di Tonino Solarino
È il titolo di una conferenza che mi hanno
chiesto di tenere i ragazzi di una scuola professionale. Quando ho ricevuto la
mail mi ha colpito, nella richiesta, la forza del linguaggio e la capacità di
cogliere, in uno slogan, il cuore dell’esistenza. In modo diretto e senza giri
di parole i giovani hanno ricordato a tutti noi due
verità !
La prima verità è che la vita
è bella !! Per fortuna qualche volta lo abbiamo sperimentato.
E’ accaduto di aver sentito il nostro corpo e la nostra anima cantare: tenendo
in braccio un figlio, ascoltando la benedizione
dei nostri genitori, innamorandoci, incontrando il corpo e l’anima della
persona che amiamo, sperimentando l’esperienza di sentirci in armonia con il mondo o con Dio!
La seconda verità è che la vita è anche bastarda! Anche
questo abbiamo sperimentato. Qualche
volta abbiamo maledetto la vita: quando abbiamo perso un figlio o una persona
cara, quando una malattia grave ci ha inchiodato al letto, quando la disabilità
non ha permesso di fare quello che fino al giorno prima facevamo con destrezza, quando l’ingiustizia ci
ha trovato impreparati e impotenti!
Quando diciamo che la vita è bella e bastarda evidenziamo un dato di fatto. Chiedersi se la vita è
bella anche quando è bastarda rende la
riflessione più complicata! Di fronte alla complessità, di fronte a ciò che
è oltre la ragione, come San Tommaso, preferiremmo
restare muti, consapevoli che le parole sono insufficienti e inadeguate. Gli umani portiamo nel cuore le stesse
domande e gli stessi dubbi sul senso
della vita, sul dolore, sul dolore innocente, sull’ingiustizia, sulla morte,
sul mistero di Dio. Le risposte ci
vedono balbettanti!
Cercare il nostro posto nel mondo,
chiedersi se la morte è la fine di tutto o l’inizio di un’altra vita, sperare in
una vita migliore fa di noi dei compagni di quel viaggio che è iniziato quando
nostro padre ha visitato nostra madre e che finirà nella tomba. In questo viaggio ci accompagna la speranza
e tutti, almeno una volta, ci siamo ritrovati a desiderare che sia un sorriso
ad avere l’ultima parola.
Anche quando la fede vacilla,
anche quando l’amore sembra spegnersi, la speranza, anche se affievolita dalla
disperazione, invita ad andare oltre! È proprio questa la morale della storia delle quattro candele e di un bambino:
“In una stanza c'erano quattro candele accese. La prima si lamentava: «Io sono la pace, ma gli uomini
preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere». E così
accadde. La seconda disse: «Io sono la
fede, ma gli uomini preferiscono le favole: non mi resta che lasciarmi
spegnere». E così accadde. La terza candela confessò: «Io sono l'amore, ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare:
non mi resta che lasciarmi spegnere».Nella stanza c’era anche un bambino che, piangendo, disse: «è brutto il buio, non vedo niente, ho
paura! ». Allora la quarta candela disse: «Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la
mia luce le altre candele: io sono la speranza».
Una visione realistica ci induce giustamente a non ignorare il male e
la disperazione del mondo. Ma anche nel
buio è la speranza che cerca di farsi strada!
Ha affermato il Dalai Lama che tutte
le grandi religioni, le grandi tradizioni sapienziali hanno questo in comune:
parlano di speranza!
Il vescovo di Ragusa Paolo Urso, ha raccontato ,
commuovendosi, l’esperienza vissuta in Africa,
con una madre che voleva consegnargli il proprio figlio perché lo portasse via!
Perché una madre arriva a pensare
di privarsi di un figlio? La
risposta non è difficile: per la speranza che la vita a questo figlio possa
dare un futuro migliore! Una madre sana, per questo, è disposta a pagare
qualsiasi prezzo!
Gli stranieri che sbarcano sulle nostre coste, mettendo a rischio
la loro vita e quella delle loro compagne e dei loro figli, questo hanno
nell’anima: il desiderio di una vita migliore che nei loro paesi hanno perso.
Siamo cercatori di futuro, di
speranza, di pienezza …
In ambito clinico è stato Viktor Frankl a sottolineare
l’importanza del senso e della speranza. L’importanza
di vivere fino in fondo il potere della speranza. Frankl, di origine ebrea,
brillante professionista e intellettuale, sposo e padre felice, durante il
nazismo fu privato di tutto: moglie, figli,
genitori, posto di lavoro. Nel suo libro “Psicologo
da lager” ha raccontato che, nei campi di concentramento nazisti, coloro che
desideravano sopravvivere erano
quelli che avevano conservato una
speranza: abbracciare un figlio, la moglie, ricostruire un mondo giusto! Anche nei lager , uno dei posti più
“bastardi” che l’uomo ha saputo inventare, non si lasciavano morire coloro che
continuavano a “sperare quando non c’era nulla che lasciava sperare”!
