lunedì 14 dicembre 2015

Kerry a Roma: "Libia, governo di unità nazionale a Tripoli entro 40 giorni"

ROMA - In Libia "il vuoto è stato riempito dagli estremisti, che portano il Paese nel caos". Lo ha detto il segretario di Stato Usa, John Kerry, oggi a Roma per partecipare alla conferenza internazionale sulla crisi in Libia promossa assieme al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Il summit arriva a poche ore dalla data del 16 dicembre, il giorno in cui secondo l'inviato Onu, Martin Kobler, le delegazioni dei due parlamenti libici dovrebbero firmare l'accordo per un governo di unità nazionale.

Anche i libici al meeting. Presente anche una delegazione libica di 15 rappresentanti dei 2 parlamenti. È la prima volta che i ministri degli Esteri del P5+5 (ovvero i 5 del Consiglio di sicurezza Onu più Italia, Germania, Spagna Onu e Ue) incontrano i rappresentanti libici. Alla riunione di Roma partecipano anche molti ministri della regione, tra questi Egitto, Algeria, Ciad, Emirati, Marocco, Niger, Qatar, Turchia, Tunisia. L'accordo di ottobre prevede che il nuovo primo ministro sia Fayez Serraj, a cui toccherà guidare un consiglio presidenziale di 9 membri.

Governo a Tripoli. Quello in corso in Libia - ha detto John Kerry - è un processo voluto da libici e portato avanti dai libici" per "far nascere una Libia sicura e stabile". Il segretario di Stato americano ha quindi spiegato che dopo la firma dell'accordo mercoledì prossimo in Marocco inizierà un processo che porterà al ritorno del governo nella sede di Tripoli. "Sono i libici che parlano a nome del loro popolo, il minimo che noi possiamo fare è'assisterli e aiutarli", ha proseguito Kerry, facendo appello a un "cessate il fuoco totale in tutta la Libia", mettendo da parte "rivalità, ambizioni personali e lotte interne che colpiscono il popolo libico, sei milioni di persone".

Ventuno firme per l'accordo. Diciassette Paesi e quattro organizzazioni internazionali hanno formalizzato in un comunicato di una pagina le speranze e il sostegno per il governo di unità nazionale in Libia, che dovrebbe vedere la luce mercoledì prossimo. Il documento dimostra l'importanza, non solo locale, che avrebbe un esecutivo unificato e stabile, ponendo fine alla doppia leadership di Tripoli e Tobruk. Il testo, tra le altre cose, chiede "un cessate-il-fuoco immediato e completo in ogni parte della Libia" e si prevede la possibilità di attivare corridoi umanitari, specie a Bengasi.

Il documento è stato firmato da 17 Paesi: Algeria, Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati arabi uniti, Francia, Italia, Germania, Giordania, Marocco, Russia, Qatar, Regno unito, Spagna, Stati uniti, Tunisia, Turchia. Hanno siglato il testo quattro organizzazioni internazionali: Unione europea, Nazioni unite, Lega araba, Unione africana. La Russia è rappresentata da Gennadiy Gatilov, vice ministro degli Esteri, mentre da Parigi è arrivato Harlem Désir, segretario di Stato per gli affari europei. La Germania ha inviato Frank-Walter Steinmeier, ministro degli Esteri, e l'Unione europea Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera.

Il risultato di un anno di negoziati. Quello che è stato ottenuto oggi alla conferenza internazionale alla Farnesina "è il risultato di un anno di negoziati: sulla base della riunione odierna riteniamo che mercoledì ci sarà la firma dell'accordo e si potrà mettere in atto il suo contenuto per il governo di unità nazionale", ha proseguito Kerry, assicurando "il sostegno da parte nostra, perché questo governo possa effettivamente governare, e l'aiuto a chi vuole unità e indipendenza".

