni, nelle quali ho fatto valere il mio spiccato credo nei puri ideali, concretizzatisi da sempre nel volontariato.
Dal mio iter professionale, infatti, si espandono servizi in tutte le direzioni ed estrazioni sociali.
A tal proposito vorrei esprimere delle rilevanti osservazioni sulla mia esperienza vissuta.
Dopo il prolungato servizio alle “MEDIE”, operando in perfetta sinergia e affiatamento con le altre colleghe, ho contribuito con loro, alla realizzazione del piano comune ovvero al bene della scuola.
Senza tralasciare i compiti assegnati, ho portato a termine l’impegno richiestomi, mantenendo costante il mio totale disinteresse verso la parte economica in favore degli ideali di progettazione e di creatività.
Grazie a tali documenti redatti, ho offerto nel mio piccolo, l’enorme contributo alla collega in difficoltà, alla quale dedico la mia narrazione, esternando adeguatamente la cruda verità degli episodi accadutole.

Appare ovvio che, in una realtà sempre più corrotta, la verità risulta un elemento scomodo da sconfiggere, ma basandomi a fattori di prudente mediazione, cercherò di riferire le reali situazioni avvenute, affinché possa essere noto il grande malessere della SCUOLA..
Quando la cruda verità viene combattuta, risulta necessario farla trapelare mediante il filtro dell’ironia per poi avvolgerla dal velo della pura fantasia.
A proposito delle mie peculiarità, come già detto, ho sempre creduto nella verità e nella giustizia. Però, in alcuni casi, per nobili principi, al fine di non vanificare le mie buone intenzioni, ho ceduto di riferire la crudele realtà attraverso la sostituzione delle mezze verità.
Senza scendere mai a compromessi, ho custodito la verità, per favorire qualche situazione incerta di andare a buon fine.
Immemore dalle poche certezze della vita, dalle insidie vissute durante il suo inesorabile e inaspettato percorso, ho fronteggiato la realtà con determinazione investendo nella stessa, tutte le mie risorse personali alla scoperta di nuove e facili soluzioni.
Ho appreso in effetti, che tutto è possibile nella vita e tutto può accadere inaspettatamente.
Talvolta, durante il corso della nostra esistenza, avvengono situazioni paradossali, dove la verità supera la fantasia e la finzione si configura con la realtà.
Imprevedibilmente senza nulla tener in conto, si disegnano i confini tra realtà e finzione, i quali nel loro percorso rettilineo s'incontrano e coincidono assottigliandosi per poi divenire un’unica cosa.
Per inneggiare la combattuta verità, risulta necessario avvalersi della fantastica finzione al fine di far scaturire la pura e cruda realtà dei fatti; menzogna persuasiva per gli increduli, che restano stupiti dall’immaginario collettivo.
Quando la verità diviene scottante ed anche impossibile da prestare ascolto, risulta più facile credere ad improbabili enormi BUGIE.
Sullo sfondo di tali paradossi, come proscenio non accessibile al pubblico, resta il dubbio inquietante, “ È’ vero.. o non è vero…?” “È’ realtà o solo finzione…?”.
Come risposta a tale quesito irrisolto, lascio il beneficio del dubbio in favore dell’alternanza tra la finzione e la realtà, rimandando all’interpretazione acuta degli attenti lettori.
Pur tuttavia, appare scontato che la situazione è realmente accaduta nell’ambiente provinciale vissuto e anche i personaggi sono autenticamente esistiti, emersi e tratti dalla vita quotidiana; quello che viene falsato e parafrasato, è soltanto il nome dei protagonisti, tutto il resto è la pura realtà vissuta da illustri sconosciuti, che potrebbero operare nel mondo terreno con grande difficoltà nell’ambito di una scuola caduta nel più profondo degrado.
Appare ovvio che mediante i miei scritti a sostegno della verità smentita e della giustizia prevaricata forse un giorno non troppo lontano, resteranno immemori le mie farneticazioni paradossali trasformate in veicolo di invettive contro quel potere occulto e corrotto che ho denominato SCUOLA della “ PUBBLICA DISTRUZIONE.”
Naturalmente, si ritorna a ribadire ancora una volta che ogni riferimento sugli episodi realmente accaduti e sui soggetti umani effettivamente esistiti, è puramente casuale. Occorre ancora considerare, come tutti sanno, l’art.21 della Costituzione Italiana che ne garantisce e ne sostiene la libertà di pensiero e di parola:”Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”










CAPITOLO I
LA SEDE DI SERVIZIO

Prima di raggiungere la mia attuale sede di servizio, errai in lungo e largo in indeterminati ambiti scolastici. Tra le differenti sedi, risulta anche una provincia dell’amata Sicilia che si può denominare: Bagnerafriddi, nella quale crebbi, maturai ed incontrai colleghe e colleghi validissimi.
Tra i tanti conosciuti, si distinse Chiara Bianchetti, soprannominata affettuosamente “Santa Chiara di Napoli” dagli amici più cari per la sua franchezza di pensiero e d’azione.
Precedentemente alla notifica del trasferimento a Bagnerafriddi, in prossimità alla mia sede di residenza, mi informarono dei rischi ai quali andavo incontro:di essere messa al rogo, di subire eventuali incendi alla mia autovettura e di ardere con essa, ed essere infine silurata. In effetti, il comune di quella provincia siciliana vantava questo triste primato ed era considerata la Beirut italiana.
Per non parlare della “legalità” che era considerata un tabù, una parola sconosciuta o solamente un semplice consiglio. Tanto è vero che non venivano rilasciati scontrini fiscali dagli esercenti per le spese esose sostenute dai clienti, mentre tali ricevute erano pretese dai poveri ambulanti trainati dai carrettini, i quali erano sottoposti ai controlli a tappeto per segnalazione degli irregolari esercenti agli ordini preposti.
Coloro che avevano da sempre sfuggito ai controlli, inveivano contro gli occasionali concorrenti con la pretesa dell’addebitamento di multe salatissime per un ciuffo di prezzemolo in mancanza della ricevuta.
In strada, i centauri filavano privi di mezzi obbligatori di protezione: il casco era un elemento messo al bando, guai a indossarlo.
Le truffe e l’arte dell’arrangiarsi avevano preso piede da lungo tempo e Bagnerafriddi divenne il loro regno.
Le informazioni dunque non furono per nulla incoraggianti pur tuttavia, fiduciosa, mi recai nella sede predestinata considerando solo uno stupido pregiudizio l’informazione ricevuta, ignorandone il presagio deprecabile delle sciagure annunciate, che inizialmente non percepivo, ma che dopo lunghi anni mi si confermarono.
Al primo impatto mi resi immediatamente consapevole di trovarmi in un paese freddo e ostile, sentimento atavico avvertito e riflesso dagli indigeni, che consideravano come unico calore conosciuto quello rappresentato dalle bocche di fuoco delle armi, dagli incendi dolosi provocati



con disinvoltura dai nativi del suddetto e dall’eruzione fumogena delle voragini degli stabilimenti chimico-minerari.
Gli stabilimenti, in effetti, rappresentavano un’impressionante forma di guadagno, che incideva in maniera decisiva sul bilancio economico cittadino.
La sua fonte di ricchezza era determinata dalla produzione di materiale chimico e/o minerario da utilizzare a scopo benefico o da impiegare per altri aspetti più o meno proficui nel settore della farmaceutica per la prevenzione e per la ricerca.
Purtroppo, con l’avanzare del tempo, abitanti ed esperti ambientalisti, si accorsero in ritardo del pericoloso effetto devastante dei veleni inquinanti, emanati in tutta l’atmosfera del paese.
Avvenne così che gli abitanti ignavi, portarono il segno, sulla propria pelle, del disastro ambientale e maledirono la gran sorgente di guadagno che si era rivelata un’arma a doppio taglio:
da un lato offriva benefici e lavoro, dall’altro toglieva la prosperità e la salute, punendone l’avidità.
Dopo un brevissimo periodo d'abbagliante albore ed entusiasmante sublimazione dell’ambito lavorativo, mi resi conto che le informazioni ricevute rispecchiavano la cruda realtà provinciale raccontatomi per sentito dire a viva voce.
Bagnerafriddi era un comune anomalo, dove gli abitanti non risultavano ancora monitorati all’anagrafe cittadina e le loro abitazioni non rientravano nel piano regolatore del comune, con l’aggravante nel medesimo, che l’illegalità regnava sovrana.
Sullo sfondo di questi inquietanti aspetti urbani, si distingueva l’encomiabile onestà del primo cittadino: Crocifisso De Benedetti, il quale si fece garante paladino degli onesti contro
l’inespugnabile fortezza delinquenziale.
A Bagnerafriddi, conobbi la collega straordinaria Chiara Bianchetti che mi guidò attraverso la sua esperienza vissuta, fuori dell’inferno profondo dell’amata e odiata provincia, dove nella stessa, con facilità veniva applicato il marchio indelebile mediante la diffamazione; lo stesso all’inverso era impossibile rimuoverlo se non tramite la fuga e l’esule allontanamento.
Di lei si era parlato molto e la sua fama di collega leggendaria, vittima illustre del sistema di potere scolastico corrotto e assolutista, la precedeva.
La conobbi per caso e la sua storia stimolò la mia curiosità, nonostante le velenose maldicenze tendenziose da parte delle colleghe, che miravano ad allontanarmi da lei.
Chiara aveva insegnato per interminabili anni, in una scuola malfamata d'infimo ordine: la PIO EMBLEMATICI GIUSTI.


L’istituto scolastico era considerato scuola di BULLISMO per eccellenza, se non anche: Palestra di recrudescenza micro- criminale, era ubicato in via Nidioti, traversa della via principale denominata NAPOLI e il suo numero civico coincideva spesso ad uno stabile referenziato pal. AVERNA.
Per un caso fortuito, ironia della sorte, sorse una costruzione penitenziaria affiancata alla scuola:
un Super Carcere Minorile, che servì ad esorcizzare e limitare il fenomeno delinquenziale della micro-criminalità diffusa.
In prossimità della stessa via, avevano costruito un gran velodromo, dove nello stesso, si esibivano balordi centauri con pericolose acrobazie per sbollire il loro spirito di rivalsa nei confronti della tranquilla e fortunata società perbenista ed opulenta.
In questo scenario tetro e inquietante, si aggiungeva, ad oscurare il paesaggio, l’incessante fumo delle ciminiere sorte in prossimità della scuola che la rendeva, con i suoi maleodoranti miasmi, ancora più fatiscente e putrida.
Durante le ore di lezione, quando il vento avverso trasportava nelle varie classi i gas inquinanti, attraverso le finestre rotte, i marmocchi si guardavano con circospezione e si accusavano di aerofagia con lo sguardo e a viva voce per l’irrespirabile aria prodotta.
La cinta muraria della costruzione recente portava i segni visibili del degrado costante.
In tutto il suo perimetro di recinzione, si rilevavano segni indelebili dei graffiti metropolitani d'ignoti baby artisti di strada.
L’atmosfera oscura contrariamente, s’illuminava a notte fonda quando il silenzio dei dormienti serpeggiando nell’aria, agevolava le furtive scorribande degli accaniti teppisti piromani, i quali favoriti dalla complicità del buio, concludevano la lunga serata trasformando in rogo le auto incustodite nel libero parcheggio.
Durante il giorno tra il frastuono generale e l’animazione per l’intera via, il fabbricato scolastico appariva somigliante a uno zoo, dove le specie animali erano individuate dai movimenti caotici e frenetici degli alunni, i quali imitando le scimmie si arrampicavano sui muri, sulle grondaie e sui tetti. Tali movimenti abituali non interessavano le piante autoctone del giardino, dove le opuntie, i cereus, i cactus servivano da deterrente e ne limitavano l’assalto.
All’esterno dello stabile in tutto il vicinato circostante, si udivano le urla disumane dei minori, simili ad acuti barriti elefanteschi che laceravano i timpani dei frettolosi ed impauriti passanti. Essi si mostravano senza freni né controlli e continuavano imperterriti a effettuare attività ludiche insidiose, che mettevano a serio repentaglio la propria incolumità e quella degli altri coetanei.





Internamente era anche peggio. Gli inattesi visitatori di quella scuola si accorgevano immediatamente dell’invivibilità e del degrado: professori che rincorrevano alunni e alunni che rincorrevano i loro inseguitori o impavidi precettori.
Dall’interno verso l’esterno, il fabbricato scolastico si presentava austero simile ad una prigione.
Nel piano inferiore erano saldate rugginose grate di ferro, nelle quali apparivano marmocchi urlanti, simili a prigionieri martirizzati sotto tortura o a delle bestie da macello.
Nei piani superiori le finestre sprovviste degli elementari criteri di sicurezza, consentivano agli scellerati di catapultare: banchi, sedie, libri, zaini ed oltre persino cattedre a discapito dei malcapitati che sostavano nel cortile, trovandosi nel posto sbagliato al momento inopportuno.
Con consuetudine tali gesti reiterati da parte dei mini- malfattori, venivano tollerati e difesi ad oltranza da parte della direzione. Anzi la punizione era destinata ai subenti del danno nel caso in cui i sopravvissuti ne presentavano lagnanza. Le vittime di questi soprusi erano costrette a divenire allora, degli auto-giustizieri per il torto ricevuto, subendone e aggiungendone ancora altre conseguenze penali a quelle fisiche. Le vittime dunque, privati di diritti perequativi, venivano trasformate in carnefici.
In questa bolgia infernale prende forma la trama della narrazione al fine di divulgare i fatti certi avvenuti nella scuola, che venivano sino ad ieri combattuti ed insabbiati perché disdicevoli.















CAPITOLO II
IL DEBUTTO NEL CONTESTO SCOLASTICO

Dalla cornice logora e lercia della mala società scolastica della Pio Emblematici Giusti di Bagnerafriddi, telaio dallo spessore di fregi unti dalle disonorevoli calunnie, scalfito dagli atti denigratori degli “apostoli di satana”; veniva immortalata nella tela della beatificazione
la crocifissione delle prodi professoresse.
A scuola ogni giorno era esposto in presidenza e negli uffici amministrativi un Editto, dove si rilevava la persecuzione del momento verso gli esemplari missionari scolastici.
Tra queste risultavano vittime immolate: Chiara Bianchetti, Abelarda Campailla, Pietra Spadaio. A queste, si aggiunse una quarta croce al calvario illustrato nel quadro, che servì per la purificazione di Santa Beata Pace.
Chiara era un’insegnante mite e remissiva, proveniente da un illustre passato professionale. Ben presto dovette accantonare le sue qualità di notevole valore, per annullarsi nella nuova realtà popolata da luridi sgherri d'ogni età.
Personalità eclettica e singolare, dalle molteplici sfaccettature, con doti nascoste messe all’ombra o al bando, fu messa alla gogna per non aver accettato per la sua rettitudine la forza di scambio inconciliabile su proposta di compromesso.
Senza calare il velo pietoso sugli avvenimenti scabrosi accadutole, appare necessario riportare
la fedele descrizione del personaggio nel ruolo di insegnante.
La Bianchetti, prima di essere deposta nel loculo del dimenticatoio per le sue eroiche gesta,
si presentava in veste autorevole di docente illuminata, sapiente e colta, da autentica professionista.
Ma il caso volle che insegnare per lungo tempo in quella maledetta scuola, le rovinò il suo indiscusso prestigio ed onorabile reputazione.
Si palesava che come un incubo irrequieto e rumoroso, insegnare alla “P.E. Giusti” rappresentava il precipizio inesorabile al raggiungimento del declino professionale seguito dal totale annullamento delle proprie referenze privilegiate.
Insegnare in quella scuola era come retrocedere ed impoverirsi culturalmente e socialmente, aggiungendo al nero e vuoto vissuto professionale, episodi scabrosi che definivano l’ingiusta impopolarità.




In questo fosco contesto descrittivo, la figura di Chiara non passava inosservata anche perché, navigando contro corrente si attirava lo sguardo incuriosito dei critici osservatori per l’immagine professionale che rappresentava.
La sua personalità, a livello umano, era poliedrica irta di sfaccettature difficili da descrivere perché in base all’umore del momento, diveniva una figura camaleontica, difficoltosa da percepire.
Anche il suo carattere eccessivamente tollerante e sensibile ai problemi del prossimo, contrastava con la sua immagine riconosciuta dagli estranei combattuta e sopraffatta nell’ambito lavorativo.
Il suo look si differenziava da quello tradizionale delle grette colleghe che assumevano forme stereotipate, scegliendo capi d’abbigliamento sobrio e “démodé”, come ad esempio le sorelle Lo Zito e le altre “Vergini Immacolate”.
Seguendo le tendenze della moda, indossava: tute mimetiche, borchie di metallo, felpe rappresentative e dedite alla guerra, accessori con ornamenti marziali, lasciando presagire le lotte future da affrontare in quella giornata ed evidenziando gli elementi su cui dare battaglia per scatenare un putiferio. Il suo passo scandito a suon di marcia e la sua andatura scattante ne annunciavano l’allarmante giornata. Per lungo tempo fu temuta e venerata, ma il ricambio del materiale umano e sociale, le furono fatali per l’onorabilità della sua carriera.
Percorrere l’irto sentiero dell’accettabilità di quella comunità scolastica risultò un’imponente e ardua azione. Già gli inizi poco incoraggianti, dimostrarono l’ineluttabile ostilità manifesta, trasmessa mediante atteggiamenti d'indifferenza ed intolleranza pregiudiziale.
L’insegnante fu accolta all’ingresso del suo servizio nella scuola con la totale non curanza da parte dei colleghi, i quali le dimostrarono apertamente la loro ostilità mediante il basso livello umano, basato sull’ apparente grandezza e superiorità.
Fu scrutata dall’alto in basso dalla coppia Lupo Nerina Insabbìa e Campailla Insabbìa Torquato, coloro che avevano da sempre con supremazia, divorato con avidità la scuola e la sua struttura, inneggiando e simbolizzando, dal vero, il famoso storico stornello romano:”Chi se ne frega” Dopo illustri trascorsi vissuti in servizio in sedi prestigiose e all’avanguardia didattica., metodologica, amministrativa e dirigenziale, la nostra eroina ottenne il trasferimento a Bagnerafriddi in quella squallida scuola.
Al suo arrivo era presente la Preside Elisabetta Lo Re, la quale ricevendola nei corridoi dell’istituto, si accorse che non era stata informata del suo trasferimento e la nomina non le era




stata ancora comunicata, infatti i lavativi ausiliari della scuola, avevano tale documento tralasciato dalla consegna e occultato lo stesso considerando molto impegnativa e faticosa l’operazione richiesta.
Fu necessario effettuare un ordine di servizio da parte della dirigenza affinché prendesse luce la ricerca di ritrovamento e schiodare il signor Poppi Caronte, che per consolarsi dalle sue frustrazioni, restava sempre incollato nella sua poltrona, al fine di rilevare il sentimento di rivalsa nei confronti dei professori.
I debutti della nostra protagonista si aprirono all’insegna dell’accoglienza glaciale e fredda sufficienza.
Le sorse spontaneo il sospetto di essere divenuta evanescente ed invisibile dinanzi agli sconosciuti umani di quel preciso momento.
La sua figura, mai passata inosservata, diveniva totalmente inesistente e si rese conto di comparire come un fantasma dinanzi allo sguardo assente dei colleghi.
La stessa presenza invece, fu tenuta in conto e reputata fondamentale durante l’elezione dei collaboratori della dirigenza, da parte di quelli che anelavano ad ottenere le ambite poltrone.
Sotto la reggenza della Preside Elisabetta Lo Re, l’ambiente scolastico si era trasformato in una vera oasi protetta, dove la sopravvivenza poteva essere garantita dall’atteggiamento tollerante e comprensivo di chi la dirigeva.
L’equità nel dosare identiche misure d' assunzione responsabilità e la fiducia estesa sulle opere dei docenti, limitava l’avanzamento del nucleo consistente di potere che intendeva arrampicarsi ai vertici della dirigenza.
Elisabetta, per lungo tempo, tenne duro e il suo governo resistette all’assedio degli approfittatori di codesto clemente potere di “ lasciar fare”.
Come una fiera leonessa nella Giungla della burocrazia istituzionale, la preside Lo Re teneva a bada i lupi in difesa delle inermi pecore, consentendo l’alimentazione ai pochi avvoltoi con gli avanzi consumati dalla sua corte.
Tutto ha un inizio e una conclusione ed anche per la preside giunse il giorno del commiato.
Quasi immediatamente alla fine della sua dirigenza, i lupi e gli avvoltoi si coalizzarono e si spartirono il cospicuo bottino con grande esultanza e gioiosa felicità nell’avere ottenuto il libero campo d’azione, per ampliare i loro loschi affari.






































CAPITOLO III
IL BUIO

Il cambiamento da una dirigenza all’altra avvenne in un giorno estivo del primo luglio non molto lontano e si avvertì all’improvviso attraverso i segnali di fumo propagati in tutta la via Nidioti.
L’avvenimento lasciò sperare e presupporre un rito propiziatorio di ardere i resti del vecchio “sistema” per lasciare il posto al nuovo “regime” nascente.
Tutto ciò si svolse a svantaggio degli abitanti del quartiere, i quali furono costretti a sigillare le loro imposte nonostante l’elevata temperatura, per non subire l’esalazione fumogena proveniente dal giardino circostante la scuola.
L’episodio lasciò intendere che al saccheggio avvenuto da parte dell’”antico regime”, era necessario ricorrere al fuoco e alle fiamme come forma di purificazione.
Invece i fatti smentirono l’abbaglio ritenendo l’episodio “tutto fumo e niente arrosto”.
In effetti, il fumo era solo l’avviso di una dichiarazione di guerra annunciata.
Quei segnali erano la rappresentazione fedele di una guerra sulla falsa riga degli indiani d’America, vale a dire dei Pellerossa: Sioux.
Parteciparono ad attizzare il fuoco e ad alimentare le fiamme, Modesto Bastiano Pampina, l’antico custode e Libero Grasso l’ex primo collaboratore della dirigenza.
Il primo: Modesto Bastiano Pampina, uomo rude, ma di sani principi e uomo tutto ad un pezzo, si era sovente distinto per il suo atteggiamento servile e collaborativo ed aveva da lungo tempo contribuito agli interessi della scuola, grazie alla manodopera energica resa con sacrificio dai lavori massacranti assegnati.
Non era nuovo nell’ambiente, anzi aveva da sempre rilevato un marcato senso d' appartenenza alla scuola, espresso con fedele dedizione e considerevole operosità
Si era dato da fare negli anni passati, in maniera esemplare, per sanare le sorti dell’ambiente scolastico. Era temuto e rispettato dai pargoli e altresì considerato dalle famiglie con le quali interagiva in perfetta sintonia, mostrandosi una sorta d'istituzione affiancato da insegnanti, dirigenti e collaboratori scolastici e amministrativi.