Citavo l’ affermazione del Dalai
Lama sul comune desiderio delle
religioni di proporre strade di vita felice. Guardando in casa nostra, i
cristiani hanno ricevuto una promessa e una indicazione da Gesù Cristo. La
promessa: “ sono venuto perché abbiate
una gioia piena…”; l’indicazione: “Io
sono via, verità, vita”.In questa sede è l’ “intreccio” di via, verità e
vita che ci fa porre una domanda : “Ci
sono vie vere e vie non vere per la vita?”
Tutti abbiamo sperimentato vie
vere e vie non vere. Alcune strade che all’inizio sembravano prometterci la
felicità si sono rivelate strade senza sbocco. Don Oreste Benzi, un prete impegnato nella cura di vite ai margini
dell’esistenza, intervistato da una giornalista sul perché andasse a recuperare
prostitute per le strade di Rimini o ad asciugare il vomito dei giovani alla
fine di una serata da sballo in discoteca, ha una risposta suggestiva che aiuta
la nostra riflessione: “in quei posti i giovani trovano risposte sbagliate ad un bisogno giusto. Comprare un corpo è una
risposta sbagliata, sballare è una risposta sbagliata. Sono, però, risposte sbagliate ad un bisogno giusto:
quello “di sentirsi vivi…”!
Tutto quello che facciamo lo facciamo per il
bisogno di sentirci vivi! Anche le stupidaggini ( voi,cari giovani le
chiamereste cazzate) le facciamo per sentirci vivi! “Sballare”, “farsi”,
rincorrere l’eccitazione di una vincita
anche a costo di svuotarsi le tasche (quanta tenerezza e quanta tristezza
provo per molti anziani con gli
occhi al video, in attesa di una vincita che non arriva mai, in uno dei tanti
luoghi per giocare e scommettere di cui sono piene le nostre città), sfidare la
velocità, cercare corpi da consumare e
da predare: tutte strade sbagliate o
parziali al bisogno di sentirsi vivi! Vie non vere al desiderio di vita!
Ci sono due preghiere che come padre mi sono ritrovato più volte a recitare per
i miei figli. Quando i figli
sono piccoli la preghiera di ogni genitore è: “poterli sostenere fino a quando impareranno a cavarsela da soli.”
Quando sono adolescenti la preghiera diventa:“che possano trovare la loro strada, che possano appassionarsi alla vita, che possano trovare
ciò che riscalda il cuore”
Quando il cuore è freddo il
rischio è tentare di riscaldarlo con ciò che capita sotto mano, perché, come è
stato scritto: “quando non troviamo ciò
che desideriamo, desideriamo ciò che troviamo”. In altre parole, la
preghiera che facciamo per i nostri figli ( e per noi!) è trovare una via vera alla vita!
I professionisti del denaro
conoscono il nostro desiderio di felicità e lo manipolano con ricette interessate. Sono tante le bugie che vengono offerte al nostro desiderio di felicità.
Voglio qui invitarvi a riflettere su due bugie tra le più diffuse e grossolane!
La prima bugia è che il benessere economico avrebbe saziato il bisogno
di felicità. Consumare e spendere è l’imperativo che divora vite e futuro. È
certamente bello vivere in un’ epoca di benessere, ma non è vero che il
benessere economico ci renda automaticamente felici. Ha scritto Anders: “mentre
un tempo la vita e il mondo apparivano privi di senso perché miserevoli, oggi
appaiono miserevoli (nonostante il benessere) perché privi di senso! Come adulti dovremmo ricordarci di aiutare
i giovani non solo e non tanto a essere più bravi, più competitivi, più ricchi,
più colti ma sopratutto ad essere più felici …
La seconda bugia che trova molti
consensi è: “pensa solo a te stesso, sii autosufficiente”. Anche qui vorrei
sottolineare quanto sia importante imparare a reggere la solitudine, a fidarsi della propria forza, a godere della
propria originalità. Ma la strada per la felicità è ricordarsi che non siamo
onnipotenti, non siamo autosufficienti. Beati i poveri, felici i poveri
significa riconoscere che siamo limitati, che non abbiamo tutto, che siamo
creature che non bastano a stesse, che siamo vulnerabili e bisognosi di amare e
di essere amati. Non siamo
autosufficienti e non ci sazia pensare solo a noi stessi. Siamo
interdipendenti e abbiamo bisogno di
legami di appartenenza e di vicinanza e non solo di connessioni. Abbiamo
bisogno di relazioni solide e di sentimenti duraturi e non solo di emozioni o
eccitazioni che si consumano in un momento ! Abbiamo bisogno di libertà e
sicurezza relazionale!
Le ultime riflessioni mi aiutano
a rispondere alla domanda: quando la
vita è veramente bella?