Tempo per superare 4 decenni di dittatura. Kerry non nasconde che ci saranno "difficoltà, ci vorrà tempo per superare il retaggio di quattro decenni di dittatura. Ma ora i libici devono governare insieme". Il capo della diplomazia di Washington ha infine ricordato che gli Stati Uniti hanno stanziato "330 milioni di dollari in aiuti umanitari", ma ha sottolineato che "la Libia è un Paese pieno di risorse, non dovrebbe averne bisogno". Quello di cui ha bisogno, invece, ha concluso, è "un governo pronto a far sviluppare il Paese".

Ma c'è chi rema contro. "C'è chi dentro e fuori la Libia lavora per far fallire l'accordo. Chi lo mina pagherà il prezzo. L'unica base legittima per un futuro della Libia è questo governo di unità nazionale. Su questo concordano i libici presenti qui oggi", ha detto ancora Kerry che ha affidato anche a Twitter alcune considerazioni in  merito.

Secondo Gentiloni, occorre compiere "ogni sforzo perché la base dell'accordo" sul governo di unità nazionale in Libia "venga via via rafforzato. Sarà compito dei leader libici, che assumono su di loro la responsabilità, di portare avanti questo processo ma anche la comunità internazionale lo sosterrà".

La mossa è stata decisa per coinvolgere sempre più gli inviati libici nel negoziato Onu, che a molti fra i libici negli ultimi mesi è sembrato scollegato dalle richieste delle diverse comunità del loro paese. Da parte di alcuni libici ma anche di alcuni analisti (come l'International Crisis Group co-presieduto da Emma Bonino) una precipitazione nella creazione del governo libico sarebbe pericolosa.

Gentiloni, in Libia il Daesh sempre più forte. Parallelamente, però, il titolare della Farnesina fotografa quello che è sotto gli occhi di tutti: "In Libia il Daesh si sta facendo sempre più pericoloso, la diplomazia e la politica questa volta devono dimostrare di essere più rapidi dei terroristi". La pressione dei Pasei europei per una svolta in Libia è cresciuta moltissimo: il primo minsitro francese Valls e il governo britannico di David Cameron hanno detto apertamente che hanno dato ordine ai loro eserciti di preparare le azioni militari per colpire al più presto l'Islamic State in Libia. I terroristi associati ad Al Bagdadi si sono consolidati a Sirte e Derna, ma nei giorni scorsi sono usciti da alcuni campi nella parte occidentale del Paese per fare un'incursione nel centro di Sabrata.

 


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Urbino, l'albero di Natale è "brutto". Sgarbi minaccia dimissioni da assessore

Vittorio Sgarbi ha minacciato di dimettersi da assessore del Comune di Urbino a causa dell'albero di Natale scelto per addobbare la piazza della città. Un'opera che, in un post sulla sua pagina Facebook ufficiale, ha definito: "una inutile bruttura immorale". L'albero è una 'variazione sul tema' natalizio: una struttura in metallo a forma di piramide con base ottagonale e decorata con lastre a bassorilievo firmate dallo scultore urbinate Ermes Ottaviani. Che le intenzioni di Sgarbi siano serie lo dimostra il tono con cui continua il comunicato: "Il Natale non può essere un pretesto per rendere più brutta la città. Una città, durante le feste natalizie, può essere più luminosa, più colorata, più magica, non più brutta. L'albero ha bassorilievi inutili, lastre artistiche che artistiche non sono. E il Comune ha pagato dei soldi per tutto questo. Inoltre, con quale diritto si è deciso di coprire un'architettura preesistente come la fontana?". L'assessore alla Cultura e alla Rivoluzione è rimasto sorpreso alla vista dell'albero, nonostante anche lui faccia parte della giunta che amministra la città, anche se forse ancora per poco. Il comunicato infatti si chiude con la minaccia di andarsene: "Se entro domani non verranno tolti albero e tendone, io mi dimetto. In altre città avrei detto: "non mi piacciono", ma nella città in cui io sono assessore, non li tollero" Foto Il Ducato


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Ballottaggi in Francia, nessuna regione a Le Pen. Sette vanno ai repubblicani, ai socialisti cinque

PARIGI - Una battaglia all'ultimo voto ma alla fine ha vinto la paura dell'ultradestra: i risultati confermano che il Front National di Marine e Marion Le Pen non ha vinto in nessuna regione. Sette a cinque per i conservatori di Nicolas Sarkozy sui socialisti di Francois Hollande: è questo l'esito del secondo turno delle regionali francesi in cui il Front National non è riuscito a conquistare nemmeno una delle sei regioni in cui era in testa dopo il primo turno del 6 dicembre.