Assunto come giardiniere ed inseguito come custode del complesso scolastico, gli fu assegnato l’alloggio da parte del Comune, al quale rispondeva delle sue prestazioni lavorative 24 ore su 24, e da cui, con la sua genuina laboriosità, aveva snidato e limitato l’insediamento dei balordi, drogati e spacciatori, che si rifugiavano negli angoli invisibili della scuola.
Gli indesiderati ospiti che s'infiltravano arbitrariamente non ebbero vita facile e rinunciarono così al loro occulto riferimento abituale trasferendo il loro covo e i relativi loschi affari altrove.
Ben presto però, i dirigenti che si susseguirono approfittarono delle sue peculiarità operative e lo utilizzarono a loro piacimento trasformandolo in un mulo da soma.
La fuliggine provocata dall’incendio degli alberi sradicati in maniera selvaggia dall’ordine ricevuto, aveva annerito e oscurato non soltanto il cielo a mezzogiorno, ma anche segnato per lui l’oscurità nell’ambito lavorativo per gli anni a venire.
Avvenne così il suo lento declino. L’antico regime insediato con il nuovo capo iniziò a tracciare le varie strategie finalizzate ad allontanarlo.
Fu bersagliato lui e la sua famiglia. Gli tolsero la luce nel suo domicilio e lo privarono dell’acqua, gli tolsero persino le chiavi di accesso di entrata nella scuola, le stesse che rappresentavano i suoi strumenti di lavoro.
Istigarono persino gli alunni a sputargli addosso. Lo provocarono in ogni modo, lo perseguitarono e lo sfruttarono sino all’estremo, costringendolo ad abbandonare i locali destinatogli. Tutto ciò avvenne al fine di poter brindare a Venere, in sua assenza, senza alcun controllo negli ambiti assegnatogli, ove i corrotti intendevano trasformarli in un luogo di perdizione cioè in una sorta di casa di tolleranza.
Pur tuttavia, per la sua semplicità e timorosa remissione non si curò di essere stato messo da parte ed escluso da ogni situazione economica vantaggiosa che gli spettava per diritto.
Lo tennero all’oscuro di tutte le sue spettanze finanziarie destinate per sè e per la sua famiglia, somme rese dal lavoro ulteriormente superiore rispetto alle sue reali mansioni attribuite.
Poiché aveva da sempre dato lustro, per il suo accanimento lavorativo, continuò a peccare di ingenuità adempiendo alla sorveglianza senza mai abbassare la guardia ed effettuando su specifiche disposizioni imposte, il lavoro di collaboratore scolastico che spettava agli altri più privilegiati e fannulloni bidelli




Coloro che avevano preso le redini del potere della scuola , sicuramente gli avevano reso indegno l’ambito lavorativo, portato allo stremo della sopravvivenza, aggiungendo altre tattiche finalizzate alla definitiva scomparsa di quell’ elemento per loro scomodo.
L’episodio culminante avvenne in occasione di un’intrusione di un vagabondo nel cortile della scuola, il quale cacciato su ordine del dirigente, aveva opposto resistenza e risposto con insulti al temerario sorvegliante.
L’onesto lavoratore dovette redarguire bruscamente l’individuo facinoroso che si rifiutava di abbandonare il campo. In seguito al fatto, avvenne una colluttazione che offrì l’occasione al preside incaricato di denunciare il suo impiegato alle forze dell’ordine con il pretesto di aver provveduto con mezzi inidonei, a sua insaputa, all’allontanamento dell’abusivo infiltrato.
Abbandonato a se stesso, il tenace Signor. Pampina dovette improvvisarsi giustiziere contro le feroci incursioni degli estranei nell’ambiente, i quali furono incoraggiati dall’intervento inefficace e paradossale del capo d’istituto, che tollerava e sosteneva gli inaspettati visitatori a sostare con estrema sfida colui che, disarmato, veniva obbligato a fare la ronda.
Gli anni bui giunsero per tutti e in particolare per le altre figure autorevoli.
All’incendio di quel tragico primo giorno infatti, si offrì, per far divampare le fiamme, l’ex vicepreside Libero Grasso, uomo esemplare e figura carismatica, temuto e venerato dall’intera utenza scolastica.
Le fiamme continuavano a propagarsi, ma nessuno osò intervenire.
La gente continuò a lungo e per l’intera giornata, a interrogarsi ineluttabilmente sui modi e sulle maniere di come fronteggiare la nuova realtà del momento, anche se già abituata alle furiose fuoriuscite asfissianti delle ciminiere della zona.
La cenere si era sparsa nel cielo grigio e si era depositata sui panni stesi, mentre il fumo si era espanso sugli stabili circostanti in tutte le direzioni, annerendo ogni angolo della via ed oltre.
A tal proposito, gli abitanti del quartiere si consultarono, rendendosi conto di non aver ancora provveduto alle maschere antigas e per l'episodio ritennero necessario ricorrere a tal emergente necessità mediante l’urgente acquisto.
Così, in breve tempo, alla fine della mattinata, il fuoco diventò cenere e le fiamme furono domate senza l’intervento proficuo degli idranti. Tale arresto risultò rassicurante per il vicinato, il quale considerò scongiurato il pericolo di propagazione dell’incendio, ma nell’ambito della scuola avvenne l’esatto contrario.

Gli abitanti della via, invece, furono rassegnati e speranzosi in un radicale mutamento nell’ambito dell’istituzione scolastica, dimenticarono l’accaduto e diedero pieno sfogo all’enfasi del cambiamento che auspicava migliori prospettive.
Parecchi disincantati, erigendosi a giudici inflessibili, si accorsero dell’ingannevole presagio inquietante e veicolarono voci innocenti di verità che preannunciarono evidenti perplessità sulle speranze agognate.
Secondo il parere espresso da un fanciullo di buona famiglia di soli dodici anni, che aveva avuto la sfortuna di frequentare quella scuola, affermava che la situazione scolastica sarebbe rimasta invariata, anzi, anche peggiorata. Gli eventi gli diedero ragione e la sua opinione concretizzandosi ne divenne la distruzione annunciata.
In effetti, si prese in considerazione e si ritenne presente l’illusorio buon auspicio.
Però, l’incanto si spense bruscamente e ci si convinse che non tutti i cambiamenti sono volti a restituire il vigore e a garantire l’equità al nuovo.
Di quel giorno estivo così caldo e nebbioso, restò nitida l’idea rappresentativa di essere proiettati lontani nel tempo e nello spazio e di presagire un grigio autunno in uno spettrale paesaggio dantesco tratto dall’INFERNO con il protagonismo della scuola: “P.E. Giusti”.
Le sventure successive vissute dal personale in servizio in quella scuola ne confermarono i tristi e discutibili presagi.
Originariamente, tale istituzione, vantava gloriosi passati trascorsi sotto la dirigenza del Preside Orazio Lorefice, al quale parecchi insegnanti e dirigenti, attinsero invano al suo modello inimitabile.
L’ultimo a voler per vanità adeguarsi all’esemplare modello, fu l’ancor dirigente, Pio Ponzio Duce, detto” Ivan il Terribile” noto per la sua pseudo ideologia comunista: bolscevico per l'ideologia, tiranno per eccellenza.
In effetti, la sua dittatura e gli abusi di potere in nome del suo ideale, avrebbero offeso il bolscevismo autentico con il considerare un grave l’insulto a un comunista per l’adesione politica dello stesso e per quella del suo “compare” primo collaboratore.
Il suo arrivo in quella maledetta scuola sconvolse il tranquillo equilibrio del disordine e del caos generati da lunghi anni di una perfetta tolleranza da parte della vecchia dirigenza, la quale aveva adottato la strategia del totale disinteresse organizzativo e quasi imparziale atteggiamento per una pura convivenza pacifica.


“Ivan il terribile”sbagliò subito nel circondarsi d'improprie alleanze con i collaboratori, che resero evidenti le trasformazioni dittatoriali. Scelse come primo collaboratore un suo ex compagno di merende, un certo Pio Mangione, il quale sconosceva la mitezza e la tolleranza, contrariamente al suo nome di battesimo, presentava un enorme accrescitivo al cognome per l’ampiezza delle sue finanze, smentendone lo spessore della sua persona esile. Tali accorgimenti si configuravano con il supporto alle mazzette che intascava a spese dello Stato.
Poteva risultare di bella presenza, smilzo di costituzione, ma abominevole per i suoi sprezzanti e talvolta feroci toni, bisognava imbavagliarlo, guai ad aprir bocca. Era peggiore di un serpente velenoso per le nefandezze proferite e per le espressioni vituperevoli esternate.
Individuo viscido, spesso si trasformava in un essere immondo e malvagio, esprimendo il suo risentimento misogino, discriminatorio e pregiudiziale.
Inversamente, il suo risentimento non veniva esteso verso le poche predilette e protette supplenti d’assalto, che gli garantivano, in cambio, le offerte delle proprie prestazioni da messaline nei riguardi anche del capo d’istituto del momento. Fu per questo che gli attribuirono il nominativo di” Pappone il protettore”.
Il losco consigliere ben presto fece decapitare i vertici della direzione ed esautorò figure salienti e autorevoli come l’amato, secondo allora, mite collaboratore Libero Grasso.
Agli inizi della sua dirigenza, Ivan il Terribile tentava di ripristinare un po’ d’ordine, ma non
oppose resistenza alle decisioni del suo vile consigliere, il quale gli pose ai vertici l’antico regime. Il “branco” riprese possesso e potere decisionale, e salì al comando.
S'insediò così, una potente associazione di potere che prese piede sottoforma di regime assolutista e repressivo dove l’illegalità e le ingiustizie trasferite alla “P.E. Giusti “ ne divennero di casa.
Come segno di spiccata attitudine al comando gli assalitori fecero valere la loro malvagità in difesa dei loro interessi economici ottenuti dall’illegalità.
La scuola “P.E.Giusti”simbolizzò allora in pieno il concetto di malvagità.
Tale natura spregevole ebbe successo solo perché le poche persone perbene avevano rinunciato al potere, sia per servile sottomissione, sia per mediazione di compromesso e oltre per mantenere il quieto vivere e per il timore di essere calunniati con l’accusa d’incapacità da parte degli oppositori.
In un clima di terrorizzante dittatura e di basso profilo istituzionale, si protrasse l’interminabile periodo d’oscurantismo che marcò i lunghi anni bui della P.E. Giusti, danneggiando la reputazione di parecchi illustri professori.
















































CAPITOLO IV
IL “BRANCO”

Il periodo buio si tracciò e investì tutto il personale della scuola, fatta eccezione il nucleo di potere costituito, il quale crebbe a vista d’occhio a carico dell’utenza scolastica e a spese del Ministero.
Già noto nell’ambiente, ex professore di quella scuola, “Ivan il Terribile” tenne da Capo d’Istituto, la prima riunione nei primi di settembre. Il suo debutto prese le sembianze di una seduta ipnotica a sfondo deontologico esasperante che, per l’enfasi mostrata, divenne quasi persuasiva per tutti i presenti, i quali apprezzarono la rapidità della durata del Collegio e i buoni propositi manifestati come neodirigente.
Le sedute successive cambiarono i toni che divennero sempre più accesi e dittatoriali simili ai programmi religiosi inquietanti dei più fanatici Integralisti Islamici, celebrati in onore di Maometto, dove si delineava il febbrile senso della speculazione associata alla vanità del baluardo del potere conquistato.
I membri di tale gruppo di potere si distinsero per l’insolvenza verso i propri doveri e per l’intemperante avidità.
Tra i tanti emersero: Dimessa Gambuzza in Calcagno, donna di scarsa cultura professionale e priva di competenze disciplinari, ma dotata di spiccato senso pratico e con l’unico prestigio di essere lesta nell’appropriarsi legalmente del denaro pubblico. Riusciva facilmente a togliere il pane dalla bocca anche “ai morti di fame” conoscendo benissimo l’arte dell’arrangiarsi.
I suoi colleghi, risentiti, si stupirono di essere rappresentati da un’incolta che aveva conseguito un titolo inadeguato al ruolo.
Rabbiosi di sommessa invidia, si resero conto che “la sguattera” aveva raggiunto i vertici dell’assoluto potere totalmente priva di requisiti culturali necessari.
Così tramarono tutti contro di lei e la definirono la “lurida” ma, per passiva prudenza, nessuno le osò schierarsi contro.
Era divenuta il diretto superiore delle colte colleghe, le quali conoscevano bene la preparazione dell’insegnante.
All’insegnante però, veniva riconosciuto un gran merito quello di saper ben suonare, in onore al dio denaro, le care monete con il tintinnio nelle sue casse cigolanti.




Gambuzza aveva, in effetti, accumulato somme ingenti per l’acquisto di locali addetti alla ristorazione.
Non a caso aveva partecipato a tutti i progetti incentivati inerenti al Vino, al Riciclo, alla Guida per le richieste di Finanziamento; escludendo a priori tutti quelli destinati alla beneficenza per promuovere solo le ideazioni allettanti e mirate ad arraffare il suo bottino.
Non sacrificò grandi sforzi per montare ai vertici della scuola, esternando false lusinghe al provvisorio capo d’istituto, allettandolo con ciechi futuri guadagni provenienti dalle sue abili attività d’intrallazzo.
Arraffava con quella vecchia marpiona,”cocca di mamma”, un donnone informe da un'evidente ed eccessiva massa di lardo somigliante ad un pachiderma, in effetti poteva rappresentare la fedele riproduzione vivente di un’originale mostruosità scartata dallo stesso Botero. La Raffaella Calcagno, privilegiata dalla mamma, appariva come esperta esterna alla scuola in tutte le attività incentivate dell’istituto, ma veniva considerata già da tempo dai compaesani del suo comune di nascita, una pornostar per i numerosi filmati venduti sommessamente al pubblico.
Sciattona come la madre che circolava in ciabatte nei corridoi della scuola, la Calcagno junior, si trovava in qualsiasi ora in presidenza adagiata comodamente sulla poltrona “presidenziale” con i suoi scarponi sulla scrivania, al fine di dimostrare la sua indissolubile padronanza e appartenenza ai proventi dello Stato.
Per difendere i suoi introiti la Gambuzza Dimessa, si circondò di gente più elevata culturalmente come Soldino Colombo, che presentava una preparazione scolastica superiore alla sua.
Lo stesso, forse discendente dell’illustre navigatore, aveva scoperto l’America alla Pio Emblematici Giusti di “Bagnerafriddi” e che, per non perdere il privilegio dei facili guadagni e non spegnere l’insaziabile ambizione, aveva rinunciato persino al servizio scolastico nel comune di appartenenza, divenendo da precario l’illustre “portaborse” di ogni dirigente.
Consociata sin dalle origini dell’inaugurazione della scuola, con tutti i dirigenti per i facili guadagni frutto dell’appropriazione indebita, si rivelò la coppia Nerina Lupo in Campailla Insabbia con il marito Torquato. Gli stessi personaggi, grazie alle uova d’oro della gallinella SCUOLA, avevano mantenuto agli studi, laureato e sposato la loro prole a carico dello Stato.
I due non cessarono mai di ringraziare quella scuola, la quale era divenuta galeotta all’origine, favorendo il ben sortito incontro e sviluppando nel corso degli anni le loro finanze da mamma prosperosa verso i legittimi eredi.

Molti fecero parte di questa combriccola che non conosceva ostacoli e, in maniera spietata, proseguiva l’affannosa corsa verso il facile guadagno, calpestando come un rullo compressore i diritti e la dignità d'ogni integerrimo insegnante.
A fronte di tale percorso, gli arrampicatori si servirono di parecchi individui corrotti, i quali divennero parte integrante ed esclusiva della banda.
Parecchi componenti però, risultarono delle figure marginali e di basso profilo istituzionale, ma ugualmente utili per il sistema come prestanome per le loro coese mire di predominio.
Interpellarono Indelicato Vinicio per dare una mano alle loro manovre di malversazione e lo deposero a capo del gruppo divoratore.
Cataplasma per natura e costituzione, era da sempre passato inosservato e scarsamente considerato dai colleghi, i quali per lungo tempo l’avevano ignorato per le sue modeste capacità.
Poi all’improvviso con la nuova dirigenza fu elevato dai sostenitori come un impiastro burattino ai vertici del comando, ma non valeva quanto instaurato.
Seguì la stessa scia Lucrezia Veronese che si era alternata parecchie volte in cima alla scalata, assaporando la sua inesauribile sete di potere con l’appagamento dei sensi. verso i capi.
A tal uopo, si giocò tutte le sue carte bluffando a svantaggio delle colleghe con le quali, beffarda, si scherniva. Divenne, repentinamente, la ninfa Egeria del vice e n'esaltò le sue doti da Messalina per raggiungere, da ignorante venale, l’ambito potere.
Seguì la sua scia Cornelia Borgia, “l’odiata” dalla moglie del capo che per il tradimento da parte del marito dovette attraversare il periodo più difficile della sua vita già aggravato dalle sue condizioni di salute cagionevole, divenendo la prima vittima innocente della catastrofe del momento.
“L’odiata”, al contrario fu ben amata dal dirigente, il quale ogni inizio dell’anno scolastico non si lasciava sfuggire il suo nominativo nel contratto d’assunzione nell’ambito della scuola, scegliendola come sua “maîtresse”.
Cornelia Borgia, felicemente coniugata con prole, insegnante precaria della scuola, elevata a prima donna e sempre sulla cresta dell’onda, fu pronta a sfidare tutti e tutto in difesa dei suoi interessi sentimentali ed economici e con disinvolto accanimento non risparmiò nemmeno la sua famiglia, marito compreso, per raggiungere la vetta del potere
Furono in tanti a concorrere per il potere ma poterono accedere solo i pochi privilegiati che presentavano le caratteristiche opportunistiche, privi di valori altamente edificanti.
Coloro che erano dotati di elevate virtù furono contrariamente annientati con mezzi spietati.


Gli improbi eletti, saliti al potere, misero al bando e calpestarono: l’onestà, la rettitudine, i nobili ideali e le grandi virtù.
Per la colossale truffa ai danni dello Stato si avvalsero di personaggi avidi e ambiziosi come Mario Fregatane, sindacalista senza né opere né portafoglio, totalmente privo di interesse fattivo in favore dei colleghi, i quali lamentavano la sua inadempienza.
Per niente collaborativa, bensì privilegiata risultò anche Elena Troia, la quale sempre assente dal suo posto di lavoro per i suoi interessi sentimentali e carnali del momento, veniva incoraggiata ed autorizzata, dal Preside incaricato, ad abbandonare il servizio, per altro mai offerto a colleghi e all’intera utenza scolastica.
Sempre presente nei locali della scuola per i suoi intrighi, risultava all’inverso eternamente assente dalla classe per le attività curriculari da svolgere.
Però, meno lavorava e più guadagnava soprattutto grazie al nuovo dirigente, il quale le offriva tutte le garanzie e grandi opportunità per esaltare le sue doti amatorie con ogni esperto esterno di suo gradimento, che risultavano di gusto al suo godimento.
Come una lupa ninfomane per natura, si accingeva a circuire chiunque avrebbe indossato un paio di calzoni. Erano tutti di suo piacimento e nessuno sfuggì alle sue grinfie per le sue doti naturali necessarie al fine di esercitare la professione più vecchia del mondo negli ambiti di quella scuola.
La pratica dell’arte amatoria fu configurata da molti, i quali si servirono per espletarla dell’alloggio abbandonato dal custode signor Pampina e fu estesa anche nei laboratori attigui.
In quei locali illuminati dalle luci rosse, accesero le fornaci senza alcun freno e diedero sfogo senza ostacoli ai loro istinti bestiali finalmente senza alcun controllo da parte dell’onestissima famiglia dell’ex custode.
Negli stessi, si riavviarono la condotta idrica e l’illuminazione negate all’onesto operatore per dar luce a spreco a notte fonda e durante la sospensione delle lezioni a spese del Comune.
L’acqua divenne un’esauribile risorsa destinata a disperdersi nelle ampie cisterne del giardino, ove era possibile l’idrocoltura delle piante acquatiche.
La mancata erogazione invece avveniva nel momento in cui il branco adottava la strategia delle uscite anticipate dei minori e di sospendere le lezioni a vantaggio delle pseudo-attività che venivano profumatamente incentivate.




Tra le belve fameliche, avide di potere veniva inserita facilmente qualche supplente onoraria, tra queste si distinse la Di ferro Prima l’ultima arrivata, la quale godette di tutti i privilegi destinati ai colleghi decani della scuola.
Si alternarono, così, in molti in fase d’assalto, ma solo pochi ne incarnarono il protagonismo.
Tutto ciò fu consentito mediante la complicità del personale amministrativo, il quale contribuì a intessere trappole contro gli insegnanti laboriosi e gli indesiderati di quella scuola.










































CAPITOLO V
GLI ASSOCIATI- I CONSOCIATI E I DISSOCIATI

Tutta la vicenda si svolse mediante la complicità di coloro che, in qualità di personale amministrativo per lungo tempo, trasformavano l’illegalità e l’ingiustizia in fonte di privilegio a favore dei pochi eletti.
Chi tramava all’ombra, esercitando l’arte dei facili introiti per gli incontrastati prevaricatori, fu nominata Maria Consolata Sciagura, doppiogiochista di riguardo, “Corvo” indiscusso del potere e “Talpa” incontrastata tra l’amministrazione-direzione e il personale docente, al quale forniva ad ambo le categorie, informazioni ed estorceva i poco produttivi commenti deviandoli al puro pettegolezzo, ostentando come giustificazione il sano interesse per senso di umanità.
Maria Consolata, per sua natura poco raccomandabile, con modestia e falso candore, si schierò subito, con diplomazia, dalla parte degli “arrampicatori” per accattivarsi la loro gratitudine.
Ma, anche ad essi, con disistima, non risparmiò lo spargimento occulto delle sue critiche feroci e spietate.
Pertanto, niente e nessuno la limitarono dalla sua abituale falsa diplomazia con la quale a briglia sciolta non cessò mai d’attuare le sue astute trappole mirate a consegnare i suoi stessi amici, innocenti prede, ai loro carnefici nemici.
Però, gli ingiusti personaggi anche se soddisfatti, non apprezzarono tale servigio e per questo non la ricambiarono mai, mostrando una certa diffidente prudenza e prevenzione con il tenerla a debita distanza dalla loro sfera sociale.
Fu così che le sue carognate le divennero pregiudizievoli e compromisero ogni rapporto sincero d’amicizia con il suo allontanamento.
Ciò che le restava era la dimostrazione d’ogni sorta di sufficiente benevolenza d’obbligo da parte dei favoriti malvagi.
Essa, senza scoraggiarsi, continuò a competere con le “prime donne” emergenti, con le quali si confrontava con vanità ed eccessiva superficialità esibendo le sue doti intellettive e le proprie beltà nascoste.
Per apparire dimenticando d'essere, si attribuì un’immaginaria laurea e gli acquisti modesti e occasionali che rilevavano l’apparire, furono trasformati in prodotti pregiati, per dimostrare di essere.
Si affidò al restauro estetico sperperando il suo patrimonio in un salone di bellezza per nascondere i suoi notevoli lustri vissuti e trascorsi. Per questo seguì un regime alimentare che l’avviò alla bulimia e ad uno sconvolgente dimagrimento organico che le cagionò insofferenza e
malessere nei rapporti umani. Pur tuttavia, restò sulla cresta dell’onda a tramare contro coloro che, ignavi, riponevano in lei cieca fiducia. Fu abile nei giochi di prestigio e riuscì a imbrogliare gli atti ufficiali a svantaggio delle sue ingenue amicizie ingannate, che entravano facilmente nell’occhio del ciclone in merito al suo contributo verso i tiranni padroni.
Il “branco”, grazie ai suoi stratagemmi, si servì sempre di lei per nascondere “gli scheletri negli armadi” della scuola.
Tali operazioni avvenivano nei giorni di vacanza e in particolare di domenica, quando gli scapestrati e i comuni insegnanti lasciavano libero il loro campo d’azione.
Reclutarono anche una certa Diletta Mirabelli caratterizzata da evidente mania di grandezza, insediata alla poltrona della sede amministrativa dove non intendeva più abbandonarla pur non avendo alcun diritto lavorativo nel suo contratto a termine.
Nessuno riuscì a rimuoverla dalla segreteria perché inserita nella lista favorita degli illustri illegali, i quali si resero conto del gran contributo che offriva loro come merce di scambio per la sua ambiziosa vanità.
Si era ben integrata la Diletta, la quale con spietato servilismo, coeso all’avidità, non risparmiava colpi per inveire contro gli onesti insegnanti.
Anche lei, come le altre rampanti, esercitava il mestiere più vecchio del mondo per ottenere dal “branco” dei benefici nell’essere aggregata a tutti i progetti incentivati proposti illegalmente.
La stessa, vantava di avere sposato un “dottore”, il quale, già impegnato sentimentalmente con un’altra, prima del gran passo, non era rimasto insensibile alle sue “arti amatorie.”
Pertanto, l’ingenuo, al fine di concedersi alla Diletta, non aveva esitato ad abbandonare quel rapporto di coppia consolidato da tempo prima dell’arrivo di quella “bella”.
Nell’ambito della segreteria, con marcato atteggiamento servile e complice al predominio degli incontrastati avventori del potere, la Mirabelli si distinse per le sue doti d'arroganza e prevaricazione, utili alla soppressione della giustizia professionale dovuta agli insegnanti.
Schierata dalla parte dell’Antico Regime” avverso ai comuni ed indesiderati operatori della scuola, collaborò con i direttori amministrativi che si avvicendavano nel corso del suo instabile servizio. Il primo a essere nominato fu Crocefisso Avorio, fratello di un’insegnante disumana, austera ed autorevole, gradita dal nucleo operativo di comando.