E’ una domanda che ognuno ha il
dovere di fare a sé stesso! Ognuno di noi, nel partorire sé stesso, ha la sua
strada da trovare. Ai figli possiamo dare la nostra carne, il nostro sacrificio,possiamo
provare a spianare la strada da un punto di vista economico, ma non possiamo scegliere per loro il gusto da
dare alla vita. Tuttavia se ci mettiamo in ascolto della nostra storia, se
interpelliamo i nostri ricordi, se interpelliamo la nostra esperienza ci riconosciamo in un canto comune. Se
chiudiamo gli occhi per un momento e ci chiediamo quando abbiamo cantato la
vita , quando abbiamo sentito il nostro copro vibrare, quando siamo stati contenti
di essere al mondo, quando abbiamo guardato al futuro con fiducia ci riconosciamo
in una esperienza comune: quando nella
famiglia di ieri, nella famiglia di oggi e nelle relazioni per noi
significative abbiamo sperimentato appartenenza, stima, intimità, accoglienza,
perdono, rispetto. L’appartenenza,
l’intimità, il calore, la stima, che riceviamo e che offriamo, sono gli
indicatori per capire quanto siamo vicini o lontani da una vita di qualità, da
una vita bella. Abbiamo fame di libertà e abbiamo fame di legami solidi, fedeli,
intimi, autentici. La vita è bella così:
liberi e capaci di consegnare la nostra libertà, liberi e capaci di legami,
liberi dalle dipendenze e capaci di gustare la pienezza del piacere della
relazione; capaci di reggere la nostra solitudine e di vivere “il
rischio-sfida” di amare ed essere amati!
Resta la domanda più difficile!
Quando la vita è bastarda si può cantare? Ci si può fidare di Dio, ci si può fidare della vita quando è bastarda?
Sono consapevole che nel
rispondere a questa domanda la mia capacità di argomentare si riduce. Comincio
a balbettare più forte. Ci sono momenti in cui dubitiamo drammaticamente che la
vita sia bella, che la vita sia una storia di amore. Ci sono momenti in cui
dagli altri, dalla vita (e da Dio) ci sentiamo traditi, abbandonati, feriti. Il
peccato originale, il peccato delle origini forse è proprio questo: come
fidarsi di Dio quando la vita è bastarda? Come cantare di fronte al dolore
innocente? Come parlare di speranza quando tutto quello per cui ti sei impegnato
per una vita è andato perduto? Come ricominciare quando sei stato tradito da
chi amavi ?
Non sono capace di rispondere a
queste domande con argomentazioni
teologiche, ma facendo riferimento ad un dato di realtà. Ci sono stati e ci sono uomini e donne che con la loro storia testimoniano
che è possibile cantare la vita anche quando è crocifissa! Personalmente non
so se saprò cantare la vita se dovesse essere bastarda con me! Trovo speranza guardando a coloro che
dentro la sofferenza hanno saputo trovare il loro magnificat!!
La storia di Nino Baglieri, morto qualche anno fa, è un esempio, tra tanti, di
un canto nonostante il dramma! Vittima di un incidente sul lavoro, paralizzato
per tutta la vita, impossibilitato a muoversi, dopo dieci anni di bestemmie e
di invocazione della morte ha fatto della sua vita un canto permanente.
Incontrando Nino, capace solo di utilizzare la bocca per scrivere e parlare,
ognuno di noi è stato testimone di un evento straordinario: gli umani sono
capaci di cantare la vita anche quando tutto sembra irrimediabilmente perduto.
Ho ascoltato Nick Vujicic, nato senza gambe e senza braccia. Ho visto in quest’uomo
un sorriso di grande bellezza.
Ho ascoltato Rosanna Benzi, vissuta dentro un polmone di acciaio, ho trovato una
donna pacificata.
Ci sono uomini e donne che ci
testimoniano che la vita può essere cantata anche quando ci ha imposto tutto
ciò che mai avremmo voluto subire.
La Pasqua che ci accingiamo a celebrare, è la festa che invita a riflettere sul grande mistero di “un sorriso
che spunta tra le lacrime”, sulla speranza che può vincere il dolore, sull’ingiustizia
che può trovare riscatto e perdono, sulla
morte che non ha l’ultima parola!
Che “la morte mi trovi vivo” è oggi la mia preghiera di cinquantenne. E’
la grazia che invoco per me,per le persone care, per tutti. Ma se la morte
dovesse crocifiggermi, se dovesse riservarmi sofferenza e agonia o se la vita
dovesse riservarmi sorprese bastarde la mia preghiera diventa: “che l’ultimo respiro sia accompagnato da un
sorriso, che l’ultima parola sia una parola di speranza!”Molti amici che
hanno assistito i genitori in punto di morte sanno che la più grande eredità che un genitore possa lasciare ad un figlio è
andarsene riconciliati, sereni.
Mi piace,per concludere, farvi un augurio pasquale: “che la vostra
vita possa essere bella, che possiate incontrare persone capaci di accogliervi
se qualche volta la vita dovesse crocifiggervi, che un sorriso possa spuntare
sempre tra le vostre lacrime, che il potere che avete per suscitare speranza lo
utilizziate fino in fondo! Buona Pasqua!
Aprile 2014