Les Republicains di centrodestra si sono affermati nell'Ile-de-France (tanto che Claude Bartolone, battuto da Valerie Precresse, ha rimesso il proprio mandato parlamentare), in Normandia, nel Nord-Pas-de-Calais-Picardia, Provenza-Alpi Costa azzurra, Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena, Alvernia-Rodano-Alpi e Paese della Loira. I socialisti, che controllavano tutte le regioni meno una, mantengono Bretagna, Aquitania-Limousin Poitou-Charentes, Linguadoca-Rossiglione-Midi-Pirenei, Borgogna Francia-Contea, Centro Valle della Loira. In Corsica vincono i nazionalisti. Qui Gilles Simeoni ha vinto con il 35,34% dei voti, davanti a Paul Giacobbi (Diversi sinistra, 28,49%), Josè Rossi (unione destra, 27,07%) e Christophe Canioni (Front National 9,09 %).

I francesi hanno ritrovato l'unità di un giorno per evitare che qualcuna delle loro regioni finisse in mano al Front National. Contro le due Le Pen, hanno detto lo stesso 'no' che nel 2002 pronunciarono contro Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, al ballottaggio per l'Eliseo: quasi il 60% alle urne contro il 43% di una settimana fa.

SPECIALE ELEZIONI / COME SI VOTA

Il Front National è stato travolto ovunque: spazzate vie le due Le Pen. Perde il ballottaggio anche la nipote di Marine Le Pen, Marion, candidata nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Nella triangolare del 'Grand Est', la regione Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena il candidato dei repubblicani Philippe Richert conquista il primo posto. E' al 47,7% delle preferenze contro il 36,8% del candidato lepenista Florian Philippot. Meno del 16% per Jean-Pierre Masseret, il 'terzo incomodo' dei socialisti che rifiutò l'ordine di scuderia di ritirarsi dalla corsa per favorire la vittoria della destra moderata.

"Questo è il prezzo da pagare per l'emancipazione di un popolo. Grazie a tutti militanti che con il loro impegno, la loro energia hanno permesso il risultato del primo turno, sradicando il partito socialista a livello locale" ha detto la leader del Front National, Marine Le Pen, commentando i risultati. "Voglio esprimere la mia gratitudine ai più di 6 milioni di francesi" che hanno votato Fn e "hanno saputo rifiutare le intimidazioni e le manipolazioni. La svolta elettorale del primo turno è servita a smascherare le menzogna in cui versa il sistema politico francese". La sconfitta  non pregiudica le mire della leader frontista all'Eliseo nel 2017. Il partito si è radicato nel territorio, con una crescita esponenziale negli ultimi 15 anni, è il primo ma resta isolato da un cordone sanitario "repubblicano" reso inviolabile dal meccanismo elettorale a doppio turno. Francois Hollande insomma, potrebbe ritrovarsi al ballottaggio con Marine Le Pen fra un anno e mezzo.

C'è da registrare, comunque che con oltre 6,6 milioni di voti, il Front National ha battuto il suo record di preferenze in Francia, stabilito nel 2012 alle presidenziali. Sul piano percentuale, con oltre il 28% ha superato il record del 27,73% di domenica scorsa. Ma con oltre 6,6 milioni di voti in termini assoluti ha battuto il numero di suffragi delle presidenziali 2002, quando Jean-Marie Le Pen arrivò al ballottaggio con 6.421.426 voti.