Crocefisso non ebbe gli stessi privilegi della sorella perché, al contrario della consanguinea, appariva dotato di maggiore senso di umanità nell’uguagliare confidenze e trattamenti economici e professionali a tutti gli insegnanti.
Per queste sue apprezzabili doti e nel timore di trascorrere periodi di detenzione per l’illegalità commessa, si dissociava spesso dal “branco”.
Pur tuttavia, Crocifisso era ugualmente ingordo e sebbene si fosse alternato all’amministrazione, aveva curato bene i suoi considerevoli interessi, adottando la strategia di apparire al momento propizio per riscuotere e svanire dalla sede amministrativa nei momenti minacciosi e poco favorevoli al guadagno. Tali trattamenti economici spettanti erano ugualmente conteggiati dallo stesso, il quale favoriva la provenienza dei finanziamenti per tutte le attività illecite di quella scuola.
Parecchi fecero parte di questa malsana e corrotta società e la maggior parte, disapprovando
l’appropriazione indebita, pose fine all’alleanza con quegli approfittatori dello stato per timore di eventuali coinvolgimenti legali, fatti che avrebbero potuto concludersi con l’ arresto.
Nella struttura sociale di quella scuola malfamata, i diritti non erano estesi a tutti gli insegnanti, ma si pretendevano in maniera esasperata i doveri solo a tutte le anime pure e nobili dai principi sani, spiriti integerrimi con valori profondi e radicati.
In questa struttura sociale comunitaria si lasciava intendere con effetto pregevole ed esaltante, il valore demaniale ed esclusivo del dio denaro, oggetto per il quale venivano calpestati i diritti dei veri insegnanti, che, animati da autentico spirito missionario, si avventuravano a subire ingiustizie costanti e maltrattamenti estremi che raggiungevano persino a dei veri e propri supplizi.
In questo modo e per tale situazione degenerante, più di una cadde come vittima innocente di tale incontrastato potere.
Tutti questi fattori delineati e consolidati dall’approvazione e dell’associazione del potere, diedero l’avvio allo svolgimento d'episodi analoghi e paralleli di persecuzione verso i comuni insegnanti.










CAPITOLO VI
I PERSEGUITATI

Nello scenario inquietante della nera corruzione di coloro che esercitavano ogni forma di repressione verso i docenti missionari, si originarono episodi d’intolleranza e di persecuzione atti a intimidire le innocenti vittime mediante gli abusi di potere. Il primo capro espiatorio illustre fu la leggendaria Chiara Bianchetti, la quale fu considerata dai suoi persecutori come mina vagante, in considerazione all’onestà ribelle della stessa che minacciava gli interessi economici di quei parassiti statali che si erigevano ai vertici.
Il sacrificio della vittima predestinata si consumò in pochi attimi e avvenne in occasione della consegna delle degli esiti di fine quadrimestre.
La incontrai per caso, a episodio avvenuto, e lei per pura gentilezza mi invitò a casa sua.
Scoprii così che oltre ad essere colleghe nella stessa scuola, abitavamo nello stesso quartiere.
Per altro, si era rilevato un bel rapporto di stima profonda per le affinità elettive, e sulla base di tali importanti dettagli, l’indussi ad evocare l’accaduto.
Viveva in un bell'appartamento di uno stabile referenziato.
Il suo discorso iniziò subito mentre ci avviavamo in ascensore per raggiungere la sua abitazione.
<< Ero insieme alla signora Renata, la mamma di Giacomo Scelfo…! Mi sono offerta di accompagnarla perché non trovava l’ingresso, chiacchieravamo sull’andamento didattico del figlio che trovava difficoltà in qualche materia e si sentiva scoraggiato…! Siamo saliti dal primo ingresso, poi abbiamo percorso il corridoio del primo piano… Per gentilezza e cortesia, ho reso alla signora gli onori di casa indicando la scala di collegamento resa agibile in occasione di quell’incontro…! Visto che era mio dovere conferire con altri genitori, mi ero resa disponibile ad accompagnarla in classe…! E fu così che dinanzi all’intera platea scivolai e precipitai, raggiungendo il pianerottolo, non ci fu scampo per me…! >>
<< Hai informato il preside?! >> Esclamai.
<< Si, l’ho fatto..! Anzi sono stati i suoi collaboratori a farlo…!>> Esclamò.
<> Chiesi.







<> Rispose.
<> Continuò.
<< E poi...? Racconta…! Ti hanno soccorsa..? >> Chiesi con notevole senso di solidarietà che mi caratterizza, invitandola a proseguire il suo racconto con marcata ed evidente complicità.
A questo punto non tacque e mi riferì nei dettagli l’increscioso avvenimento nutrito di amarezza e deludente disincanto. <> espresse con rabbia e poi, senza calare alcun velo pietoso sull’accaduto proseguì il suo racconto:<< Resi noto al Capo dell’accaduto con delicatezza e notevole pudore, anche se “ il Dittatore” era stato già informato da tutti i presenti, e sapeva che l’infortunio era avvenuto quel giorno, il 29 febbraio alle ore 17,00 dentro locali della scuola. Sapeva altresì, sulla base dell’impegno stabilito da lui stesso, che l’episodio era avvenuto per ragioni di servizio, in occasione di quegli adempimenti di consegna schede ai rispettivi familiari degli allievi appena scrutinati. A causa di una sua negligenza. Tutto si era svolto alla presenza della signora Scelfo mentre mi occupavo personalmente per la consegna degli esiti di suo figlio Giacomo alunno della mia classe.>>
Aprì l’uscio e mi fece accomodare in un divano proseguendo il discorso senza alcuna interruzione.
<< Mentre accompagnavo la signora nella classe ubicata al piano inferiore, scivolavo e precipitavo dalla scala di collegamento, la quale era stata ristrutturata e resa agibile solo da pochi giorni. L’accaduto clamoroso pur coinvolgendo sonoramente la massiccia presenza dei partecipanti di quella scuola, non fu presa in considerazione dal personale scolastico, il quale si limitò a rialzarmi dal pianerottolo e a parcheggiarmi in una sedia sgangherata ai margini del precipizio sulla base della stessa nella quale ero scivolata. In effetti, quella scala era stata tirata a lucido per l’occasione, ma risultava sprovvista quasi totalmente di adesivi antiscivolo. Accorsero a sollevarmi in fondo alla rampa i due collaboratori della dirigenza: Libero Grasso e Pio Mangione, i quali mostrandosi con circostanziale gentilezza, apparvero molto turbati per l’accaduto non tanto per generosa solidarietà, ma per il timore delle conseguenti ripercussioni alle loro omissioni di collaudo e di vigilanza sulle norme della sicurezza, sempre per la quale continuavano a percepire sostanziali finanziamenti.”, la famosa Legge 626.>>
Il racconto di Chiara proseguiva incessantemente tra i sussulti di acredine e le aspre esclamazioni incalzanti dal dolore non ancora sedimentato, mentre le ingiuste lacrime bagnavano il suo viso.
<< Ma, come hanno potuto…cagionarti ciò?>> interruppi la narrazione dei fatti.
<> dissi.
<< Carta canta…!!!>> rispose Chiara e mi mostrò tutta la documentazione che aveva raccolto, disposta in tre cartelle.
<>ribadì l’eroina vittima dei soprusi.
Prese un fazzoletto di carta, si ricompose e proseguì il racconto scottante e doloroso.
<< Dopo l’accaduto e l’interminabile permanenza sulla scala, il bidello Sollazzo Carlo, apatico e lavativo, che era in sevizio, mi aiutò a risalire la scala insidiosa che avevo misurato con il viso precipitando.>>
<> disse <<…E mi sostenne come un fardello ingombrante senza fornirmi alcun aiuto umano del caso..., dissolvendosi nel nulla. Ma, prima di scomparire definitivamente mi consigliò di lavarmi il viso insanguinato, lacerato e contuso ed invitò una collega ad assistermi nell’immediato bisogno nell’antibagno femminile. Ricordo che qualcuna, come Santa Beata Pace, apparve sulla soglia dei maleodoranti servizi igienici, ma fu solo per pura curiosità, attratta dal frastuono generato e non per esternare la propria solidarietà, molto probabilmente ritenne irrilevante l’incidente avvenuto. Infatti, nessuno si degnò di avvicinarsi per lenire il mio dolore non solo fisico per soccorrermi, ma soprattutto psichico e morale; anzi, i miei colleghi mi avevano riservato, imitando fedelmente lo stesso comportamento disumano dei signorotti del periodo barocco, quello destinato agli appestati del 600.>> Il discorso continuò tra un singhiozzo ed un altro. <> proseguì Chiara ricordando l’accaduto <>.
<> risposi, anche perché
tremavo e si avvertiva lo scricchiolio dei denti e delle ossa slogate. Ebbi un crollo fisico, ma mi ripresi con tutte le mie forze. Energicamente esclamai: << Mi riprendo stanotte e domani vediamo…!>>
<> conclusi
<> domandai a
Chiara. <>
<> incalzai. Tastai le dolenti note, ma lei senza esitare continuò ruota libera il racconto.<> continuò a recriminare seguendo il discorso sugli inizi del servizio in quella sede.














































CAPITOLO VII
“SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA!”

L’adolescente indisciplinato si chiamava Gioacchino Al Capone. Caratterizzato da eccessiva esuberanza vitale e condizionato da gravi problemi familiari che riversava nella sfera dell’apprendimento, manifestava sovente atteggiamenti di esibizionismo infantile pur essendo maturo per la sua età.
Il suo comportamento era la dimostrazione di una marcata situazione di disagio poiché l’alunno aveva perso il padre tragicamente in tenera età ed era alla ricerca forsennata di un riferimento umano con dei modelli edificanti da imitare al fine di essere guidato verso la giusta direzione e proiettato verso il mondo degli adulti.
Il discente frequentante la classe di quella scuola, privo di freni inibitori, nei primi giorni di servizio dell’insegnante, ne aveva combinate delle sue.
Di fatti, un giorno fatidico, avendo eluso la sorveglianza della classe, si era precipitato nell’aula attigua e con il cancellino intriso di polvere di gesso e si era permesso di scrollare il cuscinetto di cimosa imbottito in modo da provocare una nube fastidiosa all’ingresso dell’altra classe. Tale gesto era mirato a sfidare i frequentanti e la loro insegnante con conseguente interruzione dell’ora di lezione.
L’educatrice inferocita dal gesto, dimenticò di essere tale e accettò la sfida rincorrendo l’allievo trasgressivo che, in quel momento, si era rifugiato nella propria classe. Lo indusse ad alzarsi con modi coercitivi umiliandolo dinanzi i compagni con conseguente istigazione alla ribellione.
Proferì insulti recriminatori e gli mollò una sberla.
L’alunno, per autodifesa mise le mani avanti e ”la vipera” cadde tramortita a terra.
Per questo episodio si riunì un consiglio straordinario ove ogni docente inveiva contro il minore protagonista di quell’atto d'indisciplina.
Tutti iniziarono a “sbattere il mostro in prima pagina “ tra i fogli bianchi del registro dei verbali. A quell’atto di repressione tutti erano d’accordo tranne Chiara, la quale si fece carico del grave atto dell’orfanello, ma si schierò contro quelli del Potere Scolastico che forgiavano individui omertosi e anelavano a segnalare l’infante al Tribunale dei Minori.
Gli stessi componenti del consiglio, promotori di ingiustizie diseducative, per accattivarsi le simpatie degli altri colleghi e dare una parvenza di autorità, fecero quadrato attorno alla professoressa Proserpina Bruno: la vipera di turno estranea alla classe.


Il fatto suscitò scalpore in tutta la scuola e Chiara fu additata dall’intera comunità per il suo senso della giustizia distorto dall’opinione pubblica e il suo gesto spontaneo di solidarietà fu immediatamente frainteso da quel covo di feroci banditi.
Per l’intero anno scolastico l’eroina dovette subire, oltre alle ostilità dell’intero personale scolastico che definirono la docente “fuori di testa”, anche l’emarginazione per aver osato schierarsi in favore dell’alunno punito a loro parere giustamente.
Mentre Chiara continuava il suo racconto, una telefonata interruppe la narrazione:
era la preside Lo Re.
<> esclamai.
<> rispose.
<> continuò Chiara.
Il discorso continuò trattando gli inizi del servizio in quella “fogna di scuola”, dove gli alunni particolarmente indisciplinati e privi di competenze scolastiche e altresì figli di quel sistema arrogante e malsano, venivano ammessi alla classe successiva, mentre gli alunni in difficoltà e che frequentavano le lezioni con grande desiderio di apprendere venivano scoraggiati e disertavano le lezioni, ottenendo nuove permanenze nella stessa classe.
Gli stessi comunque restavano iscritti per ufficio ripetendo l’anno scolastico solo agli atti ma non nella frequenza scolastica in fisicità
In effetti per la formazione delle classi, i non frequentanti erano figure- fantasma prestanome destinatari necessari ad alcuni professori di quella scuola per attuare i progetti incentivati.
Tra questi risultò Maria Maddalena Napolitano frequentante la famosa classe ghetto: 3^K
Il papà di Maria Maddalena conoscendo l’esito negativo della sua figliuola decise di attuare un doveroso ricorso e si rivolse così agli Enti Preposti:















”Il signor Gelsomino Napoletano ebbe la caparbia di chiedere:”


“AL PRESIDENTE DEL T.A.R.(TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE)
epc
AL DIRIGENTE SCOLASTICO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI 1°GRADO:
“ P.E. GIUSTI” di BAGNERAFRIDDI
epc
AL DIRIGENTE DEL CSA DELLA PROVINCIA DI CALLARARA

OGGETTO: RICORSO ( ai sensi della Legge n. 205 del 21 luglio 2000 )

IL sottoscritto NAPOLITANO GELSOMINO______________________________________________________________________




Nato a BAGNERAFRIDDI________________________________il_12/08/1954_______________________________________

Residente a BAGNERAFRIDDI____________________________-via GIUSEPPE_VERDI n°345/A-______________________________________

Prendendo atto della NON AMMISSIONE all’ESAME DI LICENZA, della propria figlia Maria Maddalena , frequentante la SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO: “P. E. GIUSTI”di BAGNERAFRIDDI
CHIEDE:
…………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………
a)L’acquisizione agli atti di pareri sfavorevoli, rilevati dal REGISTRO DEI VERBALI dell’intero triennio per la propria figlia e per la stessa, dal REGISTRO DI CLASSE 3°K;
b) di poter favorire la riammissione AGLI ESAMI DI LICENZA dell’esclusa CANDIDATA;
E desiderò altresì,
la conseguente REVISIONE dell’esito finale della stessa per le seguenti motivazioni:

1) è stata inserita in una CLASSE a RISCHIO ,art. 9 del C.C.N.L.
,(Artt.11 e 47 del CCNL 26-5-1999),



arbitrariamente senza il consenso del sottoscritto, il quale pur tuttavia, per migliorare la preparazione della stessa, consentiva fiducioso nelle istituzioni, di far partecipare la propria figlia alle ATTIVITA’ proposte e programmate per la minore, fornendone l’AUTORIZZAZIONE alla SCUOLA;
2) nella stessa classe, MARIA MADDALENA, ha vissuto un triennio sofferto e tormentato, accanto ai compagni irrequieti e demotivati che l’emarginavano verso l’aspetto
sociale, condizionandone l’acquisizione dei contenuti strettamente scolastici, acquisizione risultante a livello della stessa stregua dei compagni;
3) l’esito finale della discente, sulla conduzione delle risultanze negative ottenute, non è stato anticipatamente riferito al richiedente genitore dal C. d. C. (art. 5 del D.L.vo 16-4-1994 n.297) né dai DOCENTI ( art. 395 del D. L. 16 aprile 1994, n.297);
4) il rilascio mancato all’atto dell’iscrizione della propria figlia, della copia del
“ PIANO DELL’OFFERTA FORMATIVA” di competenza della SCUOLA;
5) disinformazione DELLA NON AMMISSIONE per GRAVI LACUNE dell’alunna ai familiari, e omissione:”
a) dimostrazione di NON AMMISSIONE di MARIA MADDALENA,” per GRAVITÁ ED ESTENSIONE, gravi lacune che denotino l’inadeguato sviluppo della personalità dell’allieva
tale da rivelarsi preclusivo per l’avanzamento degli studi e, quindi da far ritenere pregiudicata la possibilità di apprendimento e maturazione nell’anno seguente, , se ammessa alla frequenza della classe successiva. ( stabilito con SENTENZA dal TAR- FIORENTINA, Sez. III., 18 ottobre 1993, n. 296).
b) l’AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA deve attivare tutti gli strumenti possibili e le metodologie di SOSTEGNO al fine di consentire all’alunna di conseguire risultati positivi.”
( In riferimento alla SENTENZA del TAR Sicilia, CITTÀ DELL’’ELEFANTE, 25 luglio 1994, n°1654 )
IL RICHIEDENTE

GELSOMINO NAPOLITANO
BAGNERAFRIDDI, lì 13 giugno( chiusura dell’anno scolastico)




Al PRESIDE Duce tale iniziativa non piacque. Immediatamente convocò i suoi scagnozzi travestiti da professori al fine di intimare al genitore che chiedeva giustizia per l’onorabilità della figlia.
<< Accorrete subito …stato d’allarme, un fetente mi ha fatto ricorso….! Come si è permesso??!>>
Quel pomeriggio di fuoco tutti i componenti della 3^K mollarono tutto, si diedero una spulciatina e rinviarono le loro trombate personali precipitandosi a scuola per far fronte all’emergenza.
Si avverti un allarme generale e tutti gli omissivi corsero a truppe e a squadroni per mettere le carte a posto e si diressero verso gli uffici amministrativi che chiamavano Segreteria.
<> disse il preside incaricato Duce, implorando i suoi seguaci, ma sempre con fare autoritario
<> continuò agitato, pallido e cadaverico<< Cancellate …! Strappate e riscrivete…!....il Registro dei Verbali mi raccomando..! Nulla di sospetto, deve apparire…!!!>>
<< E con il Verbale della Bianchetti come ci regoliamo..?>> chiese serafica la Coordinatrice della classe la professoressa Campailla Abelarda, . << Vi ho detto di modificare il verbale…!>> esclamò in maniera tassativa, poi continuò :<< Fortunatamente non gli ho permesso di trascrivere il verbale sull’apposito registro, altrimenti…!!!>> <> spiegò con un filo di voce la Gesualda Taroccata << Tanto quella non se ne accorgerà mai…!>> continuò. <> esclamò saccente e informata La Campailla, leggendo il suo vangelo scolastico. Sospirò, riprese fiato e poi prosegui con il suo solito fare polemico e piagnucoloso da martire immolata per la sua santità e mise in atto il suo fatalismo accomodante da codarda fifona, esprimendo le sue titubanze.
<>
<< Tanto risulta assente…e poi ho le mie influenze al Provveditorato…!!!>> disse il preside“dittatore” con fare rassicurante al fine di confortare le coscienze della sua ciurma in navigazione imbrogli verso quell’atto illegale, addossandosi con sicurezza le sue responsabilità.






