da Il Fatto Quotidiano del 15 gennaio 2014
Le associazioni di categoria ricavano questi introiti dalle buste paga dei
lavoratori, così come i "gettoni di presenza" presso gli enti
bilaterali.
Al ministero del Lavoro li definiscono una "royalty" per
avere chiuso i contratti, a Cgil, Cisl e Uil servono a fare quadrare i bilanci.
In molti credono che i sindacati siano
finanziati dalle quote dei propri iscritti. Nelle pieghe di bilanci – che per
quanto riguarda le categorie o i comitati regionali non sono consultabili – si
possono scoprire invece altre voci, diverse da quelle relative alle tessere
degli iscritti.
Voci complicate, poco conosciute, come le “quote di assistenza contrattuale” o i “gettoni di presenza” presso
Enti bilaterali o altri istituti analoghi. Prendiamo il bilancio del più grande
sindacato di categoria della Cgil, dopo i
pensionati, la Filcams, che
organizza i lavoratori del Commercio del Terziario e del Turismo. Nel 2010,
anno cui si riferisce il bilancio in nostro possesso, i ricavi per contributi
sindacali, le tessere, ammontavano a 1,7 milioni di euro mentre quelli per le
“quote di assistenza contrattuale” erano molto più alti, 2,15 milioni e 685 mila
euro provenivano da “gettoni di presenza”. Solo il 37 per cento delle entrate,
quindi, proveniva dalle tessere degli iscritti, meno della metà del totale.
Ma cosa sono le “quote di assistenza
contrattuale”? La cifra è presente in molti degli oltre 400 contratti stipulati
dai sindacati nazionali (l’elenco completo è consultabile sul sito del Cnel) e
rappresenta una quota straordinaria che i sindacati e i datori di lavoro
prelevano dalle buste paga dei lavoratori per aver concluso il contratto. Un
premio per il lavoro fatto. Nell’ultimo Ccnl (contratto nazionale) dei
metalmeccanici, ad esempio, Fim e Uilm hanno richiesto un contributo “una
tantum di 30 euro per ogni lavoratore non iscritto al sindacato da trattenere
sulla retribuzione”. Sul contratto, poi, era indicato il conto corrente
bancario (presso il Credito cooperativo di Roma) su cui effettuare il
versamento. Parlando di circa un milione di lavoratori è facile fare i conti.
Per quanto riguarda i contratti del Commercio e del Terziario, la sola Filcams
ha iscritto in bilancio 2,15 milioni che vanno moltiplicati per tre (cioè anche
per Cisl e Uil) e poi per
due (la parte datoriale). Il totale, quindi, è di circa 15 milioni di euro che
rimpolpa bilanci spesso piuttosto magri. Un fiume di denaro assicurato dalla
pratica del “silenzio-assenso”, per cui sono i lavoratori a dover mettere per
iscritto il proprio rifiuto a versare la “tassa occulta”. Ma sono in pochi a
saperlo.
Quella quota, poi, spesso è mescolata
all’altra contribuzione poco nota, quella relativa agli Enti bilaterali. Questi
organismi, governati alla pari da sindacati e imprese, sono stati istituiti nel
2003 dalla legge 30 e vengono regolamentati dai contratti nazionali e/o
territoriali. Servono a offrire prestazioni e servizi ai lavoratori sul piano
della formazione professionale o del sostegno al reddito. Solo nel
settore del Commercio e dei Servizi, la Filcams ne ha conteggiati circa 200 tra
i 20 nazionali e i 194 provinciali e regionali. Ma ormai sono presenti in ogni
categoria contrattuale e, come spiega al Fatto il
segretario generale del ministero del Lavoro, Paolo Pennesi, “svolgono un ruolo di supporto all’attività
pubblicistica” ma sono comunque regolati dal diritto privato. Quindi, di fatto,
non sono soggetti a particolari controlli “se non quelli relativi alla loro
affidabilità basata sul fatto di essere emanazione di sindacati
rappresentativi”.
Il problema è che anche questi Enti
ricevono un contributo dai
lavoratori: generalmente dello 0,3-0,5 per cento che
però, in alcuni casi, sale all’1 per cento della retribuzione. Circa 50 euro
l’anno a lavoratore per qualche milione di addetti. Una mole di denaro non
rendicontato e non sottoposto ad alcun controllo. Uno studio della Filcams del
2011, relativo al proprio comparto, notava che le risorse “a favore dei
lavoratori e delle imprese non superano quasi mai il 50 per cento dei
contributi incassati dai singoli enti” oppure che, per quanto riguarda i
compensi, si possono “raggiungere indennità elevatissime fino a 70 mila euro
annui per una presidenza”.
Un particolare Ente bilaterale, come l’Enasarco che gestisce il fondo pensioni per gli
Agenti di commercio, spende ogni anno, per retribuire i suoi 18 amministratori
(Cda e Collegio sindacale) 1,3 milioni di euro, oltre 72 mila euro a testa. Ma
il presidente, Brunetto Boco,
percepisce molto di più. E Boco è anche il segretario generale della UilTucs, il
sindacato del Commercio, Turismo e Servizi. Lo stesso dottor Pennesi ricorda
che il ministero del Lavoro ha già chiarito “che gli accordi in materia di
bilateralità impegnano soltanto le parti aderenti”. In questo spirito, dunque,
fa notare, anche le quote di assistenza contrattuale, definite alla stregua di
“royalties”,
dovrebbero poter essere imposte “solo a chi è iscritto” ai sindacati, dei
lavoratori o delle aziende.
“In realtà i nostri contributi derivano
principalmente dalle tessere”, spiegano sia in Cgil che in Cisl anche se,
ammettono, le quote di assistenza sono un modo in cui “soprattutto le categorie
più deboli” compensano iscrizioni basate su stipendi bassi (la tessera al
sindacato mediamente è l’1 per cento della retribuzione). “Si tratta di un
metodo utilizzato dal sindacato
anglosassone” spiegano in Cisl dove in molti
dichiarano conclusa “l’epoca del sindacalismo gratuito”.
Il fenomeno delle entrate aggiuntive alle
iscrizioni è molto più ampio, e opaco, se si considerano i contributi indiretti
provenienti dal settore pubblico. La tanto decantata, e assolutamente priva di
risultati, “relazione Amato sul finanziamento diretto e indiretto del
sindacato” indicava in 113 milioni di euro il costo dei circa 2mila distacchi
sindacali; in 330 milioni il trasferimento dagli Istituti di previdenza ai
Patronati nazionali; in 170 milioni le convenzioni dei Caf, i centri
di assistenza fiscale che, in più, ricevono dallo Stato 14 euro per ogni
singola dichiarazione dei redditi e 26 euro per quelle in forma congiunta. Formalmente
questi soldi non vanno a Cgil, Cisl e Uil che però gestiscono quegli istituti
con tutti i vantaggi del caso. Come si può vedere, le vie del finanziamento al
sindacato sono infinite.