Caro direttore,
ho letto su "Repubblica" del 14 febbraio un articolo nel quale si sostiene che il governo «è pronto a far pagare l’Ici alla Chiesa per gli immobili che svolgono attività commerciale»: scuole, ospedali, ecc. «facendo salvi gli enti non profit». Tra le ipotesi in campo, quella di "separare" gli ambienti tra commerciali e non profit, per far pagare solo ai primi. In parrocchia ho un oratorio e in quell’area c’è anche un bar aperto al pubblico: lo spazio del bar ovviamente già paga l’Ici e segue tutte le regole previste dalla legge, mentre solo gli altri spazi sono esonerati. Perché si continuano a raccontare storie alla gente?
don Andrea Vena, Bibione (Ve)
Già perché? E perché, caro don Andrea, su quelle stesse pagine si straparla di patrimonio immobiliare ecclesiale «sommerso» (anzi addirittura di «costruzioni fantasma»!) quando non c’è forse nulla più alla luce del sole delle opere e delle costruzioni ecclesiali? E perché si vaneggia di giri d’affari miliardari con conseguenti profitti stellari per attività senza fini di lucro (solo queste infatti godono di agevolazioni fiscali)? E perché si spara una cifra di 400 milioni di euro di presunta esenzione ad hoc per la Chiesa quando il valore delle imposte non incassate per le attività esentate in base alle norme vigenti è in totale di 100 milioni di euro (calcoli del Ministero del Tesoro, contenuti in un Documento ufficiale depositato in Parlamento lo scorso novembre) ed è riferito non solo alle attività di enti cattolici, ma di tutti gli enti non profit: laici, cattolici e di altre confessioni religiose? Le domande potrebbero essere quasi infinite. La risposta è purtroppo una sola: non ci sentono, non vogliono vedere le cose come sono, ma parlano, anzi, ispirati sempre dalle stesse fonti, scrivono sempre le stesse cose…
Detto questo, ben venga tutto ciò che potrà contribuire a chiarire ciò che è già chiarissimo per gli onesti operatori del non profit, religioso o laico che sia. Perché le tasse dovute vanno pagate, sempre.
Una norma contenuta nella normativa del 2006 sui casi di esenzione dall’Ici agli enti non commerciali viene considerata "ambigua" e dunque generatrice di confusione. Non dovrebbe essere così, perché lo spirito della legge e le motivazioni delle esenzioni sono inequivocabili, ma poiché dubbi erano sorti nella stessa pubblica amministrazione quella norma – come abbiamo scritto e riscritto – è già stata illuminata da una rigorosa circolare (la numero 2 del 2009) del Dipartimento delle Finanze. Si ritiene che sia giusto fare definitiva chiarezza anche in termini legislativi? Domenica scorsa il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, è stato ancora una volta esplicito in un’ampia intervista concessa al giornale "La Stampa" e nella quale ha risposto anche a domande a questo proposito. Ha, innanzi tutto, ricordato che «l’esenzione prevista dalla normativa vigente, non solo nel caso della Chiesa, ma anche di tutta una serie di realtà non profit, delle quali si è riconosciuto l’effettivo servizio reso alla società, (…) in quanto tale merita di essere mantenuta». Ha annotato che «se il governo unilateralmente, dato che si tratta di materia che attiene alla sua responsabilità, ritiene necessario apportare dei chiarimenti alle formule oggi in vigore, le valuteremo con attenzione e senso di responsabilità». E ha sottolineato «un fatto che è documentabile», e cioè che «se nel giro di pochi anni sono aumentate dell’80% le richieste di aiuto nei più vari settori vuol dire che la Chiesa risponde concretamente a bisogni diffusi dove non arriva nessuno. Se i centri di ascolto distribuiscono più vestiti, se le mense Caritas sfornano più pasti caldi, se i fondi anti-usura moltiplicano gli interventi, una ragione ci sarà. E non saranno certo i polveroni mediatici a risolvere i problemi di un’emergenza che ormai fa capolino dentro fasce sociali una volta garantite». Mi pare, caro don Andrea, una riflessione assai utile sia per chi conosce la realtà sia, forse, anche per chi conta storie. Magari, prima o poi, anche questi miei colleghi si renderanno conto di aver fatto da megafono a settori politici ed economici nemici giurati delle attività solidali e non profit (cattoliche e no).
Detto questo, ben venga tutto ciò che potrà contribuire a chiarire ciò che è già chiarissimo per gli onesti operatori del non profit, religioso o laico che sia. Perché le tasse dovute vanno pagate, sempre.
Una norma contenuta nella normativa del 2006 sui casi di esenzione dall’Ici agli enti non commerciali viene considerata "ambigua" e dunque generatrice di confusione. Non dovrebbe essere così, perché lo spirito della legge e le motivazioni delle esenzioni sono inequivocabili, ma poiché dubbi erano sorti nella stessa pubblica amministrazione quella norma – come abbiamo scritto e riscritto – è già stata illuminata da una rigorosa circolare (la numero 2 del 2009) del Dipartimento delle Finanze. Si ritiene che sia giusto fare definitiva chiarezza anche in termini legislativi? Domenica scorsa il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, è stato ancora una volta esplicito in un’ampia intervista concessa al giornale "La Stampa" e nella quale ha risposto anche a domande a questo proposito. Ha, innanzi tutto, ricordato che «l’esenzione prevista dalla normativa vigente, non solo nel caso della Chiesa, ma anche di tutta una serie di realtà non profit, delle quali si è riconosciuto l’effettivo servizio reso alla società, (…) in quanto tale merita di essere mantenuta». Ha annotato che «se il governo unilateralmente, dato che si tratta di materia che attiene alla sua responsabilità, ritiene necessario apportare dei chiarimenti alle formule oggi in vigore, le valuteremo con attenzione e senso di responsabilità». E ha sottolineato «un fatto che è documentabile», e cioè che «se nel giro di pochi anni sono aumentate dell’80% le richieste di aiuto nei più vari settori vuol dire che la Chiesa risponde concretamente a bisogni diffusi dove non arriva nessuno. Se i centri di ascolto distribuiscono più vestiti, se le mense Caritas sfornano più pasti caldi, se i fondi anti-usura moltiplicano gli interventi, una ragione ci sarà. E non saranno certo i polveroni mediatici a risolvere i problemi di un’emergenza che ormai fa capolino dentro fasce sociali una volta garantite». Mi pare, caro don Andrea, una riflessione assai utile sia per chi conosce la realtà sia, forse, anche per chi conta storie. Magari, prima o poi, anche questi miei colleghi si renderanno conto di aver fatto da megafono a settori politici ed economici nemici giurati delle attività solidali e non profit (cattoliche e no).
Marco Tarquinio