<> domandò più chiaramente Abelarda ai componenti della manfrina che intendevano attuare.--
<> esclamarono i membri del C.d.C all’unanimità.
Ricevettero il genitore turbato dal grande dispiacere e iniziarono a distoglierlo dall’intento di portare a termine la sua rimostranza. Naturalmente, considerarono inutile esibire il registro dei
verbali era troppo compromettente per loro, e poi… non ebbero il tempo materiale per modificare quell’atto. <> dissero in coro facendo quadrato attorno al Dirigente..<> disse accomodante Fedele Scolastica in Secoli all’oscuro del fatto che il TAR si sarebbe aggravato delle spese legali per la minore di come prevedeva la Legge.
<< Ma, mi volete fare i conti in tasca??? Per la parte economica, è affare mio…!>> urlò il genitore indispettito ed offeso, pronto a sostenere l’onere economico.
<> esclamò il preside “tiranno” approfittando del tono elevato del genitore per inveirgli contro.
<> Si alzarono tutti come dei burattini ed ossequiosi con timorosa diplomazia lo condussero verso l’uscio.
<> implorò qualcuna, mentre il dirigente inferocito proferiva le sue ultime sottili minacce difensive:
<>
A queste espressioni minatorie il signor Napolitano, per evitare lo scontro fisico cedette le armi e uscì dai locali della scuola con le pive nel sacco ma non diede ai presenti conferma della sua rassegnazione di retrocedere dall’ intento.








































CAPITOLO VIII
IL VERBALE INCRIMINATO

<>
Chiesi a Chiara. <> Prese la copia ben custodita da una cartella e la sottopose alla mia attenzione stimolando la mia curiosità. Presi così la copia ed iniziai a leggere.
VERBALE N°1
CLASSE 3°K CONSIGLIO DI CLASSE STRAORDINARIO
( C.M.19- 9- 1984, n°274 )
Presenti i docenti: Campailla Abelarda, Taroccata Gesualda, Turco Olivia, Bianchetti Chiara, Scolastica Fedele in Secoli , Gatto-Pardo Margaret, Lupo Nerina, Piatto Primo, Troia Elena. Assente giustificata Giglione Palmina. Presiede la seduta il Dirigente Scolastico: prof. Pio Ponzio Duce.
Nella piena osservanza delle vigenti disposizioni ministeriali stabilite, in adempimento della: C.M. DEL 27 maggio 1993 n. 167, funge da segretaria la prof.ssa Chiara Bianchetti, la quale sottoscrive il seguente verbale. Risulta coordinatrice della classe la prof.ssa Abelarda Campailla
Il Consiglio di Classe straordinario della classe 3 °K si è riunito nei locali della scuola, martedì 11 ottobre 200… alle ore 17,00, per discutere le linee educative comportamentali da adottare unitariamente verso i componenti della classe. La seduta è stata svolta in due ambiti e in tre contesti diversi per esigenze di trattazione degli argomenti focalizzati.
La prima parte della riunione, si è attuata in sede sala professori con la presenza esclusiva dei docenti, i quali costatano i reiterati aspetti negativi della classe, la quale, affronta con irresponsabilità la propria vita scolastica. Si è aggiunto, alla penosa situazione della classe, l’inserimento di un alunno diversamente abile: Porta Camillo, paraplegico con un deficit cognitivo di grave entità; e a tal proposito,
i Componenti del C. d. C. hanno dato la priorità alla risoluzione del caso.
Essi hanno chiesto la lettura della diagnosi funzionale del sopraccitato da parte dell’insegnante incaricata: Troia Elena, per procedere agevolmente alla stesura della programmazione individuale (Piano Educativo Personalizzato).
Sulla base delle competenze per le attività di sostegno, ai sensi dell’art. n°315 del D.L.vo16 aprile 1994, n°297, la Prof.ssa Campailla chiarisce e ricorda: “Attività funzionali


all’insegnamento”2.8 Docenti di sostegno, i cosiddetti” mediatori didattici” dei diversamente abili.
Tale articolo definisce che:<< Gli insegnanti di sostegno svolgono una funzione docente e didattica in senso proprio. In particolare, all’insegnante di sostegno spetta una contitolarità all’insegnamento: egli è un insegnante di tutta la classe, assegnato a tutta la classe, ( e non al singolo portatore di handicap) come risorsa in più che, congiuntamente a tutti gli altri insegnanti, cura la programmazione dell’attività di insegnamento, sia per l’alunno certificato con handicap che per gli altri alunni ed elabora insieme agli altri insegnanti il progetto educativo individualizzato (Piano educativo personalizzato ) >> ( Consiglio di Stato, 28 febbraio 2002, n.° 1204 ).
Il Dirigente Scolastico interrompe la lettura, esponendo le sue perplessità in merito all’ art. 315 del D.L.vo, con l’affermazione che tale interpretazione riguardante la figura dell’insegnante di sostegno, dovrebbe essere considerata valida solo dal punto di vista applicativo nell’utilizzazione come ulteriore risorsa finalizzata alla funzionalità scolastica.
Il Dirigente scolastico intende dispensare l’insegnante in questione, nell’espletare le attività di insegnamento per utilizzare la stessa, nello stabilire i contatti con la famiglia del diversamente abile, con i vari enti esterni psico- socio –pedagogici, medico-sanitari e collaborare con la dirigenza, tralasciando l’obbligo previsto dall’ art. 27,CCNL 2003 cioè quello di affiancare i docenti per le ore funzionali perseguibili all’insegnamento
Individuate le caratteristiche del caso, sulla base della certificazione medica, i docenti provvederanno a stabilire gli obiettivi minimi inerenti alla stesura del Piano educativo personalizzato.
Fornisce delucidazioni al caso il Dirigente Scolastico, il quale afferma che il C. d. C. dovrebbe provvedere allo sviluppo della manualità pratica dell’alunno e all’acquisizione dei concetti topologici dello stesso, nella fase cognitiva. Vengono suggerite infinite proposte di lavoro: manuale: di fine manipolazione, con strumenti di facile consumo come filo ed inserimento di perline colorate, manipolazione pratica dell’argilla usata per il corso di ceramica ed altro materiale analogo e finalizzato a tale scopo. La prof.ssa Campailla, riferisce al C. d. C. che per favorire una facile integrazione dell’allievo, sarà necessario operare nell’ambito della classe, ricordando che risultati positivi erano stati ottenuti precedentemente in casi analoghi con altri insegnanti.






A tal proposito, la prof.ssa Scolastica Fedele concorda la proposta suggerita e spiega le difficoltà del diversamente abile riguardo al piano di lavoro troppo elevato del laboratorio di ceramica, il quale risulta poco raggiungibile e non alla portata del disabile. Si passa dunque ad analizzare l’intera classe e si rileva che quasi tutti gli alunni hanno mostrato per l’intero iter scolastico un comportamento irresponsabile, privo di autocontrollo, totale insensibilità alle sollecitazioni e refrattario all’acquisizione dei contenuti. La situazione è stata aggravata da fenomeni di turbolenza e di esibizionismo infantile dei maschi, fattori negativi che vengono estesi a tutt’oggi ed emulati da quasi tutti i componenti in maniera dilagante.
In particolare, alcuni alunni, i maschi della classe, si rifiutano di adeguarsi al doveroso rispetto delle regole scolastiche e verso i precetti educativi.
Gli stessi, nonostante gli incessanti richiami degli insegnanti, durante le ore di lezione e soprattutto nel corso del cambio dell’ora, si mostrano molto insofferenti, bivaccano nei corridoi, schiamazzano in maniera fastidiosa, e giocano in modo pericoloso con attività ludiche spontanee e insidiose che mettono a serio repentaglio l’incolumità degli altri minori.
Durante le ore di lezione, rispetto all’apprendimento, la maggior parte della classe accetta passivamente i giusti richiami nel timore dell’imminente punizione che consiste nell’eventuale convocazione dei genitori; mentre alcuni maschi temerari, continuano con sfida ad accentuare capricciosamente la loro scarsa volontà di apprendere, coinvolgendo facilmente i compagni più capaci e proibendo loro una proficua e attiva partecipazione al dialogo svolto in classe. Pur tuttavia si sono da sempre distinte solo due alunne: Cuordoro Zinetta e Gentile Cecilia, le quali hanno dimostrato da sempre un comportamento scolastico corretto e irreprensibile, all’opposto dei compagni di classe, divenuti da sempre, protagonisti di gravi atti di indisciplina.
Con l’introduzione dell’allievo diversamente abile, i maschi e qualche alunna poco motivata allo studio, hanno colto l’occasione per esternare i loro momenti di autentico svago attraverso manifestazioni di distrazione e di coinvolgimento non sempre emotivo. Infatti, non esitano a provvedere ai bisogni forzati dell’alunno per disertare le lezioni a svantaggio della loro acquisizione.
Per tale disastrosa situazione, è prevista l’attuazione di interventi mirati, atti a debellare l’insorgere di tali manifestazioni.
Come primo intervento si insisterà ad assegnare un posto fisso a ogni alunno mediante designazione della piantina apportata sul registro, al fine di stabilire un ordine alla classe.

Inoltre, il dirigente scolastico chiede ai docenti di adeguare la propria programmazione alla difficile realtà della classe. A tal proposito, la prof.ssa Bianchetti mostra il progetto di drammatizzazione mirato al pieno coinvolgimento degli alunni e relativo all’art. 9- del CCNL(ex art.4.).
<> interruppe Chiara ritenendo opportuno precisare l’atteggiamento di sufficienza del Capo d’Istituto.<< Ha finto di non ascoltare la mia proposta, imitando alla perfezione la pubblicità del salumiere del famoso crudo emiliano.>>
<> chiesi riferendomi al tormentone pubblicitario televisivo.<> esclamò Chiara e poi proseguì :<< Io sono risultata da sempre inesistente per loro, infatti…questo mio progetto inerente all’Area a rischio Art. 9, attinente a quello d’Istituto sul Territorio, è stato escluso perchè considerato fuori tema da coloro che senza competenze si arrogavano il diritto di giudizio e di decisione sulle sorti delle attribuzioni economiche e sui meriti attuativi dei progetti dei laboriosi insegnanti… Comunque continua, continua, nel verbale non appare nulla di scabroso…!!>>
La lettura proseguì senza né commenti né interruzioni.
<>
Esclamai stupita dopo una nuova accurata rilettura.<> Rispose Chiara << Non c’è nulla….nulla…!!!>>

Continuò esasperata. <<È una loro abitudine diffidare della verità…! Ed è ancora la loro politica , la loro parola d’ordine: omettere tutto recisamente, negare il vero per nascondere la verità e perseguitare gli insegnanti integerrimi.>>
<>
Con queste parole Chiara concluse il suo discorso per proseguire i suoi lavori domestici, lasciati in sospeso a causa della mia visita inattesa.
<> dissi .<>Rispose e mi accompagnò verso l’uscio di casa.












CAPITOLO IX
L’IMPATTO TRIONFALE NELL’EPOCA AUREA
Il primo periodo scolastico di Chiara Bianchetti fu illuminato da episodi professionali scolastici significativi: sia per l’intera utenza, sia per quanto riguardava il rapporto con i nuovi colleghi della P.E. Giusti di Bagnerafriddi.
Il successo era determinato non solo per il suo carattere amabile e tollerante, ma in particolar modo per le direttive umane e democratiche rese dalla preside Elisabetta Lo Re, la quale accordava eccelsa fiducia a coloro che le garantivano un proficuo servizio e opportuna utilità.
Per la stessa, Chiara lavorò disinteressatamente alla stesura di un grande progetto triennale, incentivato dal Ministero e la preside si pregiò di ottenere l’ingente finanziamento stabilito con somme da capogiro. Per tale iniziativa vantaggiosa, la signorile preside dimenticò l’accaduto dell’anno precedente, caratterizzato dai fenomeni di intromissione di Chiara in favore all’ammissione agli esami di Al Capone Gioacchino, l’ex alunno esuberante e turbolento destinato alla bocciatura per quell’atto di grave indisciplina.
La presentazione del prezioso progetto, allestito sulla base delle indicazioni ministeriali, generò in quella comunità scolastica risentimenti competitivi in previsione al guadagno destinato alla sua realizzatrice che fu l’ unica ad avere i requisiti per attuarlo in quell’ambito professionale.
I colleghi, invidiosi, iniziarono così a screditarla, denigrarla e calunniarla.
Misero in discussione i suoi titoli, controllando le sue referenze e i suoi dati personali, misero in piazza vergognose calunnie e continuarono a diffamarla per costringerla a reclinare il capo e a rinunciare all’incarico. Furono subito accontentati, infatti agli inizi dell’anno successivo la leggendaria collega fu messa da parte e prendendo le distanze dal branco, fu costretta a rinunciare al lavoro programmato e al suo compenso.
Fu destituita, ma non si pretese alcuna dimissione formale dalla referente stessa. Infatti, l’aristocratica Elisabetta studiò bene le sue mosse al fine di salvare “ le capre della scuola e i cavoli suoi”.
Sempre cordiale e gentile con tutti gli insegnanti, nel pieno rispetto dell’Art.3 della Costituzione Italiana, decise, senza informare la docente referente, di cambiare la denominazione del Progetto, lasciando la sua natura per lo stesso ambito finanziamento.
Per tale compito si rivolse a quelli della segreteria con l’ordine di manomettere la tipologia del progetto con la firma di Chiara Bianchetti, al fine di richiedere un nuovo finanziamento al fondo

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europeo. Gli addetti della segreteria, abituati a ciò, non persero tempo e la stesura del nuovo progetto fu conclusa repentinamente.
Tutto ciò avvenne senza interpellare né il Collegio dei Docenti né la referente , anzi si badò bene a non informarla della truffa avvenuta.
L’ideazione modificata, così, fu inoltrata agli Enti Preposti che l’approvarono nei tempi previsti, senza batter ciglio.
La notizia dell’imbroglio lasciava indifferente la nostra eroina che continuava a coronarsi di altri meriti culturali e sociali. Tutti l’adoravano per la sua generosità e per il suo senso di umanità, caratterizzato dall’evidente spirito missionario che rinfrancava il suo nobile animo.
Le caratteristiche di Chiara si erano già delineate all’inizio del suo servizio e mi furono confermate da due ex alunne della collega.
Un giorno le incontrai a casa della collega Scolastica Fedele, fu in occasione di una visita luttuosa per il decesso del signor Secoli Raimondo.
Fedele, straziata dal dolore per la grave perdita del marito deceduto, uomo onesto, di sani principi morali e grande lavoratore in qualità di amministratore scolastico, si era ammalato
il giorno successivo al suo pensionamento.
Così, l’insegnante rimasta vedova, trovò rifugio nella scuola attraverso la sua operosità, tralasciando ogni lavoro domestico e persino l’adeguata alimentazione.
Fu necessario scuoterla mediante inviti e visite ricambiate, con adeguata cordialità mirate a restituirle una ragione di esistere.
Gilda Sacco e Mafalda Crocevia avevano la rappresentanza di prodotti estetici , cosmetici e di profumeria, che vendevano mediante le riunioni sociali o familiari.
Le ragazze erano state alunne della professoressa Bianchetti, e, anche se erano trascorsi parecchi anni, avevano mantenuto i contati personali con la loro insegnante.
Mi accostai ad esse ed intavolai la discussione:
<>
<< Certo, ed è stata la nostra professoressa del cuore…!>> risposero in coro ed apparvero visibilmente turbate a sentir pronunciare quel nome, mostrandosi sentitamente commosse al ricordo dell’insegnante.
Con le lacrime agli occhi Mafalda raccontò di aver frequentato l’attuale SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO:” P.E. GIUSTI” e di essere stata a suo tempo alunna della Prof.ssa Chiara Bianchetti:<< La professoressa,” disse,” si è da sempre distinta per l’inconfutabile -45- comportamento umano, protettivo e premuroso verso me ed esteso indiscriminatamente verso i miei compagni di classe per i suoi immancabili insegnamenti di vita, non sempre limitati alle acquisizioni scolastiche disciplinari di sua competenza.>>
<< L’insegnante, in un intero anno scolastico,” proseguì Gilda,” è riuscita a far scaturire in noi alunni: l’interesse, l’importanza e l’entusiasmo verso lo studio; uno spiccato senso della giustizia nel riferire la verità ad ogni costo e a sviluppare il senso di solidarietà umana verso i compagni in difficoltà, consolidando le risorse educative già in possesso, frutto di valori radicati e inculcati dalle nostre famiglie.>>
<>disse Mafalda<>continuò <<..E quella volta che ci ha accompagnato in pizzeria e poi al LUNAPARK…ricordi?>> Poi proseguì ancora rivolgendosi a me.
<< La professoressa, sempre con grande umanità e slanci di diffusa generosità, ci ha trasmesso altresì, importanti riferimenti educativi attraverso i suoi saggi consigli. I suoi consigli ci sono stati utili per orientarci al superamento delle nostre difficoltà, durante la difficile fase della nostra adolescenza.>>
Ci è stata sempre vicina, ed è diventata anche l’amica dei nostri genitori. È stata un’importante guida per noi.>> incalzò Gilda e proseguì
<< Nell’anno scolastico 199X/9X, ci ha ancora regalato, momenti piacevoli di autentica aggregazione sociale e ci ha offerto spunti per lo sviluppo del dialogo umano e di quello educativo –didattico, momenti apprezzati da noi alunni perché effettuati spontaneamente per eccessivo spirito di sacrificio da parte sua e d’abnegazione verso il suo lavoro. Insegnava anche fuori le mura scolastiche con i suoi principi e con la sua moralità. Tale rapporto è stato reiterato nel tempo, con continuità e rispetto dei ruoli. Ha segnato in modo tangibile le diverse fasi della mia crescita e quelle dei miei compagni.>> concluse con malinconica nostalgia Mafalda.
<> esclamarono.
<> chiesero allarmate, <>
<>.
<> <> risposi in maniera rispettosamente discreta ma con l’intenzione di informare, in maniera dettagliata, le due fanciulle visibilmente preoccupate e di tranquillizzarle.




CAPITOLO X
IL DECLINO
E' inutile ribadire che Chiara ha operato per un triennio con grande difficoltà, in un ambiente a lei tanto ostile.
Peraltro, non avendo ottenuto l'ambito trasferimento nella sua sede di residenza in Alimento si è ritrovata a far fronte a cocenti umiliazioni, colpevole solo di aver subito l'infortunio sul lavoro e di aver fatto valere i suoi diritti sul doveroso risarcimento.
In seguito all’infortunio subito , Chiara si rese conto, con gran dolore ,che la tolleranza da parte della dirigenza e della sua amministrazione, si è trasformata in intolleranza e feroce accanimento nei suoi riguardi. In effetti, era impossibile entrare nei locali della segreteria e non essere puntualmente aggredita.
Difatti, un giorno, la doverosa richiesta di rilascio documenti del sinistro avvenuto, divenne un’impresa ardua. Il personale amministrato in servizio, nell’atto di perorare la causa del capo per la violazione della Legge 626, facendo quadrato attorno ad esso e alla sua fedelissima banda, non consentì a Chiara di poter persino visionare la documentazione dell’infortunio subito. Si scoprì che tutti i documenti erano falsati e in particolare la dinamica dell’incidente risultava differente da quella avvenuta. I disonesti avevano dichiarato agli Enti Preposti che la caduta era avvenuta nei corridoi della scuola e che l’insegnante era scivolata sbattendo il naso a muro.
Tale dichiarazione fu fatta intravedere da lontano a Chiara, la quale fiduciosa, era tenuta sempre all’oscuro per l’iter burocratico da seguire nella richiesta della Causa di servizio e per ciò, continuava a brancolare nel buio. Costernata da tali azioni occulte, fu costretta a protestare e ritenne necessario informare i malfattori di far intervenire le forze dell’ordine nel caso in cui avrebbero continuato a ledere i suoi diritti. Impugnò il suo cellulare e tentò di chiedere soccorsi. A questo punto la Mirabelli, la Sciagura e il signor Avorio iniziarono a tremare. Lo stesso Avorio, infastidito dalle ciarle della segreteria, che per l’occasione, si era trasformata in un vespaio, richiamò le donne e si rivolse soprattutto alla Diletta Mirabelli, che aveva peccato d’’ingenuità esibendo il dossier dell’infortunio: <> Continuò a lungo a recriminare e a redarguire con ferocia l’impiegata negligente ma che solo per quella circostanza si era dimostrata onesta, efficiente e perfettamente professionale. Fu un incessante braccio di ferro tra Chiara e gli amministratori scolastici, i quali rassegnati dalla clamorosa insistenza, consentirono alla nostra eroina di accettare la sua

richiesta su pretestuosa formulazione scritta con firma autenticata al fine di mettere tutto a tacere. Ma, le urla si susseguirono in maniera prolungata e si aggiunsero anche feroci recriminazioni estese verso tutti i presenti ed assenti compresi. Il DSGA, allora sig. Avorio, continuò a scagliarsi contro la Diletta che aveva scoperchiato il calderone degli imbrogli, cacciando fuori gli scheletri dagli armadi. La Diletta si era avventata in rivalsa contro l’ingenua vittima turlupinata che aveva osato compiere quella peccaminosa richiesta, divenuta la causa dei dissapori con il suo capo. Tutti urlarono e inveirono gli uni contro gli altri.
A quelle urla si aggiunsero quelle del “dittatore”, il quale presentandosi con la sua solita arroganza iniziale, cambiò tono e divenne più malleabile ed accomodante all’espressione magica di Chiara. :
<>
Il preside Duce, tremante e privato della sua baldanza per quella circostanza, scese a compromessi e fu visto per la prima volta precipitare dal suo piedistallo e prestare attenzione alla sua insegnante, che aveva ignorato da lungo tempo. Anzi, proprio in quell'occasione si rivolse a lei in modo confidenziale offrendo la propria disponibilità usando persino l’espressione informale del “TU” << Ma cosa hai bisogno?>> esclamò serafico
<> incalzò Chiara.
Il “tiranno”, umanizzandosi, ebbe qualche momento di titubanza e poi rispose addossando l’errore all’impiegato al momento assente.
<< È’ stato il signor Marino che ha alterato il documento, non io…!>> continuò a replicare il preside Duce cercando di persuadere l’allocca, considerata credulona, per metterla a tacere:
<< Cosa vuoi che faccia, invierò una lettera riservata all’impiegato per il suo errore?>>
<< Certo che no! Non pretendo ciò! Non è corretto parlare male di chi non può difendersi…! Non è vero…! Non ci credo..!>> obiettò la Bianchetti. con grande amarezza, prendendo le difese di Venanzio Marino al momento assente per lutto familiare.
<>-
<> s'intromesse Maria Consolata Sciagura l’artefice di quella truffa, rivolgendosi con amarezza allo smemorato Preside, ricordando allo stesso che il suo imbroglio era stato scoperto perché quell’utenza scolastica aveva rilasciato alla Bianchetti infinite testimonianze scritte.

Lo guardò con timore e gli lasciò intendere che il suo inganno non aveva sortito l’effetto sperato e adesso bisognava ricorrere ai ripari.
Spezzato il primo anello di una lunga catena di malefatte per quell'occultata scoperta venuta a galla, la segreteria venne trasformata in una vera e propria tipografia massonica profanata, laddove le forze oscure aprirono i battenti spalancando le porte all’immaginaria trasparenza della pseudo legalità.
La Bianchetti si rese immediatamente conto di tutti gli inganni che aveva subito e diede una risposta certa a tutti quei dubbi irrisolti che si attanagliavano come serpenti velenosi nel suo animo.
<< Per questo mi è stato riferito che…! E l’altro mi diceva di…! Mi gettavano cenere negli occhi …e io, ero all’oscuro di tutto…!>>
Assorta in quei pensieri assillanti, la nostra eroina truffata si avviava al suo riscatto ottenendo la rettifica del documento errato e, a fine di giornata, anche le copie fotostatiche del relativo DOSSIER sull’infortunio, private di autenticità di copie conformi all’originale.
Ma, per conquistare tutto ciò fu necessario insistere con determinatezza.
Infatti, gli omissivi la costrinsero a redigere inutili richieste scritte senza fornirle necessari moduli o semplici fogli di carta.
Continuò a implorare la Diletta a porgerle un comunissimo foglio, ma questa era intenta a civettare con il ”Pappone” che non le consentiva l’obbligata operazione.
Il duetto, mostrando ottuso rifiuto alla banale consegna, obbligò la richiedente ad allontanarsi in malo modo: << Spostati, sono occupato ed impegnato a parlare, vai a rompere da un’altra parte, …! Malata…??! Infortunata…??! tu non hai nulla…!!!>> con queste mortificanti espressioni, il compare del capo la spinse, aggiungendo alle sue esclamazioni la feroce gestualità.
Si comprese pertanto che i malfattori avevano ceduto solo a parole il rilascio del documento, ma i loro fatti continuarono a smentire con le inqualificabili azioni l’impegno preso. Fu necessario ricorrere così a una diffida da parte di un occasionale legale, al fine di ripristinare un po’ d’ordine ai propri interessi lesi.








