L’aria è pesante dalle parti del centrodestra. Dopo la caduta del governo Berlusconi e un’apparente fase di recupero nei sondaggi, i consensi per il Popolo della Libertà tendono costantemente a scendere, anziché salire. Se qualcuno si attendeva che con l’uscita di scena dell’ex premier, il PDL avrebbe acquisito nuova linfa, si è sbagliato molto di grosso. E non era difficile prevederlo.
Il partito era nato agli inizi del 2008 sull’onda carismatica di Silvio, da quel famoso predellino del novembre 2007, ma privo di una reale classe dirigente coltivata sul territorio, folto spesso di “ominicchi” politici scadenti, dalle scarse abilità sia nell’amministrare che nel rappresentare.
In oltre tre anni e mezzo di esistenza del PDL, nessun congresso, nessuno strumento di selezione democratica della classe dirigente sono stati adottati, con la conseguenza che il 99% di chi gestisce il PDL è totalmente autoreferenziale, senza alcun rapporto con la cittadinanza e l’elettorato.I congressi tanto voluti dal segretario Angelino Alfano sono oggi inutili e tardivi. Inutili, perché non stanno selezionando nuovi dirigenti, ma semplicemente “legittimano” coloro che già governavano a vario titolo il partito a livello locale e non, catapultati ai vertici provinciali e nelle prossime settimane comunali, sulla base di accordi nella spartizione delle poltrone tra le varie anime del partito. Lo dimostra la bassa partecipazione ai congressi, ché ne dicano i rappresentanti del PDL. Ma la furbata non funziona più. Se prima tutto era accettabile, perché al vertice del partito c’era una figura carismatica, come quella di Silvio Berlusconi, come si può pretendere che oggi gli elettori accettino di votare per un partito che mostra solo difetti e nessuna figura rappresentativa, come era quella dell’ex premier?
L’uscita di scena di Berlusconi ha fatto cadere l’ultima ragione per votare il PDL, che è la sommatoria di uomini-casta inamovibili, impreparati a governare e incapaci di creare consenso attorno a loro.
La dimostrazione di questo ragionamento sta negli stessi sondaggi, che da settimane stanno seminando il panico tra i deputati e senatori del partito. Se anche nelle fase più drammatica del governo Berlusconi, il PDL veniva accreditato di percentuali che non si discostavano troppo dal 30% dei consensi e quasi sempre si attestava come primo partito, da qualche mese il consenso è letteralmente precipitato. Le ultime rilevazioni in possesso di via dell’Umiltà e riservate dicono che il PDL sarebbe sotto il 20%. Qualcuno ipotizza, addirittura, che esso sia più verso il 10%.
Ma ciò che dovrebbe ancora di più spaventare gli autoreferenziali amministratori del partito è il fatto che Silvio li stia mandando a quel paese, senza neppure farglielo capire. Ieri, alla riunione del partito, l’ex premier ha ironizzato sul fatto che per via della crisi anche lui debba stringere la cinghia. Ma il nocciolo della questione era questo: non sgancerà un soldo per la campagna elettorale delle amministrative e non ci metterà la faccia. Fin quando il partito lo guidava lui, il capo si sentiva in dovere di spendersi anche con quattrini propri, ma oggi non è più così.
E senza i soldi e il carisma di Berlusconi dove dovrebbero andare tanti signori, che lo hanno spinto alle dimissioni, minacciando un giorno sì e l’altro pure l’addio alla maggioranza?
Ma quello che più dovremmo chiederci è: sarà possibile invertire questo trend catastrofico? Sappiamo che la politica è fatta di cicli e questo non è più il ciclo del PDL. Ma, attenzione: esso può ancora essere il ciclo del centrodestra. Ciò che non va è lo strumento e gli uomini che lo hanno in mano. E’ quasi impossibile che questa classe non-dirigente del PDL possa risollevare le sorti del centrodestra, per questo l’ex premier dovrebbe seriamente pensare non tanto a cambiare simbolo e nome, cosa giustissima, ma anzitutto ad azzerare tutti o quasi gli uomini di cui si è avvalso negli ultimi venti anni.
Se prima l’operazione era impensabile, visto che bisognava preservare la stabilità del governo, adesso è fattibile. Anche perché non ha più nulla da perdere. E’ stato fatto fuori politicamente da quelle stesse personalità, che pretendevano di emanciparsi dal ruolo di zerbino, che era, invece, loro congeniale e senza alternative. Con un elettorato così stanco di certi nomi, che a tutti i livelli restano sempre maledettamente gli stessi e senza alcun risultato sul piano politico e amministrativo, l’unica cosa che Berlusconi dovrebbe imporsi di fare è di sciogliere il partito che lui stesso ha creato, per tentare di creare un nuovo strumento davvero diverso nei modi e nelle persone, in grado di rappresentare una delle due-tre gambe su cui dovrà poggiarsi il nuovo centrodestra.
Un partito, che abbia alla sua destra un alleato come Storace e la sua formazione politica e che veda in Casini un interlocutore al centro stabilmente a suo fianco nelle alleanze locali e nazionali. Lasci ad altri la vecchia casta democristiana, ingestibile da chi non ne abbia fatto parte nella storia della Prima Repubblica. Trovi uomini e donne capaci a tutti i livelli e li metta nelle condizioni di fare bene. Ma si sbarazzi al più presto dell’entourage folto e decadente di cui è circondato ancora oggi. E’ quello che lo ha assassinato il 12 novembre 2011.