di Marco Pappalardo
Carissimi Ragazzi,
in questi giorni ho rivisto video e film sull’Olocausto per prepararmi al “Giorno della Memoria” e ho ripreso le foto dei miei viaggi ad Auschwitz e Dachau, due campi di concentramento, il primo in Polonia, il secondo in Germania. «Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio: è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento», sono le parole di una canzone di Francesco Guccini, che mi ricordano l’intenso silenzio di quei luoghi pur in mezzo ai tanti visitatori, un silenzio che fa rumore, che dà fastidio perché costringe a pensare, a fermarsi, a tacere, a pregare, a riflettere, a commuoversi.
Sì, Carissimi, anche un professore piange, soffre, si sente inadeguato, impotente, poiché non c’è tra quei viali qualcuno che possa dirsi immune dal dolore solo per il suo ruolo, per le conoscenze, per i titoli di studio, per la fama, per il denaro. Non ho più bisogno, dopo essere stato nei campi di sterminio, di vedere per me film che trattino questi temi, perché ho impresso nel cuore e nella mente quanto ho provato di persona, non è presunzione bensì consapevolezza. Io non piango molto, almeno esternamente, ma quando ciò accade, da allora, c’è sempre una lacrima per i deportati, per le loro famiglie, per i loro amici; c’è sempre una lacrima per tutti i deportati e perseguitati di oggi in tutto il mondo, quel mondo che ben poco ha imparato dalla Memoria. Scrive Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943 a 29 anni: «Ho affrontato questo dolore, molti interrogativi hanno trovato risposta, l’assurdità ha ceduto il posto ad un po’ più di ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più. Mi sento come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi o alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità in qualche parte, in cui possono combattere e placarsi e noi dobbiamo aprire loro il nostro spazio interiore senza sfuggire». Carissimi ragazzi, dalla sofferenza non si fugge, la si può solo accogliere, portare con sé, affrontarla ogni giorno come un soldato coraggioso che sa che la vita è preziosa, ma allo stesso tempo acquista più valore quando è donata. Crescere vuol dire questo e, se anch’io a 35 anni continuo a crescere e ad imparare, a sognare e a lottare, a cadere e rialzarmi, sono certo che potete farlo anche voi che per crescere fisicamente avete la famiglia e la natura dalla vostra parte, per imparare avete la scuola, l’università, le biblioteche, internet, per sognare avete l’amore, la musica, lo sport, per lottare avete l’ardore della vostra età, le passioni, i desideri, per cadere avete gli esempi negativi e lo scoraggiamento, per rialzarvi chi vi vuole bene e un grande attaccamento alla vita. Perché scrivervi queste parole proprio ora? Cosa c’entrano con la memoria dell’Olocausto? Mi vengono in aiuto le parole di Hannah Arendt, una pensatrice tedesca di origine ebraica costretta a fuggire per le persecuzioni naziste: «È anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale». Io credo nella vostra capacità di andare al cuore delle cose, di toccare le radici profonde del Bene, di “succhiare il midollo della vita”, di mutare la banalità in competenza, sacrificio, impegno, contenuto, azione, amore, dono. Così fare memoria ha un senso, perché non è come studiare la storia dai libri o da un dvd, né come fare una commemorazione, né un ricordo nostalgico del passato; fare memoria con voi, che siete vivi, forti, speciali, determinati, dal cuore buono, significa dare un orientamento diverso al presente e uno sguardo profetico sul futuro perché possiamo costruire, partendo da noi stessi, un “Bene profondo e radicale” in famiglia, nello studio, con gli amici, con i proff., con chi amate, con chi è immigrato, chi è povero, chi è solo, chi è malato, chi la pensa diversamente, chi ha altre abilità, chi prega un altro Dio. Etty Hillesum scrive ancora: «Dobbiamo pregare di tutto cuore che succeda qualcosa di buono, finché conserviamo la disposizione verso questo qualcosa di buono. Infatti, se il nostro odio ci fa degenerare in bestie come lo sono loro, non servirà a nulla». Lo scrive lei in mezzo alle atrocità e alla morte, alla “banalità del male”, lo scrive lei per me e per voi, perché il suo “dobbiamo pregare che succeda qualcosa di buono” si realizzi come preghiera oggi, diventi impegno comune che trasformi la memoria in azione, in vita concreta, in donne e uomini di buona volontà che non abbiano più bisogno che qualcuno gli ricordi Auschwitz o Dachau, perché ce li hanno tatuati nel cuore. Coraggio e speranza, Carissimi ragazzi, poiché anche in quei luoghi di sterminio ci sono state persone, come Padre Massimiliano Kolbe che ha offerto la propria vita per salvare un padre di famiglia, ci sono stati uomini e donne che hanno trasformato l’orrore in amore!
Marco Pappalardo
Chi sono
Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com
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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"
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