CAPITOLO XI
L’ESCLUSIONE

Furono compiuti svariati tentativi intimidatori al fine di costringere la nostra protagonista a rinunciare al suo spettante equo indennizzo, ma fu un’impresa non facile per i suoi assalitori.
Quotidianamente Chiara riceveva telefonate minacciose, sottoforma di consigli, con espressioni del tipo:<> <>
La Bianchetti restava totalmente indifferente a tali martellanti discorsi persuasivi, anzi le telefonate accentuavano di buon grado il suo rabbioso furore per le ingiustizie e per i danni subiti ad ogni livello, sia fisico che morale. Tali comportamenti da parte dei mediatori che si esponevano le provocavano un inaudito dolore che si accentuava vertiginosamente in una lancinante lacerazione su vasta scala.
Questo incarico spinoso fu assegnato all’impiegato che aveva curato la pratica dell’infortunio, il signor Marino Venanzio, il primo ad avere negato all’infortunata il saluto, ma in compenso fu quello che, con molto zelo, aveva fornito di sicure informazioni l’amministrazione e la direzione di quella scuola. Era stato l’unico a far capire all’incompetente dirigente che non era necessaria la procedura della visita fiscale da inviare all’infortunata perché ne avrebbe risposto l’Ente Preposto INAIL.
Pur tuttavia, il capo d’istituto non si era rassegnato a perseguire il suo intento e di utilizzare la visita di controllo come punizione da attuare.
In quel preciso momento fu costretto a studiare una sua strategia finalizzata a tale scopo da convergere all’eliminazione dell’elemento scomodo.
Per l’evenienza, ordinò ai suoi collaboratori amministrativi di provvedere, ed essi pregiandosi,
si piegarono, per consuetudine, all’ubbidienza con disinvoltura e spontaneità, non curanti dell’eventuale scandalo che avrebbe raggiunto vaste dimensioni in caso di ispezione.
Iniziò, così, l’incessante guerra d’inoltro documenti falsati e di pressanti sollecitazioni a tutti i reparti del Provveditorato (CSA /USP) al fine di penalizzare la Bianchetti nella procedura della causa di servizio, rendendola colpevole agli occhi del mondo esterno solo per essere scivolata dalle scale di quella struttura scolastica degradata e resa fatiscente, privata da sempre di


adeguate norme di sicurezza, per l’incuria e l’imperizia dai famelici divoratori appartenenti al” branco” .
La nostra vittima non ebbe il tempo di scoraggiarsi, anzi, reagì con determinazione ad ogni attacco e le foto della scala ne divennero il suo vessillo.
Così, senza accusare alcun ritegno, le testimonianze, con quelle prove tangibili furono inoltrate immediatamente al Provveditorato e alla Direzione Regionale.
In questo modo, tutti conobbero la causa della violazione della sicurezza sul lavoro L. 626 e la sua storia, con i suoi reali contorni di verità, apparve nitida e certamente credibile alle autorità competenti che esaminavano il caso.
Pur tuttavia, l’incriminato capo “Dittatore”, responsabile della sicurezza , abituato a ricevere atteggiamenti di sottomissione da parte delle sue vittime soppresse , non si era rassegnato alle lamentele ribelli di Chiara, considerate denuncie che minavano la sua onorabilità.
Nominò per il caso, una commissione facente capo il suo infido consigliere”Pappone” al seguito la Veronesi insieme a tutti quelli del “Branco”per richiedere al Provveditorato di poter inviare la sinistrata all’Ospedale Militare di Pantano (Capoluogo Regionale).
L’impiegata: la signora Calcolatutto, addetta a quel servizio inviò una Circolare alla Scuola che ne aveva fatta richiesta. Nella stessa, specificò che a riguardo della procedura per l’infortunio, non era prevista quella convocazione, anzi specificò nella stessa e tassativamente che non era di competenza della scuola la scelta di quella Struttura di Controllo.
Comunque, all’ignava infortunata, gli omissivi le celarono sino alla fine il reale iter burocratico da seguire. Al contrario, continuarono a irretirla attraverso minacciose notizie inverosimili e superate riguardanti la visita. Mediarono per rendere credibile il fatto la Maria Consolata Sciagura, la quale, per la sua naturale inclinazione verso la bugia , impiegò rapidità ed encomiabile impegno a divulgarla.
Insospettita dai pettegolezzi abituali, si arbitrò d’informare l’interessata con seria preoccupazione la Fedele Scolastica in Secoli, la quale con eccessivo ritegno telefonò all’infortunata comunicando la brutta novella considerata certa: << Dimmi cara…!>> rispose Chiara all’amica Fedele.<> le consigliò l’amica che aveva fatto sempre a gomitate per lavorare con totale spirito di abnegazione verso quella scuola. In effetti, in base al suo modo di essere e di agire, il comportamento di Chiara esulava dai suoi propositi di accanimento lavorativo, con il quale avrebbe lavorato anche in punto di morte.

A quella comunicazione seguirono a ruota libera telefonate infinite da parte dell’amministrazione e in particolare della Maria Consolata, sempre schierata dalla parte degli ingiusti.
A quella tempesta di squilli a intermittenza, la sfortunata destinataria della persecuzione non soltanto telefonica, reagì in maniera idonea, rispondendo con la fierezza di una “Garibaldina”agli attacchi ricevuti con <<…Obbedisco..!>>,
anzi aggiunse allettata: << Certamente andrò all’Ospedale Militare e in quel luogo mi ascolteranno, sono tutti uomini…, ho tanto da riferire …., è un onore per me…., anzi ti dirò di più, mi farò accompagnare dalla volante della polizia…..!>>
A quella parola magica, come per incanto, l’impiegata Sciagura cessò le sue molestie provocatorie e iniziò a farfugliare in preda a un sommesso terrore, implorazioni pietose: <> E con queste parole “ la mala volpe” comprese finalmente che Chiara non avrebbe mai rinunciato ai suoi propositi nel difendere i suoi diritti.
Successivamente, comunque, la situazione non venne per nulla modificata, al contrario, prese una brutta piega e l’insegnante tartassata continuò a gravitare nell’occhio del ciclone tra le feroci dicerie e le cattive maldicenze calunniose.



















CAPITOLO XII
L’ELIMINAZIONE

L'episodio che aveva generato gli ultimi avvenimenti d'intolleranza, si era verificato in un tragico lunedì di fuoco alle ore 10,19, mentre si recava in classe 3°K. Premesso che la sua ora di servizio era stata anticipata e che in quella “merdaccia” di Scuola considerata a RISCHIO
(art. 9), i componenti delle classi, cioè gli alunni, erano molto difficili e scorazzavano per i corridoi in mancanza di sorveglianza da parte degli insegnanti, poiché la Troia Elena, insegnante di sostegno, era stata autorizzata dal Duce a non restare in classe.
A tal proposito, ne avevano fatto fede recenti verbali dei C.d.C. straordinari.
Due ragazzine di queste "Classi Ghetto" si trovavano nei corridoi della scuola per condurre una persecuzione vessatoria verso quello che loro concepivano come ritardo pretestuoso da parte dell’insegnante, informata dell’anticipo all’ultimo momento, da addossare come responsabilità alla stessa Chiara, il capro espiatorio della temibile furia egemonica devastatrice dittatoriale. Praticamente Chiara doveva sostituire l’insegnante di sostegno.
L'inizio dell’ora era stato anticipato alle 10,22, termine dell’intervallo della ricreazione. In effetti, in base all'orario stabilito doveva essere in servizio in quella maledetta classe dalle ore 13,15 sino alle 14,15.
Nella classe spazzatura risultava inserito un diversamente abile di grave entità, il quale quel giorno era presente e stava consumando con riluttanza il suo spuntino, disturbato dagli atteggiamenti euforici di finta solidarietà dei compagni. Pur essendo esclusivamente in teoria, seguito dall'insegnante di sostegno, era spesso abbandonato dalla stessa, grazie alla complicità del Dirigente. Dunque, i compagni di classe per accattivarsi la simpatia dell’insegnante lavativa, con spirito ammiccante e complice, accettavano la competizione di fare i turni per accudirlo.
Gruppi di alunni irresponsabili e demotivati, coglievano sempre l'occasione per disertare le lezioni facendosi scudo delle necessità per il diversamente abile. Lo stesso, tenuto come ostaggio, veniva scaraventato con la sua sedia a rotelle a destra e a manca nei corridoi della scuola solo per compiacere la peripatetica insegnante assente dalla sorveglianza dei minori perché si allontanava dagli occhi indiscreti delle serie colleghe per avvinghiarsi con un esperto esterno tra i tavoli del laboratorio artistico- manuale.
Il paraplegico, nell'atto di terminare il suo panino interrotto costantemente dall’irruenza di quei balordi invadenti, che, schiamazzanti, presentavano modi di svago e falsa disponibilità non richiesta dallo sfortunato, stava ingerendo la merenda con lo stesso involucro.

Una figlia di “buona mamma” colse l’occasione al volo per esternare il proprio astio verso l’insegnante sin troppo amorevole, che non le aveva permesso di uscire dalla classe già abbandonata a se stessa, per continuare a scorazzare nei corridoi con i demotivati al suo seguito e paralitico in testa al corteo. Per quanti sforzi Chiara abbia reso manifesti nel ripristinare un po’ di ordine in “quell’immondezzaio”,
la perfida nanerottola, con fare arrogante, filò nei corridoi di quel “lager” si disinteressò dei richiami da parte dell’insegnante e volò in presidenza.
Ritornò trionfante informando i compagni dell’imminente intervento promesso dal capo d’istituto sulla versione dei fatti riferita riguardante la responsabilità dell’insegnante che aveva fatto ingoiare al paraplegico il panino con l’involucro e di non aver consentito all’indisciplinata d'imboccare il fanciullo, fuori l’orario della ricreazione.
L’episodio pretestuoso e inaudito, in realtà mai avvenuto in presenza di Chiara, scatenòfenomeni di accanimenti con gesti inconsulti da parte dei furbetti che meditavano di ottenere un'uscita dalla classe, già abituati come cani sciolti da altri titolati che insegnavano l’arte più antica del mondo a pagamento.
Era certo che quei fannulloni scriteriati, mai abituati alla vita della classe, si muovevano come selvaggi a briglie sciolte, sprigionando il loro spirito tribale.
In effetti, risultavano costantemente privi di controllo, per mancata vigilanza da parte della peripatetica che firmava sul registro di classe senza mai prestarvi il servizio, per cui abbandonando le bestie indomabili al loro incolto destino, risultava difficoltoso farli rientrare nelle file dello scolaro modello perché il loro, veniva rappresentato da gare di scostumatezza autorizzata.
La responsabile di tale iniziazione forniva con certezza ai seguaci minorenni sostenitori, l’impronta marcata da emulare nel saziare i propri istinti primordiali con il nutrimento degli appetiti lussuriosi.
Quella lupa marchiata induceva dunque gli scriteriati fannulloni a far scatenare tali malati comportamenti che sfociavano in feroci stati di aggressività verso chi ne ostacolava l’allettante perdizione. La prima nemica che interrompeva questo stato di benessere per i mini malfattori risultava l’indesiderata Chiara Bianchetti.
La persecuzione verso l’insegnante da abbattere, fu espressa in tutte le sue forme estreme.
L’intervento del preside Duce non si fece attendere, convocò sommessamente la sua tirapiedi Gambuzza Dimessa e Campailla Abelarda, la coordinatrice della classe, per discutere con i genitori le punizioni da prendere verso l’insegnante.


Ponzio Duce la spuntò e vinse la sua prima battaglia di Pirro, ma se avesse acuito il suo ingegno non si sarebbe mai permesso di eseguire i suoi intollerabili abusi di potere.
Quel tragico martedì, durante il cambio dell’ora, Chiara si scontrò con la Campailla Abelarda, la quale abituata ai pessimi comportamenti dei suoi “animali” indomabili, notando il marcato tumulto di fogli dei compiti strappati, banchi che volavano, alunni inferociti che imitavano la tragedia greca, chiese alla sua collega di corso:
<> mentre continuava ad osservare, per niente sbigottita dalle reazioni di indisciplina di quei selvaggi della 3^K, che, per la circostanza, risultavano maggiormente più eccessive del solito.
<> raccontò tutto a un fiato.
<> esclamò, saccente come al solito la vulnerabile fifona << Ora ti racconto come è andata, tu intanto, continua l’accaduto…>>
<< Dopo l’episodio alla fine della mia giornata lavorativa, mi proponevo di consultare i familiari per spiegare l'ammonizione e ricordare loro del provvedimento preso che consisteva nell’accompagnare la figlia il giorno successivo per un colloquio personale fuori il mio orario di servizio, infatti l'ora di ricevimento settimanale, era stata stabilita dai pessimi promotori mercoledì dalle ore 10,22 alle 11,15; da come risulta dall'orario di servizio. I genitori, molto risentiti per la mia iniziativa, mi hanno proferito minacce di ritorsioni e di danneggiamenti sulla mia carriera e che sarebbero intervenuti con un avvocato. A questo punto dovevo far valere l'importanza del provvedimento spiegando che era loro dovere infondere alla figlia il rispetto verso le Istituzioni scolastiche, perché la Scuola avrebbe richiesto l' intervento dei Servizi Sociali in caso di insuccesso.(Provvedimento stabilito in occasione di un C.d.C. straordinario)., Sai, quel provvedimento deciso per la 2^K…?>> <> incalzò la codarda, assumendo un atteggiamento di complicità verso la subente e Chiara ubbidì




<>
<> disse Abelarda e Chiara proseguì il suo discorso
<>
<<È un complotto…! È un complotto…!>> continuava a ripetere Abelarda Campailla.<> riferendosi alla Troia
Elena ,esternando ogni sorta di spietate critiche da rimangiarsi al momento propizio per codardia.<< Quella ha il “protettore”….!!!>> concluse.
Suonò la campana della ricreazione e il clima divenne sempre più incandescente.
Si verificò l’assalto verso l’insegnante Bianchetti . Alla carica parteciparono parecchi familiari degli alunni della 3k con i propri figli indisciplinati e sobillati dal Duce e dalla Troia.
Alle urla disumane come quelle dei cavalli imbizzarriti che festeggiavano autorizzati l’eterna ricreazione, si aggiunsero i feroci barriti dei selvaggi della 3^K. Scese compiaciuto Mangione, il Pappone, seguito dal signor Puzzi, il padre di Moana, che ne voleva conto e ragioni per giustificare la sua persecuzione verso l’insegnante che risultava in quel momento doppia vittima dei soprusi.
Inveì soddisfatto contro Chiara lo stesso vice, il” Pappone”, il quale esternò compiaciuto in maniera sadica: << Adesso i genitori ti denunciano…>>, << Ah…!!! Si..???>> ribadì Chiara inasprita<< Vedrai quello che succede…!!!....Ed io, denuncio voi per Mobbing…!>> A queste parole il vice divenne scuro in volto e il suo pensiero volò alle mazzette dello Stato intascate occultamente che venivano messe a serio repentaglio…! Tacque, così, e rimase pensieroso.
Sapeva per certo che Chiara avrebbe attuato con cognizione di causa il suo proposito di riscatto.
L’insegnante, molto provata dagli eventi catastrofici, alla fine della sua giornata si era recata a casa per consultare l'avvocato telefonicamente, il quale le suggeriva, conoscendo i fatti, di denunciare l'increscioso episodio alle autorità competenti, per avviare quella querela che non fu presa per nulla in considerazione. Comunque, fiduciosa nei fautori della Legge, dispiaciuta per


il maltrattamento umano e professionale e decisa di far valere i suoi diritti, si recava accompagnata dai figli dell’onesto operatore scolastico Pampina al Commissariato.
L’episodio si era concluso, come previsto, con scarso successo e Chiara, con i suoi fedeli accompagnatori, era ritornata a casa con le pive nel sacco.
Infatti, in quella degna sede, i tutori dell'ordine si erano mostrati come da copione:
qualcuno incredulo, con fredda severità, metteva tutti gli eventi in discussione, altri più sensibili, anch’essi esterrefatti, avevano condiviso, visibilmente colpiti, le lacerazioni subite dalla protagonista, ma, unitariamente, i discordanti le avevano suggerito di correlare l’istanza mediante i certificati medici per avviare e attestare i fenomeni di MOBBING perpetrati in maniera sistematica in quegli anni, da parte del personale direttivo e amministrativo della scuola, sebbene non fosse stato di loro competenza il ricevere la documentazione.
Mercoledì 23, il preside Duce continuava la persecuzione e l’insegnante veniva sottoposta ad altre pressioni psicologiche e, a tal proposito, Chiara fu invitata in presidenza durante la 21 ora settimanale, per colloquiare con il Dirigente scolastico e con i familiari dell'alunna disubbidiente per giustificare il suo educativo operato.
I toni del Dirigente si erano un po’ ammorbiditi, ma non si riscontrava alcun dovuto sostegno alle accuse addossate all’insegnante, da parte dei genitori arroganti.
La mediazione del PRESIDE, anche in quell' occasione, era divenuta fallimentare ed era apparso un tentativo d' imparziale difesa, tentativo indulgente esteso esclusivamente verso gli atti di indisciplina fomentati dallo stesso, verso la minorenne malvagia.
Fu significativa, invece, la copertura complice verso la Troia risultante assente dalla classe.
Comunque, chiarita la situazione dell’insegnante sotto processo, si era concordato un proponimento di collaborare, da ambo le parti, per il fine educativo comune. Chiara, congedata freddamente dalla presidenza, continuò lo stesso giorno le sue attività lavorative stabilite.
Giovedì 24, invece, avvenne il crollo emotivo psicologico dell’insegnante, la quale, avendo trascorso notti insonni, stremata e molto provata dagli ultimi avvenimenti, avvertì in classe un malessere improvviso con crisi di pianto e fu in preda ad una sorta di collasso, con tremore e convulsioni. Da quel momento Chiara aveva iniziato ad avvertire un feroce mal di testa, assumendo un aspetto estetico inguardabile, ma dopo aver fatto partecipi gli enti preposti e chi incuriosito domandava quanto le fosse successo , aveva provato una sorta di refrigerio che leniva la sua sofferenza. Continuò comunque, all’infinito, a produrre così innumerevoli istanze prive sempre di rispettabile riscontro perché molto probabilmente i destinatari ritenevano opportuno cestinarle.


Le stesse si concludevano spesso con la seguente espressione:
<< Spero che possa accogliere la mia richiesta di intervento e nell'attesa di una sua pronta risposta, la ringrazio ossequiosamente per il tempo prezioso che mi dedicherà P.S.: le invio i verbali dei C.d.C. straordinari, ai quali ho provveduto io stessa, in qualità di segretaria, alla stesura per confermarle quanto vissuto.>>,











































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CAPITOLO XIII
LE VESSAZIONI VERSO UNA VITTIMA ECCELLENTE

La storia di Chiara aveva commosso l’opinione pubblica a causa dell’infortunio subito e del proseguimento della sua disavventura.
Gli stessi alunni, artefici di cotanta ferocia, si pentirono del male cagionatole e riferirono l’accaduto ai propri familiari.
Difatti, parecchi genitori non esitarono a testimoniare, a livello scritto, la realtà dei fatti, riconoscendo la perfidia dei propri figli, manovrati come degli automi dall’iniquo dirigente, dalla Troia Elena e da altri esponenti scolastici delinquenziali..
Molte mamme amareggiate, incontrandola per caso, non esitarono a dimostrarle ogni sorta di sincera solidarietà umana e piena disponibilità a ripristinare quel rapporto ferocemente deteriorato con i loro figli, gli stessi protagonisti che venivano redarguiti in maniera esagerata anche con mezzi coercitivi dai loro padri..
Affollarono l’insegnante, come si usa con un mito dello spettacolo, facendole quadrato attorno e le manifestarono tutta la loro calorosa dimostrazione d’affetto, anzi, le fornirono le prove della persecuzione condotta dai malavitosi consegnandole le foto incriminate comprese quelle della scala insidiosa, laddove la prof era precipitata.
<>- << Conti su di me, conosco la verità e da buona cristiana sono pronta a giurare…>>-<< Io sulla testa di mio marito e dei miei figli…!>>. Esternarono in coro animosamente.
Per un fatto di coscienza, tutti accorsero e nessuno più tacque. Con il sostegno della gente comune e onesta che aveva interrotto quella sorta di ignorante omertà, furono concepite così le prime dichiarazioni sul Mobbing.
Fu dimostrato così, che l’utenza scolastica, incolta e poco facoltosa, aveva contribuito a sanare la sorte di Chiara Bianchetti e della sua onorabilità.
Pur tuttavia, le voci continuarono a veicolare nel verso sbagliato, si sparse infatti che la Bianchetti aveva cessato d’insegnare la propria disciplina e si sottolineò in maniera sottointesa, che non era più in grado di adempiere ai suoi compiti. Aggiunsero con questa l’ultima infamante bugia l’ultimo atto denigratorio.
I suoi nemici scolastici, conoscevano bene il valore dell’insegnante, ma tramite questa diceria, continuarono a screditare e a mortificare l’immagine professionale dell’insegnante mediante la conclusiva ed esaustiva TEMPESTA anomala sterminatrice, inconsapevoli che quell’uragano avrebbe investito la stessa Scuola .

In effetti, i suoi persecutori avevano da sempre sottovalutato l’insegnante, la quale con cognizione di causa, riusciva rispondere a ogni loro attacco.
Per cui, per liberarsi di quell’elemento scomodo, divennero i fautori della sua uscita di scena e favorirono l’agevolazione del suo tanto ostacolato trasferimento.
Tale eccellente successo fu negato dagli stessi anche se all’evidenza era stato reso pubblico sul quotidiano locale, sul televideo, in internet; reso noto anche con l’avanzamento di carriera per l’insegnamento della collega nelle università e per la stessa disciplina.
Servizio impreziosito successivamente, fuori da quell’ambiente, mediante incarico dirigenziale funzionale all’insegnamento stesso.
Fu una vera e propria promozione su tutti i fronti, sia a livello sociale sia nell’ambito professionale.
Iniziò così la sua nuova carriera all’insegna del benessere con tutti i suoi privilegi che cancellavano ogni sorta di oscurantismo e di esclusione vissuti da lunghi anni in quella Scuola di frontiera.
Ma, cotanta giustificabile esultanza non fu resa adeguatamente manifesta perché gravemente condizionata dalla tragica vicissitudine recente protrattasi da lunghi e penosi anni, tragedia che ne limitava il tripudio rendendo il ricordo sempre vivo.
Evocare le abusive ingerenze da parte del dittatore tiranno, fu un fatto lacerante e alquanto doloroso.
Pur tuttavia, per riscattare la propria immagine, Chiara dovette rendere noto quel malessere soffocante che da troppo tempo l’affliggeva, al fine di ottenere l’adeguato riconoscimento per la Causa di Servizio e il relativo risarcimento del Danno Esistenziale, Biologico, Morale ecc…
Dichiarò, infatti, a tutti gli Enti Preposti ciò che aveva vissuto senza tralasciare alcun che, sempre sorretta dalla sua cospicua documentazione.
La sua Dichiarazione, dopo una lunga premessa di articoli e commi veniva resa pubblica ai quattro venti con la seguente stesura:
La succube DICHIARA:
<>


Bagnerafriddi, lì 24 novembre LA DICHIARANTE
Prof.ssa
Chiara Bianchetti

















CAPITOLO XIV
LA“RESTAURAZIONE” OPPRESSIVA E REPRESSIVA
VERSO LE NASCENTI FUNZIONI DI SERVIZIO
Gli episodi d’intolleranza ebbero origine quasi immediata all’insediamento del nuovo dirigente, il quale accecato dal potere egemonico dovette cedere alla volontà del suo vile sostituto, adottando un’unica linea di condotta, compiacente al “Branco dell’Antico Regime”, con l’aggravante comportamento discriminatorio verso le anime pure di alcune docenti non gradite dai suoi feroci consiglieri.
Tali fatti furono seguiti da una vera e propria strategia di creare condizioni ostative alla possibilità della vittima del momento di svolgere l’attività lavorativa.
Questo periodo di Restaurazione fu avvertito durante l’elezione delle Funzioni Strumentali, le quali in quell’anno ebbero un’avversa e tormentata sorte.
Durante la riunione COLLEGIALE esplose la vera immagine venale, professionale e dittatoriale di quella dirigenza.
Il primo abuso di potere e d’illegalità fu commesso dal Dittatore in occasione delle prime riunioni.
Egli infranse immediatamente le regole scolastiche per le elezioni della nomina delle quattro figure strumentali.
Immediatamente designò la prima F.S., espressa a suo piacimento nei riguardi della collega Marta Concordi per l’attribuzione della Prima Area di servizio nell’ambito di quella scuola.
Marta avrebbe dovuto collaborare alla redazione del Piano dell’Offerta Formativa.
La scelta non contestabile dalla collettività, avrebbe sortito effetto perché la Concordi aveva i requisiti necessari per accedere a questo compito in maniera esemplare e inoltre con il suo carattere gioioso e cordiale avrebbe dato un valido contributo alle colleghe di quella scuola compensando la mancanza delle sue competenze multimediali.
L’errore del capo fu commesso non tanto per la scelta, bensì per la procedura dell’attribuzione dell’incarico.
Non era infatti suo adempimento la scelta delle figure di servizio e con l’invito pressante ne compromise immediatamente il suo ruolo istituzionale. Ma, Marta con molta signorilità lo tolse dagli impicci, rifiutando l’imposizione di accettare quell’incarico e, con il suo solito rossore dignitoso in risposta, apparve decisamente convincente al capo.




