lunedì 2 febbraio 2015

Sergio Rossitto ricorda suo nonno Gaetano nel tempo della grande guerra.

di Sergio Rossitto

Carmelo Nigrelli, in un post del 14 dicembre, scriveva “Amici, tra pochi giorni inizierà il 2015. 100 anni fa l'Italia entrava nella Grande Guerra per unire al resto della nazione il Trentino e la Venezia Giulia. Centinaia di migliaia di giovani andarono ai confini dell’Italia e molti morirono per una idea e un popolo”. Propose di raccontare le storie dei nostri nonni ed oggi, con commozione voglio ricordare quella di mio nonno Gaetano Rossitto. Abbiamo nei giorni scorsi condiviso l’idea di riabilitare circa 750 ragazzi fucilati con il barbaro rito della decimazione. Oggi, al di là di una facile retorica, mi sembra doveroso rendere omaggio a quanti, forse inconsapevoli di una guerra assurda, si trovarono nelle trincee di fronte al nemico austroungarico. La riconquista, dopo un mese dall'ultima offensiva austroungarica di Natale 1917, dei tre monti rappresenta forse la pagina più bella della prima guerra mondiale. Gli italiani impiegarono unità di élite come bersaglieri e alpini, numerosi nuclei di arditi e la brigata Sassari, già distintasi nei mesi precedenti sugli altipiani. Comandava le truppe dell’altopiano il Gen. Gaetano Zoppi. Al comando del generale d'artiglieria Renzo Garrone si schieravano 420 cannoni campali, 424 pesanti, 12 batterie di bombarde, 15 obici pesantissimi, su un fronte di circa 6 km, impiegati in tiri di controbatteria, distruzione degli ostacoli passivi, interdizione poi copertura e appoggio all’azione delle fanterie. Ordini chiari, comando e controllo aderente agli sviluppi dell’azione ed esecuzione intelligente da parte delle unità caratterizzarono l’impiego dell’artiglieria, che in questa battaglia diede ben altra prova se confrontata a Caporetto, dove non intervenne per ordine di Badoglio. L’azione offensiva, che portava alla riconquista dei tre monti, si rendeva inoltre necessaria per ovvie ragioni morali in quanto, in 3 mesi di sanguinosa ritirata, il soldato italiano avvertiva il peso della perdita dell’iniziativa e il pericolo d'una difesa sempre più sbilanciata e precaria. L’offensiva non era limitata solo a questo settore in cui gli austriaci erano ben vigili, ma a tutto l’altopiano. Le battaglie dei “Tre Monti” conservano tuttora un significato superiore che va oltre lo straordinario risultato militare ottenuto; infatti, ancor più del valore, occorre ricordare il rinascimento morale dell’Esercito Italiano e dell’intera Nazione, dopo soli tre mesi dalla tragica disfatta di Caporetto. In quei drammatici giorni fu messa in forse l’integrità nazionale, mentre volantini dell’esercito imperiale minacciavano saccheggiamenti, violenze, la presa di Venezia e l’invasione della pianura vicentina. Se non è corretto chiamarla “quarta guerra d’indipendenza” il motto “fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” sembra specchiarsi in questa resistenza, con la quale fiorì una nuova coscienza collettiva unitaria del popolo italiano, forgiata attorno ad un crogiuolo di esperienze, dialetti ed umanità. Dunque, aldilà della retorica della vittoria, onore a quei soldati. Nonno Gaetano era tra questi. Venticinquenne, in un freddissimo “giorno della merla”, esattamente 97 anni fa, il 29 gennaio 1918, infuriava la cosiddetta battaglia dei tre monti (Col del Rosso, Col d’Echele, Cima Val Bella (28/31 gennaio 1918). “Durante un intenso bombardamento, sprezzante del pericolo, usciva dalla trincea per curare i feriti della propria compagnia e di altri reparti. Instancabile nella sua opera di soccorso, con l’esempio e con la parola incoraggiava i soldati alla resistenza, finché veniva gravemente colpito da una scheggia di granata”. Questa la motivazione con cui Sua Maestà il Re il 20 luglio 1919 sanzionò la concessione, fatta sul campo, dalle supreme autorità mobilitate, di una medaglia d’argento al valor militare (Col d’Echele, 29 gennaio 1918). Dopo la concessione, sul campo, della medaglia d'argento fu pure insignito della croce al merito di guerra.
Il capitano di fanteria Rossitto Gaetano di Antonino della classe 1893 (14 luglio), il 18 giugno del 1940 fu richiamato alle armi per esigenze militari di carattere eccezionale e comandò la tradotta militare di Siracusa fino a quando l'11 luglio del 1943 fu catturato dagli alleati e portato in prigionia a Malta, quindi in Algeria.
Ciao nonno.

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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