A tal diniego, deragliamento fortuito e occasionale, si ricorse tranquillamente all’esatta
procedura verso la propizia dimensione della legalità in favore della nomina delle quattro figure.
Infatti, il nuovo improvvisato dirigente dimostrò di sconoscere quell’iter burocratico che la democrazia e libertà della scuola per lungo tempo aveva insegnato.
La sua cieca ambizione gli annebbiò così tanto il lume della ragione che annullò ogni forma di rispetto verso i suoi colleghi del giorno prima, rendendo impopolare l’istituzione stessa.
Incoraggiato dai sostenitori, iniziò così la sua feroce dirigenza, rivelando i suoi abusi di potere sempre più marcati verso gli indifesi professori.
Apparve inutile presupposto ricordare a quel preside, accecato di potere assolutista, l’aspetto storico-istituzionale di quelle figure tanto note, alle quali in qualità di professore ne era divenuto componente.
A fronte di tale confusa emergenza, concorsero in molti a ricordare allo smemorato l’iter procedurale da seguire e quanto appreso dall’esperienza scolastica nel corso degli anni.
Un insegnante onesto di quella scuola, un certo Geppino Contraccolpi fece mente locale allo sciagurato e a tutta la sua assemblea.
<> esternò scagliandosi contro il potere nascente proseguendo:
<> continuò<< Ricordiamoci che…>>
In effetti, nel corso degli anni successivi parecchie cose erano cambiate e il collega, pur dandosi alla latitanza, da qualche tempo, ed imboscato chissà dove, era presente ad ogni avvenimento importante della scuola , per cui non era stato mai dimenticato dai componenti di quella “fogna” che gli riconoscevano il suo marchio autorevole concedendogli, per questo, di portare a termine il suo discorso.
<> disse <<… Si è potuto appurare che la loro funzione di servizio, vissuta e sperimentata in maniera diversa nelle varie scuole, aveva generato una sorta di inadeguatezza nell’ambito delle esigenze presentate a livello operativo, ma esse, anche se rappresentate in maniera rudimentale, risultavano figure di supporto utili all’andamento scolastico e organizzativo. Allora venivano scelte dal Preside…Adesso invece, tutto è cambiato…!>



Non fu mai interrotto perché rappresentava una figura saliente e rappresentativa di grande rilievo, con marcata ascendenza, grazie a quel dono carismatico che pochi possiedono
.Fu ascoltato con grande attenzione e il discorso continuò.
<>
Tutti tacquero e in quel silenzio autorevole e spettrale il discorso esplicativo prese forma.
<>.
<> chiese rivolgendosi ai colleghi dell’”antico regime”con i quali aveva collaborato.
La procedura non è più questa, si parla adesso di Funzioni Strumentali e l’elezione è di competenza dell’organo collegiale, cioè spetta a noi l’incombenza…, l’art. 30 del C.C.N.L. è molto chiaro ed esplicito…!>> poi esortando i colleghi disse:
<>


Si avvalse immediatamente di tale significativa attuale definizione procedurale Abelarda Campailla, la quale anelava capricciosamente mantenere lo stesso ruolo, ottenuto forzatamente con il calpestio dei piedi a terra, come un puledro sbizzarrito.
In effetti, tale incarico era da tempo retto intonse dalla stessa assegnato dalla preside Lo Re in qualità di Funzione Obiettivo.
La Campailla, suscettibile, permalosa e spesso frignona, ne volle conto e ragioni per la sua retrocessione dalla nomina pilotata.
Scesero in campo i repressori appartenenti all’Antico Regime, con a capo Pio Mangione per sterminare gli animosi insegnanti che desideravano il cambiamento verso delle democratiche direttive nell’ambito del lavoro di quella scuola.
Volarono fogli e contestazioni, e tra le urla e le lacrime, la seduta andò avanti per lunghe ore.























CAPITOLO XV
UN INCARICO TORMENTATO

Nel momento in cui veniva argomentato il dibattito sul “dio denaro” e sugli interessi economici, quella scuola priva di valori, si trasformava in campo di battaglia.
Quel luogo di perdizione e di degrado morale, anche in quella circostanza, assunse il suo contestabile aspetto.
Per tale peculiarità corruttibile venivano tagliate fuori le oneste personalità disinteressate, costrette a rinunciare all’aspetto economico perché più protese verso le elevate qualità ideologiche e virtù missionarie, pregi sconosciuti, messi al bando dagli approfittatori.
Poiché le caratteristiche di quei “puri idealisti”si discostavano da quelli sempre più corrotti approfittatori, i pochi virtuosi missionari dovettero subire una sempre più dura repressione con una vita professionale alquanto difficile e difficoltosa, fino allo stremo delle proprie forze, verso un conclusivo annientamento della propria immagine.
La sorte di Chiara Bianchetti e delle altre vittime vantò in tal modo questo triste riepilogo.
In ogni modo, prima della definitiva scomparsa di quelle prodi precipitate “nella discarica di rifiuti umani”, la “P.E. Giusti” ebbe filo da torcere e pagò, sia moralmente che economicamente, le sue ingiuste atrocità.
La sanguinosa battaglia era esplosa durante l’elezione e l’assegnazione di Chiara in qualità di F.S. Area 2.
La sua candidatura fece scaturire atteggiamenti d’immediata intolleranza da parte del “Branco”,
il quale manifestò subito la sua avversione, riservandosi di proseguire i successivi risentimenti d’immotivata ostilità e di puro pregiudizio.
Iniziarono a configurarsi repentinamente, con ogni sorta di forme aberranti, le manovre magistrali da parte dell’Antico Regime”, il quale aveva fagocitato, sin d’allora, il prossimo e continuava ad esercitare tale famelico comportamento sterminatore verso le innocenti vittime.
In seguito all’elezione delle funzioni di servizio e alla diatriba avvenuta nel contesto del Collegio, il Branco affilò le zanne e rese la vita scolastica professionale impossibile alle nuove elette.
Tutto ebbe origine da una collettiva esclamazione di stupore da parte delle Belve che, con ferocia, avevano segnato le sorti delle sfortunate “FESSE” con quel prolungato ed inatteso:<>.
Il primo a partire all’attacco fu quel verme viscido di Pio Mangione.


<> chiese con titubanza il preside Duce, già ostaggio del vecchio sistema predominante composto dal nucleo del “Branco”.
La sua iniziale espressione di difesa democratica ne compromise l’immediata postura. Fu guardato con diffidenza dal Mangione che esternò da serpente velenoso, tutto il suo nocivo elemento con le nauseabonde emanazioni di organismi in putrefazione.
Alitò al suo orecchio confidenziali esternazioni alle quali il Duce non rimase insensibile.
A Pio Mangione interessava l’elezione dei due favoriti supplenti di Lucrezia Veronese e quella di Soldino Colombo, ai quali avrebbe potuto muovere, da burattinaio, le fila a suo piacimento. Essi gli avrebbero garantito pienamente eterna fedeltà ed equivalente complicità nei loschi affari della scuola e amplessi compresi da parte di Lucrezia.
Poiché spettava ai colleghi di ruolo la precedenza per il conferimento della nomina, il Mangione dovette reclinare il capo, con quel brontolio iroso, dei cani quando digrignano e mostrano i denti agli incauti visitatori.
Per l’elezione della F.S. Area 4, al contrario, filò tutto liscio come l’olio.
Era la privilegiata e apparteneva ad una delle più favorite del Branco la Lupo Nerina Insabbia, la ferrea consorte di Temistocle Campailla Insabbia.
Le prime tre F.S. furono assalite, sin dal giorno successivo alla loro elezione, prive ancora di decreto di nomina.
<> gridò con insolente arroganza la “lurida” Gambuzza, elevando come un vessillo la sua mezza pagina di geroglifici scritta con i piedi di gallina e con il solito linguaggio dei polli.
<> gridò Chiara all’immediato atto di prevaricazione ricevuto. <> replicò “la sguattera”. <>. chiese Chiara indispettita.<< Quello è un altro discorso….! Ho bisogno di questo incarico…! Il denaro mi serve per mio fratello che è ancora in galera per truffa aggravata e poi ho da mantenere sei nipoti drogati…!>> giustificò in maniera straziante quell'iter rettilineo che doveva seguire la miracolosa fonte di guadagno.




La “lurida” incompetente stava usando gli stessi discorsi pretestuosi degli zingari o degli accattoni, che da sempre si avvalevano di queste ciarle imperniate all’argomento “bisogno… per pietà…!”come espressioni mirate ad impietosire ed ingannare gli allocchi di ogni tempo.
A lei era molto congeniale guadagnare in qualità di referente senza produrre alcun apporto lavorativo competente, cioè ottenere un facile guadagno, senza faticare e soprattutto senza ricorrere al sapere.
Il preside Duce e tutti quelli della sua risma, che erano a sua immagine e somiglianza, glielo concessero subito il suo ambito denaro.
In quell'occasione la “lurida”, vantando i suoi titoli inesistenti a riguardo dell’arte della drammatizzazione non risparmiò possenti colpi verso la sua storica nemica rivale la professoressa Santa Beata Pace, la quale risultava solo colpevole di possedere una grande passione verso la scuola e verso la drammatizzazione, inclinazioni che riusciva a tramandare ai propri discenti.
Iniziò a spargere velenose espressioni calunniose per scalfire l’immagine professionale della docente, elogiando contemporaneamente le abilità di Soldino Colombo.
Nel contempo, per la laboriosa collega non era ancora giunto il turno della sua persecuzione, infatti l’ostilità nei confronti della Pace poteva essere solo rappresentata da sporadici episodi di declassamento o di sabotaggio.
Uno di questi momenti fu attuato dalla “lurida” vendicativa, attraverso la proibizione e mancato utilizzo dell’aula magna in occasione delle prove generali della recita natalizia, impegno attuato dalla collega scrupolosa.
Invece, per Chiara Bianchetti iniziarono i lunghi periodi devastanti della propria carriera, penalizzata per avere accettato, con impeto di generosità, quel maledetto incarico, rifiutato dagli altri colleghi di ruolo.


















CAPITOLO XVI

NATA SOTTO UNA CATTIVA STELLA


Le insidie si trovarono subito al varco. Nei giorni successivi a quella maledetta nomina,
il Branco iniziò a combattere, sino allo stremo, quell’assegnazione delle mansioni attribuite a Chiara.
La nostra eroina fu spossessata di tutte le sue energie e risorse personali senza nulla chiedere alla scuola di servizio. Privata del materiale di facile consumo, si fornì di risme di carta, cartucce d’inchiostro e mezzi personali. Le erogarono solo le copie dei vari contratti formativi di tutte le discipline alle quali doveva attingere e trascrivere usando il proprio P.C. Infatti, le avevano proibito l’uso dei laboratori multimediali, attrezzati, in dotazione di quella scuola. Subì uno stillicidio, ma la nostra Chiara non si arrese. Determinata a portare avanti quanto previsto, sorvolò sugli atteggiamenti ostili e di sufficienza immotivata che quella comunità non riusciva a celarle. Più lavorava e maggiore diveniva l’intolleranza di quelle belve verso la sua iniziale operosità.
<> rispondeva gioiosamente a quanti le chiedevano la propria copia di programmazione dattiloscritta mediante la videoscrittura.
<>
Tutti i suoi incontri con i colleghi in difficoltà di competenze informatiche, sfociavano spesso con i discorsi sull’argomento programmazione da inserire nel Piano dell’Offerta Formativa.
In una di queste giornate campali, il vice Mangione ordinò alla Bianchetti di copiare tutte le programmazioni sui floppy personali e di consegnarli alla scuola.
Chiara, essendo sprovvista momentaneamente di tale mezzo, si rivolse allo stesso interlocutore di provvedere alla fornitura d’obbligo di erogazione.
Il “pappone”, non soltanto oppose resistenza e reciso diniego, ma iniziò pure ad insultarla in
risposta all’obbligata richiesta.
Avvenne dinanzi Marta Concordi uno dei tanti episodi di aggressivo attacco verso la persona e nei riguardi della professionalità: <> esclamò quel serpente velenoso del vice. << Ribadisco, non ci sono floppy…!>> continuò<< Te lo vai a comprare…, ..poi lo devi copiare e consegnare tempestivamente con tutta la relativa programmazione…! >>proseguì indispettito ed impietoso, concludendo l’argomento. << Ma come faccio…? …Non ne ho…!>> rispose tristemente Chiara <>incalzò il Mangione.


<< Neanch’io ne dispongo…! Il floppy serviva per la mia programmazione..!>> disse supplicando il vice Marta Concordi.
Il Mangione fece finta di non sentire e, con ottuso rifiuto, uscì dalla sala della vicepresidenza chiudendo il discorso e sbattendo la porta violentemente in faccia alle colleghe, già fuori nel corridoio.
Le due donne uscirono sbigottite e senza parole, apparvero paralizzate tanto fu eccessivo lo scalpore del rifiuto con l’aggravante degli insulti per la doverosa richiesta non accolta.
Quello non fu solo un caso sporadico, ma soltanto l’inizio di una serie di dimostrazioni di ostilità, che continuarono ad aggiungersi agli atti di costanti e continuative vessazioni con declassamento e svuotamento delle mansioni.
Nei giorni successivi all’umiliazione subita da parte del primo collaboratore della dirigenza, i fenomeni di avversione divennero sempre più frequenti verso la vittima del momento, entrata nell’universo delle sventure e dello sconforto.
Si passò dall’orario antididattico imposto, ai minacciosi improperi dinanzi gli alunni.
Difatti, il giorno successivo il Mangione passò all’attacco. Entrando in classe, durante l’ora di lezione della Bianchetti, con arroganza le espresse l’invito di anticipare la sesta ora alla prima con le due buche per il giorno seguente senza chiedere il parere dell’insegnante.
Poiché Chiara non si era resa disponibile a quella esigenza, il Mangione, privo di autocontrollo, uscì imprecando contro il diniego minacciando la collega di inviarle un ordine di servizio, sulla base dell’orario provvisorio.
Iniziò così la guerra degli abusi di potere del sig. Mangione, il vice del dittatore tiranno.
Se l’orario di servizio dell’inizio anno era alquanto deficitario rispetto alla didattica, quello definitivo, stabilito nei giorni successivi, fu ancor più aggravato da ore buche infinite solo per le insegnanti scrupolose e laboriose come Chiara Bianchetti, Fedele Scolastica in Secoli ed infine per la soave e sublime Santa Beata Pace. Se le ultime due insegnanti non mostrarono alcun segno di ribellione perché caratterizzate da eccessivo sentimento fatalista, Chiara al contrario, oppose immediata resistenza.
Dopo infinite prove, da parte del Mangione, incaricato e ben retribuito sulla strutturazione da inesperto dell’orario di servizio; l’incapace stabilì uno propizio per i favoriti del Branco, un altro accettabile per alcuni lacchè e cicisbei della peggiore risma, un terzo orario alquanto impossibile includeva tutti i perseguitati e gli indesiderati di quella scuola.


Parecchi si erano succeduti all’assegnazione dell’incarico per portare a termine l’orario di servizio dei professori, ma il suo fu considerato il peggiore orario di servizio in assoluto, mai
verificatosi in 60 anni di fondazione di quella scuola. Quello invece, mirò il felice primato di essere il più retribuito.
I precedenti collaboratori, al contrario, pacifici per natura, anche se risultavano delle personalità alquanto mediocri con delle abilità molto modeste, avevano nel loro piccolo fornito un valido contributo a tutti i docenti, onorando l’assegnazione di quel compito.
Molti lamentarono la strutturazione dell’orario di servizio, ma il malcontento fu sedato con accanita repressione tanto che tutti cedettero le armi con mite rassegnazione.
La vicenda di Chiara Bianchenti, invece, non si concluse così facilmente, anzi risultò solo il debutto di reiterati ed ingiusti fenomeni d’intolleranza da parte della dirigenza.
Con insistenza si presentò dall’ideatore “dell’anti-orario” rilevando gli errori di strutturazione implorandone la rettifica.
Come una belva ferita, il detto “Pappone", lanciò fuoco e fiamme innanzi alla sua classe privilegiata la 1^0, mostrando sordo rifiuto alla richiesta, costringendo, con minacciose espressioni, l’insegnante ad allontanarsi:
<>
Gli alunni intimoriti dal frastuono dovuto all’eclatante scontro verbale che si svolgeva sull’uscio dell’aula, finsero di non ascoltare per evitare le ripercussioni sui loro comportamenti, al fine di sedare l’ira funesta del loro professore.
Pur tuttavia, tale reazione non passò inosservata ai minori, i quali si resero consapevoli dell’atteggiamento declassante e pregiudizievole adottato dal professor Mangione verso l’insegnante di quella scuola.
Attraverso il loro bisbiglio si passò la voce che l’insegnante non godeva di grande apprezzamento da parte della dirigenza, così tutti i discenti esautorarono l’autorevolezza della Bianchetti, a vantaggio della loro negligente scorrettezza.












CAPITOLO XVII
ANNEGARE NEL TORBIDO

I primi a beneficiare delle dimostrazioni ostili e pregiudiziali verso la Bianchetti furono i suoi propri alunni; infatti, incoraggiati dalle reazioni d’intolleranza da parte della dirigenza verso la loro insegnante, si recavano ad accusare la stessa per giustificare i malvagi comportamenti e soddisfare le loro capricciose negligenze.
Numerosi risultarono i fenomeni di sabotaggio verso l’insegnante, i quali ebbero origine sin dall’insediamento del dirigente Duce.
Il preside dittatore, infatti, costringeva alcuni professori, da un lato a far rispettare rigorosamente le regole imposte agli alunni e dall’altro sosteneva gli indisciplinati ad accanirsi contro i loro sfortunati professori redarguendoli dinanzi agli stessi infanti. Tali comportamenti usuali annullavano decisamente l’autorevole impegno educativo da parte della docente malvista ed ingiustamente accusata.
Difatti, nei primi giorni di tale inefficiente dirigenza, un alunno svogliato e negligente, approfittando del disordine istituzionale nel quale convergeva la traiettoria educativa, privata da ogni rispettosa autorevolezza scolastica verso alcuni professori, avendo chiesto ripetutamente alla Bianchetti il permesso dell’uso dei servizi igienici per vagare e scorazzare nei corridoi ottenendo come risposta il rifiuto d’obbligo a far rispettare le regole imposte dal preside dittatore, si recò in presidenza ad accusare l’ignava ed onesta insegnante.
Tale spiata ebbe successo per l’alunno malvagio, il quale ottenne giustizia per la sua indisciplina attraverso un richiamo plateale svolto nel corridoio della scuola da parte del dirigente verso la sua insegnante,.
<< Come si permette a rifiutare il permesso di uscire ad un alunno per un bisogno fisiologico…!>> urlò sgarbatamente il neo-dirigente Duce<> proseguì inferocito e minaccioso.
La Bianchetti, presa alla sprovvista, non ebbe tempo di replicare per non ritardare l’ingresso in aula e ricevere da parte dello stesso preside tiranno ulteriori umiliazioni.
Tal episodio non restò isolato, difatti divenne il primo anello di una serie di mortificanti disavventure di una lunghissima catena di guai.
Si susseguirono così fatti reiterati in poco tempo a pioggia intermittente.




Il secondo episodio sgradevole e abusivo avvenne in occasione dell’inoltro lettere alle famiglie degli alunni, per informarle riguardo l’andamento didattico e disciplinare dei propri figli.
Animate di buona volontà e abnegazione totale verso i precetti educativi e corrispondenza di responsabilità relativi ai compiti assegnati dalla funzione di servizio, Fedele Scolastica in Secoli con Chiara Bianchetti si recarono nella sala degli uffici amministrativi detta Segreteria, per assolvere in maniera funzionale l’incarico assegnato in sede di Collegio.
<> disse Fedele a Chiara.
In un battibaleno, le apposite schede informative furono completate e firmate dalle due laboriose insegnanti che, in qualità di funzioni di servizio, avevano svolto oltre l’orario didattico, un onere spettante al personale ATA.
Le poche famiglie destinatarie che non avevano subito dall’indisciplinata prole l’intercettazione della scolastica missiva, si precipitarono a scuola ad accusare la ricezione.
Il preside incaricato, poco abituato alla tempestiva collaborazione spontanea delle sue due funzioni di servizio, ne volle conto e ragione dell’iniziativa adottata.
Redarguì e diffidò le due insegnanti per l’eccessiva abnegazione verso il proprio dovere, ammonì il loro ardore e si riservò di adottare un provvedimento mirato in caso di continuato impegno non richiesto da parte sua ed espletato delle stesse.
Avendo scoraggiato le due insegnanti dalla loro esemplare iniziativa, Fedele e Chiara espressero il proponimento di compiere la loro funzione di servizio, solo se incaricate dal Capo.
Tuttavia, il preside mancò di adempiere le sue spettanze, così che Chiara e Fedele attesero invano di portare a termine i loro compiti assegnati.
In quella situazione di sabotaggio, Fedele fece a gomitate per eseguire la sua funzione di servizio, mentre Chiara scoraggiata e delusa retrocesse dal suo intento operativo per timore degli atteggiamenti terrorizzanti da parte del capo.
<> disse sprezzante e minaccioso il capo d’istituto lasciando intendere il suo motto:”La Scuola è mia e guai a chi me la tocca…!!!”
Fenomeni terrorizzanti verso le oneste colleghe furono innumerevoli e manifestati dal capo e dai suoi seguaci.
Fedele fu esclusa dalla collaborazione per l’allestimento dell’accoglienza degli alunni iscritti nelle prime classi, compito spettante alla stessa in qualità di funzione strumentale.


Tale onere fu prevaricato da quell’incolta della Gambuzza, la quale, per riceverne onori e meriti, disertando le attività didattiche e mettersi in evidenza, organizzò “balletti e trippetti” mediante gli interventi economici dei vari Enti Ministeriali Preposti quali: Comune, Provincia, Regione.
L’intero anno scolastico continuò sulla falsa riga di costanti sabotaggi e boicottaggi, da parte della dirigenza e del suo “Branco”, regime che iniziava a tracciarsi e a prendere piede in quella scuola “merdaccia”. Le strategie attuate furono: la soppressione dell’onestà e dell’operosità mediante lo spargimento di velenose calunnie e costante diffamazione: “..manca l’affiatamento tra di loro” “non sanno lavorare..!” “non lavorano…!”.
Fu considerata una costante sfida sfociata spesso verso l’insuccesso e il declino della notorietà.
Queste dicerie naturalmente, non erano valide per la Lupo Nerina in Campailla, che era considerata l’intoccabile dal “Branco”e veniva esentata da ogni critica e osannata ad ogni circostanza.
Il feroce accanimento era mirato a stroncare la carica funzionale delle tre colleghe incaricate come Funzioni Strumentali, private di strumenti, di decoro e di referenze.
L’episodio clamoroso d’intolleranza verso Chiara raggiunse il suo culmine quando, esasperata nel far rispettare le regole scolastiche imposte da parte della dirigenza e inculcare i precetti educativi nei discenti, esasperata si presentò in vicepresidenza con un cellulare confiscato ad un’alunna, laddove il dirigente si era imboscato in quel preciso momento.
Timorosamente, Chiara entrò nell’aula attigua alla presidenza, dove il Capo era intento a controllare compiaciuto l’operato del suo sinistro vice:<> chiese quasi impaurita avvertendo una sorta di timore con la convinzione di essere colpevole per aver causato l’increscioso episodio:il sequestro del cellulare.
Nel tentativo di giustificare l’appropriazione di quell’elemento scomodo e di disturbo, prese coraggio ed espresse le sue rimostranze:
<> fece l’atto di consegnare il “pomo della discordia”ma si trattenne nel proseguire le sue considerazioni.






In effetti, il preside Duce aveva stabilito lui stesso quella regola che andava rispettata, sia dai frequentanti , sia da parte degli insegnanti, i quali erano costantemente tartassati dagli indisciplinati e dalla direzione.
<< La prego …glielo restituisca Lei, se lo ritiene opportuno.!>>. concluse Chiara avviandosi verso dalla vicepresidenza.
<< Niente affatto: ne faccia quello che vuole, si riprenda il cellulare e comunichi immediatamente il fatto alla madre…!>> rispose infastidito il capo, nel timore di assumersi le sue responsabilità.
L’alunna, indispettita da tanto zelante ardore da parte da parte dell’insegnante, ritenne necessario protestare capricciosamente con manifesto e sonoro piagnucolio verso i servizi igienici della scuola.
La moltitudine degli alunni negligenti, con difficoltà a seguire il dialogo educativo, colsero l’occasione a volo per accusare l’insegnante che aveva adottato tale strategia.



































CAPITOLO XVIII
L’IMPOPOLARITA’

L’anno scolastico nefasto iniziò a espandersi in tutte le direzioni con richiami ed impropèri pubblici effettuati dinanzi agli alunni e svolti nei corridoi della scuola e l’episodio del cellulare ebbe il suo primo eco.
Difatti, l’alunna piagnucolosa ottenne il suo esito promettente.
Lo stesso giorno Il dirigente scolastico avvisato nell’arco di poco tempo dai compagni dell’infante, sobillato da Mario Fregapane e da Elena Troia, inferocito, si precipitò negli uffici amministrativi cioè in Segreteria ed iniziò a sgridare Chiara Bianchetti nel momento in cui l’onesta educatrice si accingeva ad espletare il compito assegnato dallo stesso, cioè quello di informare la madre della minore titolare del telefonino.
Il caso suscitò evidenti polemiche, nell’ambito della segreteria, trasformata per l’occasione in un vespaio, giardino fertile e abituale di spietati pettegolezzi pregiudiziali.
In questo incontrastato regno, operavano da sempre “l’ape regina” e/o “la mantide religiosa “, cioè Maria Consolata Sciagura, allora l’unica prima donna al cospetto di tanti uomini.
Il personale maschile, infatti, di fronte a tale umiliante chiasso, restò con il capo chino sulla propria scrivania-scrittoio, mostrando nel frattempo mortificazione e solidarietà verso l’insegnante e ciascuno nel timore di venir redarguito dal preside tiranno.
La loro reazione prese le sembianze di quella delle povere api operaie, da tali erano trattati i tapini dell’amministrazione.
Ciò nonostante, si permisero, con un filo di voce a esprimersi in favore della professoressa.
<>.
Si espresse in favore di Chiara, il direttore amministrativo Crocifisso Avorio in coro con gli onesti schierati della segreteria, rigorosamente tutti uomini di parola, mentre la voce pettegola di Maria Consolata non si fece udire in maniera energica e determinante, limitandosi ad annuire.
<> urlò rabbioso come un cane corso, rivolgendosi alla vittima della sua sfuriata e Chiara non ebbe tempo per replicare, ma solo quello di ubbidire all’ordine del suo superiore.
Indotta a recarsi con lo strumento della controversia verso l’alunna disubbidiente, fu costretta a retrocedere dall’intento formativo d’obbligo ed uscì umiliata dall’aula e con le pive nel sacco.
Fuori era attesa dai due compari scansafatiche e allora amanti: Mario Fregatane e Elena Troia, i quali non persero l’occasione per difendere ed elogiare con pietismo la furbetta

capricciosa ed inveire contro la collega che si era permessa di sequestrare quel conteso strumento di disordine, che a parer loro ed anche da parte del dirigente, rappresentava un elemento indispensabile per la vita scolastica quotidiana dell’allieva.
Tentarono di farle il lavaggio del cervello, asserendo che la bimba era considerata diversamente abile (audio-lesa), per cui a lei tutto era consentito, anche quello di servirsi del cellulare come attività ludica, con il pretesto di riscontrare l’inutile bisogno di comunicare con la sua mamma.
In considerazione al divieto assoluto di far rispettare le regole non era da lei richiesto, il mancato rispetto della regola invece, ricadeva sul capo della povera Chiara, la quale doveva dare conto e ragioni al dirigente Duce.
Per chiarire ogni forma di equivoco con gli alunni indisciplinati e istigati al cattivo comportamento, Chiara si recò nella classe dei trasgressori per comunicare ai genitori le malefatte dei loro infanti.
La collega dell’ora, insegnante di lettere con eccessivo sgarbo, cacciò via la Bianchetti sminuendo l’immagine professionale della sfortunata professoressa mediante le suddette testuali espressioni:
<< Devi uscire, i ragazzi sono impegnati con il compito in classe e la tua presenza li distrae e li distoglie dal loro impegno.>>
A quell' umiliante esternazione, Chiara dovette accomodarsi fuori dalla classe senza poter replicare, mentre i mini seguaci di satana iniziarono a gioire ed inneggiare canti propiziatori in onore al loro demone per la battaglia vinta.
Fu un susseguirsi di accaniti episodi denigratori da parte degli assatanati, nei quali ruotavano all’impazzata nel turbine avverso, la povera insegnante con le sue sfortunate gesta.
Gli alunni incoraggiati dagli atteggiamenti persecutori verso la tapina, iniziarono ad inveirle contro con i loro atti deplorevoli. A tale situazione si aggiunse, soprattutto, l'ingerenza malefica di Maria Consolata Sciagura, la quale non le risparmiò colpi per creare disagi e pettegolezzi.
.Non mancarono altre critiche ed altre dicerie. Le due colleghe si guardarono sempre più in cagnesco a causa dell’intromissione di Maria Consolata con le sue bugie.
Di fatti, si sparsero veleni inauditi attraverso pettegolezzi senza fine. La situazione finalmente cessò grazie all’atteggiamento accomodante della Bianchetti, che dovette paradossalmente, chiedere scusa alla sua dispotica collega, ancora supplente, per il torto subito dinanzi agli alunni.





In questa situazione di malessere e di attrito, i due compari come“il gatto e la volpe” nella favola di Pinocchio, cioè i due cialtroni malefici: Mario Fregapane e Elena Troia continuarono ad inveire contro l’onesta insegnante, per non mancare di dimostrare alla stessa la loro indiscutibile superiorità e comprovata situazione privilegiata favorita dal capo Duce.
Le polemiche furono infinite e i dissapori incessanti e continui, con offese e insulti.
Ciò nonostante l’anno volse a termine, ma le lacerazioni restarono vive e dolorose.
L’avversione di Mario Fregapane verso la collega ebbe il suo culmine ed esplose pubblicamente in occasione dell’ultima riunione collegiale avvenuta a metà maggio.
In tale ricorrenza, si stabilirono come punti all’OdG di esporre e ratificare il lavoro svolto in qualità delle F.S. in servizio in quell’anno scolastico.
Si colse l’opportunità per quell’avvenimento di inveire e recriminare contro le sfortunate figure di servizio. Il primo a esternare il suo feroce avverso risentimento fu proprio il Fregapane.
Mentre la collega si accingeva a dimostrare all’assemblea il suo atto dovuto al lavoro portato a termine, fu interrotta bruscamente dalla lettura della sua sfiduciata relazione, e fu altresì diffidata, accusata e calunniata di facile giustizialismo da quel cialtrone della scuola, mediante le testuali espressioni poco idonee alla circostanza: <>.. All’improvviso tutto si oscurò attorno a Chiara, si aprì una voragine sopra quella piattaforma adibita a palcoscenico per i lavori di drammatizzazione allestiti per i discenti.
Le sembrò di precipitare in fondo ad un baratro, le lacrime sgorgarono da sole e si versarono sui fogli che teneva in mano, la voce iniziò a tremare e visse un momento drammatico di grave disagio, fu costretta pertanto a sospendere la lettura richiesta con arroganza da parte di alcuni prediletti partecipanti, favoriti dalla direzione. Occorse in suo aiuto Fedele in Secoli che ne completò la lettura. A tale situazione d’impiccio si aggiunse il resto delle polemiche e la seduta andò per le lunghe e quell’atto di pianto e di sconforto, da parte di Chiara, fu solo l’inizio, giacché, fu perpetuato incessantemente in diverse occasioni nel corso degli anni avvenire sotto quella dirigenza.















CAPITOLO XIX
LA SCUOLA DEI FANNULLONI

L’anno volgeva al termine, ma le batoste continuavano senza che lo stesso ne fosse ancora concluso. Dopo l’elezione delle Funzioni Strumentali, nel mese di novembre si procedette con le elezioni delle figure rappresentative RSU.
Risultarono eletti Mario Fregapane, Pio Mangione e Rosmunda Cavallaro.
I tre eletti rappresentanti che lamentavano la loro prestazione priva di remunerazione, con riluttanza, dovettero contrattare con il Preside Duce, per il compenso economico spettante alle Funzioni di Servizio, a lungo tartassate e fiscalizzate, e ritennero in senso di rivalsa, proporre al Capo di decurtare o annullare la somma stabilita. Proposta che fortunatamente non fu accolta.
Infatti, se il preside Duce avesse attuato l’annullamento della somma spettante alle funzioni di servizio, i docenti creditori avrebbero concretizzato le giuste vertenze verso lo stesso Dirigente incaricato.
In considerazione a tale prospettiva e intimorite del coinvolgimento e delle conseguenze, le tre figure sindacali si scagliarono contro il lavoro portato a termine dalle prime tre F.S., adducendo l’insoddisfazione verso il sevizio prestato delle colleghe, sfiduciandole nei riguardi della scuola e screditandole dinanzi al neo preside Duce.
Pur tuttavia, non ebbero il coraggio di mancare di rispetto alla preferita Nerina Lupo Insabbia, la quale era stata incaricata per l’Area 4.
In effetti, alla Nerina spettava il compito di prendere i contatti con gli Enti Esterni, ma la dritta non si era curata affatto dell’impegno preso, anche se aveva relazionato di averlo compiuto efficacemente con pseudo e simulati interventi, inerenti la sua funzione.
In sede collegiale, si mostrò con la sua solita fiera prontezza di spirito, falsa diplomazia e sfrontata sicurezza per raccogliere ogni tipo d’approvazione da parte dei presenti sostenitori, che l’avevano da sempre osannata.
Per le altre tre sfortunate, si riservò ben altro trattamento: la prima fu tollerata,
la seconda FS Area 3 Fedele Scolastica in Secoli, fu tartassata ed aggravata di impegni inerenti al lavoro spettante al personale della segreteria, e la terza in ordine alle vessazioni, FS Area 2, fu maltrattata e messa alla berlina e/o alla gogna.
Iniziò così per Chiara il periodo repressivo detto “la caccia alle streghe”, per cui ad ogni sua forma di ribellione alle ingiustizie subite, i vessatori scagliarono contro di lei le loro malefatte.



Chiarito il dissidio con la collega di lettere, si presentarono un giorno in classe le due inseparabili amiche: la Sciagura e la Scolastica mentre la poveretta era intenta a mostrare con orgoglio ai suoi discenti il lavoro portato a termine da F.S.. Gli alunni, stupiti per la bravura dell’insegnante ed orgogliosi della redazione dell’opuscolo della scuola , furono interrotti bruscamente dalla visita inaspettata delle due signore. Al seguito del loro ingresso, si mostrò quel “boia” del Fregapane.
<> domandarono preoccupate alla Bianchetti, tentando di dissuadere ogni sua iniziativa di riscatto << Non attuare nulla, accetta le sue scuse…!>>
L’insulso individuo era pronto a scusarsi, a parole, per gli insulti riferiti alla Bianchetti, non per convinzione, bensì per timore di ricevere qualche esposto alla Segreteria Provinciale del suo Sindacato.
Gli allievi incuriositi tacquero immediatamente e consentirono al collega fantasma della classe di intrufolarsi in aula, considerato assente durante determinate ore curriculari.
<> esclamò con tutta la sua arrogante baldanza.<> rispose Chiara risentita, poi proseguì con amarezza e grande rammarico <> <>
Ma, le asserzioni da parte del Fregapane non rispecchiavano la realtà, in effetti, il lavativo aveva preferito essere incaricato per le attività di sostegno per godere di determinati privilegi piuttosto degli oneri spettanti con le assunzioni di impegni e responsabilità che comportava l’insegnamento didattico-disciplinare nelle differenti classi, mentalità diffusa in quella scuola che molti come lui ne condividevano lo stesso parere e ne manifestavano analoghi atteggiamenti.
In ogni ora di una giornata lavorativa, non mancavano i fannulloni di sostare puntualmente dinanzi la macchinetta del caffè per le loro pause prolungate o rintanarsi nelle differenti sale adibite al loro ritrovo, delle quali ne possedevano da padroni le chiavi.
<< Se ben ti ricordi, siamo giunti in questa sede di servizio nello stesso anno e abbiamo vissuto da nuove leve dell’ambiente lo stesso trattamento…!>> disse il lavativo con un tono che rasentava il pietismo al fine di fare opera di persuasione a Chiara che si mostrava alquanto determinata a presentare l’esposto agli enti preposti per l’umiliazione subita in sede collegiale.
I vari tentativi del Fregatane di porgere le scuse, convinsero poco e nulla la Bianchetti, ma per amor di pace e per l’insistenza delle due “fifone” si riservò di proseguire la sua linea di difesa,



offrendo all’aggressore una nuova opportunità, a condizione che lo stesso ammettesse le sue ingiuste accuse e rendesse pubblicamente le sue umili scuse. Ciò non avvenne perché il bel tomo dimenticò ben presto i suoi buoni propositi, assumendo la sua solita arroganza che lo caratterizzava.
Difatti, il giorno successivo, in occasione dell’organizzazione del pranzo a fine anno, Chiara gli ricordò la promessa effettuata in precedenza. L’arrogante non esitò a esprimere chiaramente il suo netto dissenso, deludendo tutte le aspettative della poveretta.
<> esclamò lapidario il prevaricatore e ne concluse la discussione.
I tentativi delle due mediatrici si vanificarono così in un sol attimo, dimostrando apertamente l’atto d’irretire l’ingenua a non proseguire i suoi propositi di rivalsa e la stupida lasciò correre sopportando altri soprusi, come sempre.
L’anno scolastico si concluse con l’organizzazione del pranzo di fine anno e anche su questo ci fu da ridire.
Per rispettare il ruolo di Funzione Strumentale Area 2, Chiara ritenne opportuno, di sua iniziativa, di ottemperare alla spettanza. Prese accordi con il proprietario di un ristorante in voga in quegli anni, per le prelibatezze che preparava la sua cucina rinomata e ne prenotò l’allestimento per il banchetto cerimoniale.
Ma tutto ciò non fu accettato né tantomeno preso in considerazione dai cialtroni: Fregapane Mario e dalla Troia Elena, che aspiravano di scroccare il pranzo gratuitamente a spese di quella comunità.
Fu così che la nostra protagonista, disinteressata, si mise da parte ancora una volta in favore dei voraci approfittatori, i quali soddisfatti e noncuranti, seguivano a divorare la linfa portante della Scuola.
Tra i convitati partecipò anche la Sciagura Maria Consolata, la quale allettata da Temistocle Campailla Insabbia, s'illuse di incontrare parecchi altri uomini per soddisfare la sua ridicola vanità.








CAPITOLO XX
IL TRAGHETTATORE
DELLE ANIME DANNATE

Tra i collaboratori ausiliari di quella scuola “d’inferno” il più insolvente nell’adempimento dei propri doveri e riottoso verso i superiori, era il Poppi Caronte, il quale da tempo si distingueva per i suoi reiterati comportamenti di arroganza e di prevaricazione verso i professori, gli alunni e l’utenza stessa di quel bacino.
Vantava di essere parente di Adalgisa Pomara, ma quella con superbia ne rinnegava apertamente l’appartenenza.
Il subalterno insubordinato ausiliario si era da parecchio tempo inserito in quel contesto scolastico con agevolezza per via della mancata autorevolezza e il non rigore “di lasciar fare”, concessagli da parecchi presidi e dall’amministrazione. A lui tutto era dovuto, anche quello di essere esentato dal lavoro per il quale ne era retribuito. Lavativo e inadempiente era considerato il “tirapiedi” dai presidi che si susseguivano negli anni e “boia” per antonomasia da parte degli insegnanti, ai quali ostacolava continuamente il lavoro.
Si vedeva inchiodato nei corridoi della sala amministrativa e della dirigenza nella sua poltrona, guai a toglierla. Il suo lavoro si accumulava enormemente e nessuno dell’amministrazione era capace di interrompere il suo “dolce non far niente”. L’unica azione che era in grado di attuare era quella di inveire contro gli alunni e recriminare verso gli insegnanti che transitavano obbligatoriamente in quegli ambiti della scuola a lui assegnati per il lavoro, per altro, mai portato a termine.
Se qualcuno, animato di coraggio, si permetteva di mostrare deboli segni di ribellione o lagnanza, l’insolente raggiungeva persino con aggressività lo scontro fisico. Era necessario rivolgersi a Libero Grasso per domare quella belva furiosa. L’anziano subalterno godeva di tutti i privilegi, anche quello di avere a disposizione un armadio capiente, ove poteva nascondere il bottino quotidiano da portare a casa prelevato furtivamente dalla scuola grazie al Comune fornitore.
All’interno negli scaffali di quella “cassaforte” venivano riposti scorte di detersivi, detergenti , risme di carta A4 per copie fotostatiche, quaderni, penne, inchiostro e persino rotoloni di carta igienica.
All’occorrenza, per un eventuale bisogno fisiologico nell’uso delle “toilettes” per i professori, era necessario rivolgersi all’ausiliario indisponibile sebbene auto-incaricato dell’erogazione.
L’elemento conteso doveva essere tratto dal rotolone legato da una cordicella dentro quell’improvvisato deposito eternamente chiuso.

L’espressione: “Mandare tutto a rotoli” rappresentava in quel fosco contesto, motivo di esultanza per gli abituali incontinenti che frequentavano occasionalmente i servizi gestiti dal Poppi.
In effetti, la sua valenza deprecabile assumeva in quella situazione un rituale buon auspicio.
Intanto, quell’orrido parassita inserviente si accaniva nel percepire il bisogno a lui indesiderato di qualche insegnante non gradita. Di fatti, immancabilmente si dava alla latitanza anche se presente o ne negava puntualmente a viva voce la consegna. Usare quei servizi, dunque, era un’impresa dove ottenere la carta era considerato un premio irraggiungibile di una gara cosmo galattica. Bisognava munirsi di navicella spaziale per raggiungere la meta di un viaggio interplanetario al fine di beneficiare di quel prezioso prodotto.
Comunque all’interno dei servizi, la porta divisoria che conduceva al WC presentava contrariamente, da decenni un fazzoletto di carta ingiallito, incollato all’imboccatura logora della forcella di ferro arrugginito che serviva per la sua apertura e chiusura. Quel raro oggetto, divenuto familiare nel corso degli anni, si presupponeva fosse stato applicato molto probabilmente da qualche insegnante igienista che si era dimostrata accurata nell’evitare il suo contatto epidermico. Quella dimenticanza poteva rappresentare il ricordo lontano di una rapida permanenza dell’insegnante sconosciuta, ormai in pensione o deceduta, che ne aveva fatto uso per i suoi bisogni durante il periodo dell’inaugurazione di quella scuola.
Il suo ambito versava in condizioni di arretratezza che poteva essere paragonato a quello degli incivili del quarto mondo, dove anche gli stessi abitanti vissuti nelle capanne avrebbero potuto inorridirsi per lo scempio lasciato dall’inserviente scansafatiche.
Varcare la soglia dell’antibagno significava addentrarsi in una rete fognaria ove era possibile osservare i resti obbrobriosi e spregevoli della sporcizia fossilizzata per la quale non era accessibile e conveniente sostare. Di fatti, occorreva munirsi di stivali da pesca e maschere antigas per transitarvi e altresì di scorte idriche per non soccombere ai rugginosi rubinetti, applicati al muro, che apparivano degli orpelli da esibire.
L’antibagno era stato trasformato da quel pelandrone, in un deposito di secchi colmi di acqua stagnante, simile ad una lavanderia priva di attrezzature e sprovvista di detersivi, dove venivano messi ad asciugare sudici cenci e stracci anneriti e lerci da secoli. In quel magazzino era possibile ritrovare tutto ciò che era stato trascurato dal lavoro di consegna dell’inetto e che risultava materiale utile a tutti gli insegnanti tartassati come la corrispondenza del provveditorato, circolari ministeriali, richiese concesse ed approvate dai vari Enti, saggi gratuiti per la didattica e persino i prodotti per l’allestimento di mostre che davano il vanto a qualche collega laboriosa, privata dei


suoi strumenti di lavoro come gli oggetti creati dalla Fedele Scolastica in Secoli. Venivano occultati altresì, bollette, cedolini e richieste di credito accolte dal povero custode Pampina che pur lavorando in maniera estenuante, tentava di sopravvivere e far sbarcare il lunario alla sua famiglia con modesti finanziamenti da parte dell’INPDAP.
Nell’insieme, la merce raccolta veniva depositata in quelle sacche nere pronte ad essere smaltite dagli altri meschini negli appositi contenitori dei rifiuti.
In quell’immondezzaio, negli angoli sempre in vista regnavano, da padrone, scope e ramazze obsolete, impolverate come le reliquie di sua Santità o giacenti nel museo dell’artigianato, privati di teche o scrigni per la loro inservibilità.
In effetti, era d’obbligo l’uso di questi strumenti di lavoro per quella carogna, ma il piantagrane consegnava, su richiesta, gli stessi attrezzi agli insegnanti esemplari, in caso di necessità, al fine di esautorare la loro immagine professionale e sovrastarli nella loro personalità.
Infiniti episodi potrebbero essere narrati a tal riguardo, ma quella vissuta da Martina Agnelli potrebbe confermare le caratteristiche di quest’essere pernicioso.
Una mattina di quei tragici anni, in sala professori caddero le chiavi sotto gli armadi metallici a Nerina Lupo Insabbia, che, senza scomporsi, provò a cavarsela da sola, senza ricorrere ad alcun aiuto. Ma i presenti per marcata solidarietà verso la collega si precipitarono a collaborare. Fu difficoltoso spostare gli scaffali e l’ingenua e dolce Martina ritenne di far intervenire l’ausiliario per la spettanza.
Però, la sua richiesta effettuata non sortì l’effetto di collaborazione sperato, infatti la collega Agnelli raggiunse la sala senza la presenza dell’insolvente Poppi, il quale in risposta per l’occasionale emergenza, le mise in mano l’impolverato strumento, suscitando nei presenti indignazione per la mancata disponibilità. Con la sua azione, il Caronte aveva concretizzato il suo abituale pensiero: <> . In effetti, temeva che qualcuno gliela sottraesse. Un’altra attività che gli riusciva alla perfezione , era quella di improvvisare una sorta di“caccia al tesoro”, gioco riservato solo a pochi insegnanti, i quali erano costretti a girovagare in tutti i locali della scuola alla ricerca forsennata di referenti per le loro attività didattiche quotidiane da poter svolgere.
Se i turlupinati ne avessero manifestato accusa e protestato, il Poppi avrebbe immediatamente esternato tutti i suoi atti d’inciviltà con il conseguente annientamento della vittima predestinata.



Però, con Chiara non l’ebbe vinta. Abituato all’immobilità e a paralizzare lo svolgimento di ogni attività scolastica, un giorno lontano, durante il periodo della vecchia dirigenza, si permise come abitudine di non favorire l’accesso in sala video, adducendo di non possedere le chiavi.
Consigliò all’insegnante, in maniera pretestuosa, di rivolgersi al Professore incaricato. Il professore in questione inviò Chiara a un terzo personaggio responsabile. E fu un vagare per l’intera scuola
con la durata record di un’ora e trenta circa. Non si venne a capo di nulla e l’attività programmata sfumò come il resto della lezione con il “via e vai” stabilito dall’insulso Poppi.
Fu una tragedia perché l’insegnante, ingannata e costretta a vagare inutilmente, iniziò a protestare.
A tale reazione, il furbo maligno, non abituato a ricevere dalle vittime perseguitate, degne risposte, s'inferocì e fu necessario effettuare una richiesta di richiamo per l’accidioso indirizzata alla Preside in carica ed anche al Provveditorato di Callarara. La preside Lo Re impaurita dalle urla disumane del viscido individuo, si nascose nei locali amministrativi e affidò l’incarico di risolvere la questione a Libero Grasso, il quale onorò l’impegno in maniera esemplare, richiamando l’individuo facinoroso. Anche per quel verme giunse l’ora del suo declino. Si associarono tutti quelli che subivano continuamente vessazioni e angherie, da parte del feroce Caronte e in particolar modo i suoi colleghi bidelli tartassati compresi, nell’adottare un’unica linea di punizione per l’improbo a sua insaputa. Il caso diede una mano ai temerari che tramavano dietro le quinte.
Un fatidico giorno, il Poppi riprese a dare segni di insofferenza verso tutti: era più intrattabile del solito. In molti, si chiesero il motivo dell’accaduto ed egli, non risparmiando colpi all’intera comunità, accusò gli incauti di averlo privato dei suoi effetti personali, che erano rappresentati, come punto di forza e di potere, dall’enorme mazzo di chiavi d’apertura di tutti i locali di quella scuola. Urlò come un prigioniero sotto tortura, ma i comuni mortali finsero di non udirlo. Sbraitò così tanto che fu necessario pensare al suo ricovero presso una struttura ospedaliera reparto “Igiene Mentale”. Ma, il vile individuo tentò di correggere la traiettoria della sua acuta impennata d’ira funesta. Richiamò i suoi malleabili colleghi e li accusò aspramente del torto ricevuto. Ma, quei poveretti, considerando l’età avanzata, soggetta a demenza senile, come quella di perdere quello strumento di potere, chiamato mazzo di chiavi, lo compatirono, raggiungendo l’ambito del lavoro assegnato. Per quanto accaduto, iniziò per lui il cambiamento sperato da tutti i professori, utenza scolastica inclusa. Iniziò così a ridurre gradualmente i suoi frequenti eccessi di ira, mitigò i suoi gesti spropositati e limitò le violente discussioni e la sua baldanza. Da tal esperienza, l’insulso fu limitato dal privilegio nell’aggredire chiunque lo costringesse a nobilitare l’opera per divenire più produttivo, ma quest’ultima aspettativa, divenne solo un’utopia collettiva, perché bisognava

attendere la sua scomparsa definitiva dalla scena di quella scuola. Fu certo il fatto che con il nuovo dirigente e con i suoi galoppini, per non subire ulteriori declassamenti e mantenere costante la sua inerzia, il Poppi divenne più innocuo e fu messo da parte. Tuttavia, grazie a quella dirigenza, mantenne intatte le sue antiche abitudini e non svanirono mai: né il prestigio di oziare nella sua poltrona, né l’incanto di coronarsi in quel regno di spazzatura che lui stesso,





























CAPITOLO XXI
LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI
A proposito di spazzatura lasciata in eredità alla scuola dal Poppi, coloro che conducevano l’accanita persecuzione nei riguardi di Chiara, intesero attribuirle per punizione l’onere di pagamento delle infinite tasse per lo smaltimento dei rifiuti dei locali in quell’indirizzo. Puntualmente alle segnalazioni pressanti da parte della malversazione amministrativa della“P.E. Giusti” con a capo Maria Consolata Sciagura, si presentavano gli esattori del Comune di Bagnerafriddi alla ricerca della destinataria tartassata, rincorsa persino nelle varie impervie aule, esigendo il pagamento di congrue somme addebitate per la spazzatura raccolta in quella sede.
Poiché le irruzioni non sortivano l’effetto sperato a causa del non ritrovamento dell’interessata, i militi inquisivano con successo “Gola profonda” al fine di ottenere il rilascio del recapito di residenza e quella“ Bocca di rosa”ne esibiva con facilità e gioia l’ambita informazione. Anzi, con orgoglio trascriveva i dati sensibili richiesti della vittima di turno, consegnandoli agli sconosciuti incaricati dell’atto reso esecutivo. Poteva nascondersi chiunque dietro quella parvenza d’identità non richiesta e alla Sciagura il conoscere le generalità dei visitatori le appariva inutile e di scarso interesse, anzi suscitava in lei infinita soddisfazione e si esaltava con il concretizzare la trasgressione illegale per la mancanza di rispetto della Legge 196/2003, che le garantiva la conquistata stima da parte del D.S. capo degl’imbroglioni e dei suoi fedelissimi scagnozzi al seguito.
Gli inquirenti tuttavia, non rassegnati dall’insuccesso ottenuto, adottarono altri svariati sistemi che prevedevano anche l’intervento dei cani poliziotti.
Questo sistema era stato già sperimentato in precedenza dal corpo dei NAS per la ricerca dei probabili spacciatori che fornivano di stupefacenti gli adolescenti, a rischio di tossicodipendenza, appartenenti alla “P.E. Giusti”. Quel ricordo lontano destinato a ripetersi, appariva come
un coprifuoco generale che investiva quasi quotidianamente quella scuola.
La protagonista che favoriva l’intervento, era componente onoraria dell’équipe psico-socio-diseducativa e si chiamava Mela Marcia, che, pavoneggiandosi, aveva non sempre con cognizione di causa, demonizzato quella scuola. Poiché venne odiata per le sue carognate dall’intera utenza , dai colleghi e da tutti gli esponenti scolastici, l’incriminata, dovette far fagotto ed abbandonare quel campo.



La vigliacca si inserì facilmente nel settore del commercio di frutta e verdura per il quale ne era maggiormente portata.
Infatti in quel contesto, la “verduraia” cessò di rendere la vita impossibile all’intera società scolastica e a quella socio-cittadina, attuando quella fornitura alimentare che le era più congeniale. In tale settore, allestì un capannone abusivo per il quale fu indagata ufficialmente dalla magistratura, per cui, il caso volle, che i suoi atti furono depositati nella stessa sede dei suoi precedenti assistiti.
Anticipatamente durante la vecchia dirigenza, quell’ indisponente malparlante e malpensante
aveva già dato segni precursori della sua nuova futura attività.
Infatti, la si rilevava, negli ambiti della segreteria, al telefono con il figlio per comunicare le quantità di banane da comprare e i mazzi di cicoria da far saltare in padella per la cena.
Dissertava per ore sulla qualità del sedano per la zia, su quel finocchio per il figlio, per la carota destinata alla sorella e quant’altro, sempre pronta ad occupare la linea telefonica su quegli affari, tralasciando quelle chiamate da effettuare obbligatoriamente al fine di onorare la sua professione.
In compenso era divenuta un’esperta del regno vegetale e coronata regina dell’insalata, oltre che ad anticipare il suo ingresso nel mondo ortofrutticolo.
Al ricordo di questa ferrea impiegata del cavolo, presero l’ispirazione gli osservanti colleghi comunali nel trovare la giusta soluzione attraverso le identiche metodologie adottate in quelle circostanze passate.
Dopo aver consultato le unità cinofile e muniti di belve del canile municipale, in un giorno non tanto lontano, quegli arditi esattori si recarono nei locali di quella scuola con cani famelici e ringhiosi al guinzaglio. Conferirono con il “corvo” dell’amministrazione e quella perfida suggerì loro di far annusare alle belve un documento depositato in archivio trascritto dalla ricercata.
Poiché quel giorno l’insegnante, informata all’ultimo momento, si era recata ad accompagnare una sua classe ad una competizione sportiva e risultava di conseguenza assente dai locali di quella scuola, era sfuggita per caso al controllo inquisitivo della “mala volpe”. I cani ringhiosi, dopo aver percorso invano trascinando gli umani accompagnatori, si avventarono contro la demente artefice dell’operazione che ne aveva architettato la truffa. Fu così che quei focosi amici dell’uomo resero la mittente a brandelli. In effetti, la “regina degli inganni” per non destare i sospetti aveva volutamente, per astuzia, tralasciato di munirsi degli appositi guanti di lattice come era di sua abitudine usare, per cui il fiuto dei cani aveva riconosciuto solo il suo odore insito alla sua abituale manomissione. Ritornata a casa la “senza cervello”dai vestiti lacerati, fu assalita anche dal suo stesso cane, il quale geloso riconobbe altri odori non propri che minavano la sua supremazia e
ascendente sulla vecchia padrona, alla quale, con dedizione, l’animale aveva salvato precedentemente la vita e quella in risposta senza gratitudine si era concessa l’infedeltà di sostituire quell’affetto sincero con gli altri della stessa razza canina.
Analoghi fenomeni di ricerca per la consegna dei tributi, furono effettuati successivamente al trasferimento da quella “fognatura” di scuola da parte dei baldi esattori verso l’interessata destinataria.
Tale rilascio era sostenuto e pronto dall’iniqua soffiata da parte di quella sadica Sciagura Maria Consolata, che mirava a generare disagio e difficoltà nella Bianchetti, la quale era sempre costretta a sottoscrivere richieste di annullamento del debito inesistente verso il Comune di Bagnerafriddi.
Quel “benedetto” Comune anomalo, invece di tassare per lo smaltimento dei rifiuti i morosi residenti che ne avevano l’obbligo, estorceva tributi a coloro che provvisoriamente nello stesso, vi operavano nell’ambito lavorativo.
Per Chiara giunsero tempeste di plichi con imposte esagerate nel comune di residenza. Poiché la stessa sede era stata modificata in indirizzo e l’ex scuola non ne era venuta ancora a conoscenza, non fu difficile per la nostra eroina rinviare la tassa ormai caduta in prescrizione.
Pur tuttavia, era costretta ad inviare al mittente il documento ricevuto e ritirare nel contempo la raccomandata di altri pagamenti di tasse inviati dallo stesso Comune esattore. Questa tempesta di raccomandate e di inoltro posta prioritaria con identiche richieste fu perpetrata ad intermittenza per la durata di due anni sempre successivi al trasferimento in altra sede.
L’ultima raccomandata pervenuta finalmente all’esatto indirizzo raggiunse persino il ridicolo.
L’iniziale rabbia per le molestie ricevute che rasentavano lo “Stalking” da parte degli accaniti persecutori del momento svanì e la nostra eroina già subente di tali azioni, agì con prontezza di spirito.
Infatti, abituata a destreggiarsi nell’ambito farraginoso e oscuro della più contorta burocrazia che quella scuola di servizio spesso la proiettava, Chiara procedeva tempestivamente con maestria a risolvere l’incresciosa situazione.
Per l’evento non fu necessario ricorrere ad un documento legale, ma grazie a quello di un’amica, attinse fedelmente alla copia di un ricorso.
Nello stesso, sottoforma di dichiarazione rese noto di:
1) essere stata sempre residente ad Alimento.
2)che la pretesa impositiva riguardava in indirizzo un consumo di smaltimento rifiuti dei locali dell’ex sede di servizio, la Scuola Secondaria di 1°Grado:”P.E.”Giusti” ubicata in via Nidioti al n°00-3) che aveva ottenuto il trasferimento nell’ambito lavorativo nella propria sede di residenza
per il periodo addebitatole richiesto dal comune di Bagnerafriddi , nel quale risultava assente definitivamente da due anni .
Fu superfluo precisare che nella stessa sede per la quale l’insegnante era tenuta ad adempiere, a loro avviso, un debito assurdo ed inesistente per lo smaltimento dei rifiuti dei locali della scuola, risultava di appartenenza al Comune di Bagnerafriddi.

Tale pretesa raggiungeva persino l’assurdo e per alcuni aspetti anche il paradosso cioè quella di essere tassati sul posto di lavoro per lo smaltimento dei rifiuti nei periodi successivi al trasferimento di sede.

La notifica dell’irreale pagamento faceva scaturire in effetti, se fosse stato lecito il debito,
che occorreva essere dotati del dono divino dell’ubiquità per ottemperare, in assenza da Bagnerafriddi, a tale adempimento impositivo.

Per tali motivi, appariva contro ogni logica la richiesta di pagamento reso esecutivo in quella data sulla tassa nettezza urbana, non solo in riferimento all’indirizzo specificato, ma soprattutto esigere pagamenti negli anni successivi al trasferimento dalla sede scolastica P.E. Giusti


Infatti appariva impensabile, irragionevole ed illogico il fatto di soggiornare nei locali di un luogo differente da quello non più lavorativo e non soltanto, ma pagare tasse per l’uso rifiuti allo stesso creditore Comune di Bagnerafriddi per i locali di sua proprietà.

Senza considerare che la presunta permanenza domiciliare a Bagnerafriddi da parte della protagonista avrebbe comportato senza dubbio disagi nell’effettuare obbligatoriamente gravosi e lunghi tragitti fuori provincia al fine di raggiungere la sede di servizio di Alimento, la stessa risultante di residenza.
Era chiaro che la Pubblica Amministrazione di Bagnerafriddi aveva esercitato il suo diritto sulla base di erronee riscossioni ed era logico ritenere che le stesse avrebbero favorito un ingiustificato arricchimento al COMUNE richiedente ottenendo il pagamento non dovuto né spettante.

Per tali buone motivazioni Chiara si opponeva alla pretenziosa richiesta.

Lo stesso trattamento tributario da parte di quel Comune fu riservato anche a Fedele Scolastica in Secoli, la quale reagì con marcata cautela e spirito fatalista pagando tasse esorbitanti sullo smaltimento dei rifiuti che non aveva consumato. Anzi, pagò persino doppie bollette per il suo domicilio e per quello di residenza, al fine di permanere in quella “melma” di paese che le consentiva da masochista la più ampia espiazione punitiva.




CAPITOLO XXII
LE ASSURDITA’ PRECEDENTI E CONCLUSIVE

La definitiva scomparsa da quell’ambiente scolastico eternamente ostile fu per la professoressa Bianchetti difficoltosa e mai avvenuta. Infatti, anche dopo il trasferimento la sua memoria restò viva. I suoi assalitori con al vertice la Dimessa Gambuzza e il “Pappone”, conducevano attacchi violenti su commissione dal “Capo banda” nominato. Procedevano autonomamente, ma l’ordine e la responsabilità incombevano sempre sul “dittatore” Duce, che concedeva solo ai componenti del suo “branco”, fiducia e libertà. Ed essi con determinazione non smentirono mai la loro pessima condotta.
Infiniti furono i loro atti di sopraffazione sia successivi al sevizio di Chiara in quella scuola che precedenti all’infortunio sul lavoro della sfortunata.
Di notevole rilievo fu l’accaduto dei suoi dati personali lasciati giacere sotto il telefono della segreteria, che rappresentava nei primi giorni dell’inizio anno scolastico, una piazza pubblica.
Per le situazioni che si verificavano in quella “merdaccia” quel termine “Segreteria” smentiva notevolmente il suo significato e connotazione, derivando da “segreto” che diveniva solo “divulgazione”.
A tal proposito, un giorno prima dell’accaduto sinistro sulle scale, la Bianchetti si era recata in quegli ambiti foschi e oscuri e visse dal concreto la persecuzione in atto di realizzazione.
Fu abbagliata da quell’orripilante visione: i suoi dati personali erano riposti sotto il telefono della segreteria, senza il personale addetto. Si delineò così l’inizio di un incubo. Apparve per lei un enorme maltrattamento che stordiva i suoi sensi. Restò così incredula e basita di quello scorcio di visione, che mise in discussione persino la sua vista e la facoltà di comprensione. Dopo un attimo di raccoglimento e di riflessione, cercò di mettere a fuoco il motivo dell’atto effettuato da parte dei responsabili amministrativi. L’amara realtà, percepita a seguito di quel momento di turbamento le diedero la forza di reagire e il caso fortuito le offrì una mano sottoforma di telefonata. Destata da quello squillo proficuo, inforcò il cellulare e con prontezza di spirito immortalò la situazione presentata con la fotocamera. Tuttavia, per quanto grande si fosse rivelata la sua risoluzione difensiva, la sua pazienza, al contrario, non riconobbe alcuna giustificazione verso quell’azione adottata dai malfattori scolastici delinquenziali. Animosa per natura e passionale per principio, si rivolse agli impiegati di quella sala, che avevano terminato al momento di banchettare e rientravano con abituale rilassamento. Quegli individui cercarono di far placare la rabbia per l’ingiustizia subita adducendo a degli errori umani effettuati gli uni verso gli altri, accusandosi a vicenda di responsabilità per concludere con le pretestuose scuse la faccenda proprio lì.
Risultò vano ed inutile protestare visto che la Maria Consolata Sciagura, accorsa in fretta nell’atto di nascondere la manfrina abituale, si era assunta la responsabilità dell’azione illegale, adducendo il fatto di aver lei stessa dimenticato il documento personale perché le serviva per comunicare le sentite condoglianze per il lutto familiare retroattivo vissuto dalla protagonista sei mesi prima.
Si diede adito di ritenere che, lo stato personale giaceva sotto quel mezzo di comunicazione da lunghi mesi e apparve chiaro che con questa giustificazione, si insisteva ad offendere senza ritegno l’intelligenza della Bianchetti, considerandola una “boccalona”.
Fu certo che quell’abbaglio divenne un tentativo di getto di fumo negli occhi per la nostra eroina, ma si comprese chiaramente che la persecuzione verso l’indesiderata era iniziata a delinearsi per poi successivamente esplodere con quella dimenticanza che ne divenne la miccia della bomba da innescare.
Un’altra della serie: “feroci vessazioni” ad infortunio avvenuto divenne la richiamata in servizio durante le meritate vacanze.
Si comprese chiaramente l’abuso di potere perpetrato in quella circostanza in considerazione alla nota ministeriale del 28 luglio 1981, prot. n.° 980.
In effetti, qualsiasi Istituzione Scolastica non poteva imporre ad un dipendente la presenza nei locali della scuola durante il periodo delle Ferie, perché il suo godimento risultava un diritto irrinunciabile.
Ma per la nostra eroina statale da parte di quella” fogna” di scuola usufruire delle vacanze, risultava solo un irregolare privilegio. Fu tartassata di telefonate mentre si trovava in viaggio. Diedero quest’incombenza a Crocifisso Avorio, il quale insisteva nel mese di agosto di far rientrare la vittima di soprusi immediatamente in sede, con il pretesto di rimuovere l’autovettura parcheggiata in un angolo dell’ampio cortile della scuola, perché con la sua ingombrante presenza ostruiva l’ingresso nei laboratori.
In quei locali in effetti, era iniziata l’era della scostumatezza effettuata dalla Troia Elena con i differenti mastri esperti esterni, per cui con questa madornale scusa, l’auto sorvegliata dal custode e soprattutto il suo prelevamento, ne impedivano la riservatezza delle differenti coppie che quotidianamente si costituivano in quegli ambiti nascosti scelti per i loro momenti d’intimità.
Si aboliva con quest’ultimo atto il ricordo lontano del prestigio di Chiara attraverso il rifiuto sosta auto, dimenticando che quell’utilitaria divenuta familiare, era stata da sempre parcheggiata a “rischio” su autorizzazione del personale non docente e dalla dirigenza di quella scuola.
Con quel gesto i componenti del “Branco”intesero cancellare altresì il simbolo che ne mostrava l’appartenenza di quell’insegnante alla P.E. Giusti, facendosi scudo delle volontà del nuovo
dirigente “dittatore” che poneva fine alle vecchie e sane abitudini, per adeguarle alle ingiuste disposizioni convergenti verso la futura scomparsa sia di quell’elemento automunito scomodo sia dell’intera popolazione di quella scuola. Infiniti episodi analoghi si aggiunsero a questo, che non risultò l’ultimo e parecchi episodi non sporadici, furono anche sorretti da estrema ferocia.
Fu sufficiente ricordare l’invio delle richieste giustificative per motivi di salute, inviati da uffici postali fuori provincia. In effetti, la Sciagura si era arrogata il diritto di perseguitare Chiara, inviandole, anche di sua iniziativa, richieste assurde che confermavano gli atteggiamenti abusivi del MOBBING. Per effettuare ciò, ogni fine settimana si recava nella Città dell’Elefante, e da lì partivano le sue missive e quant’altro di materiale denigratorio. La Bianchetti iniziò a raccogliere in una carpetta le centinaia e migliaia di buste a lei indirizzate con timbri di svariati comuni di quella provincia non di servizio, da dover esibire come prove dell’avvenuta persecuzione. Era inconcepibile inviare richieste giustificative, firmate dal perverso dirigente, che incaricava i suoi collaboratori d’ inoltrarle in altri comuni, tuttavia, in quella scuola succedeva anche di peggio.
L’ultimo atto ostativo verso l’insegnante fu realizzato nell’ultimo periodo del suo servizio ad avvenuto trasferimento. Avendo esaurito tutte le forme di persecuzione, i malvagi, ancora non rassegnati, non avendo appagato la loro violenta vendetta, decisero di escluderla dal Collegio dei Docenti, stabilito durante il suo servizio. In effetti, a Chiara spettava di dovere la convocazione e la partecipazione perché risultante ancora insegnante in quella scuola. Ma il “Branco”, ancora una volta, aveva agito illegalmente, richiedendo la sua presenza solo in caso di conclamata inutilità.
Pur tuttavia, quell’episodio non restò isolato perché, anche successivamente al suo trasferimento,
i malfattori continuarono a perseguitare attraverso forme differenti ed estreme di rappresaglie
la loro subente eccellente, però in quel momento tacquero nel gioire della scomparsa di quell’insegnante ostinata che tentava di ottenere giustizia e minava i loro interessi economici.
Ma la loro esultanza per l’uscita di scena della vittima risultò di breve durata perché divenne solo il punto di partenza dei nuovi guai estesi agli aguzzini di quella mala società.
A fronte di quanto accaduto e per svelare gli inesauribili fitti misteri, sarà necessario lasciare la porta socchiusa di questo mondo gravemente degradato, ingresso che successivamente si spalancherà, al momento propizio, nel continuare la narrazione delle successive vicissitudini subite da illustri sconosciuti di quella rovente furia devastatrice che chiamavano SCUOLA.
Francesca Russello

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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