Oggi 44,6 milioni di francesi erano chiamati alle urne per i ballottaggi delle regionali. Al primo turno il Fn aveva conquistato la palma di partito più votato, sfiorando il 28 per cento, con i Républicains di Sarkozy al 27 e i socialisti al 23 per cento. In Alsazia c'è stata la dimostrazione del valore della scelta socialista: il candidato dissidente è arrivato ultimo come al primo turno, quello di destra-centro, grazie ai socialisti, ha ottenuto 20 punti di più. Vittoria strategica, quindi, per il Partito socialista, che ha dato vita ad un'edizione unilaterale del Front Republicain che ha sbarrato il passo all'estrema destra. "In un momento grave, non abbiamo ceduto niente", sono state le prime parole del primo ministro socialista, Manuel Valls.

Secondo i primi commentatori, ha contribuito alla tenuta dei socialisti anche la recente impennata di popolarità di Hollande dopo i tragici attentati jihadisti del 13 novembre e i successi della Cop21. Anche se alla Rue de Solférino, storica sede del partito a Parigi, già si delineano mesi di aspro dibattito tra i partigiani di una nuova apertura a Verdi e sinistra radicale e quelli che invece sposano la linea 'social-liberale' dell'attuale premier Valls.

A Gauche, nel silenzio assoluto osservato dal presidente Hollande in questa settimana, il grande vincitore appare proprio Valls, che si è esposto in prima persona gridando addirittura al rischio di "guerra civile" nel caso di vittoria del Front National. Valls ha preso la parola dopo i risultati per rendere omaggio all'appello "chiarissimo, netto, coraggioso, quello della sinistra, che ha sbarrato la strada all'estrema destra che stasera non conquista nessuna regione". Tuttavia, il premier ha subito avvertito che non è proprio il caso di rilassarsi: "Nessun sollievo, nessun trionfalismo, nessun messaggio di vittoria", poiché "il pericolo dell'estrema destra non è eliminato. Dobbiamo dimostrare - ha concluso - che siamo capaci di restituire la voglia di votare 'per' e non unicamente 'contro'".

I Republicains di Sarkozy, che nella sua seconda versione cinque anni dopo la sconfitta continua a non convincere e non coinvolgere, e nonostante la vittoria delle sette regioni appaiono spaccati oltre che alla vigilia di una resa dei conti decisiva. Sono numerosi i rivali interni che vorrebbero fermare la sua corsa per le presidenziali del 2017. Tra i principali sfidanti nelle primarie dei Républicains - il prossimo autunno - l'ex premier e sindaco di Bordeaux, Alain Juppé, e l'ex premier Francois Fillon. Per Sarkozy è l'inizio della resa dei conti.

Le prime parole di Xavier Bertrand, poi quelle di Christian Estrosi - i due candidati di destra e centro che hanno battuto Marine Le Pen nel nord e la nipote Marion nel sud - sono state il ringraziamento agli elettori socialisti, tradizionalmente avversari, che hanno riversato i voti della gauche su di loro. Bertrandha ringraziato chi lo ha votato, anche "gli elettori di sinistra che hanno fatto sbarramento" contro l'estrema destra. "Non è una mia vittoria, non è una vittoria politica, è la vittoria della gente", ha detto. Un altro smacco per Sarkozy, che nel suo intervento ha reso invece omaggio al "rifiuto di qualsiasi compromesso con le estreme".

"Questa mobilitazione di elettori non deve essere usata come pretesto per dimenticare l'avvertimento dato dai francesi al primo turno" ha detto Sarkozy. "L'unità nel partito, l'unione con il centro e il rifiuto di ogni compromesso con l'estrema destra ha permesso questo risultato - ha aggiunto - per questo, questi principi devono restare nostri anche in futuro". Da domani la strada di Sarkozy sarà tutta in salita. Ha salutato "l'unità della famiglia dei Repubblicani" e l'unione con il centro ma la sua politica tutta rivolta verso il terreno dell'estrema destra e la fortissima opposizione interna lo rendono ogni giorno più debole. Ad Alain Juppé e Francois Fillon, avversari di sempre, si aggiunge Nathalie Kosciusko-Morizet, che aveva votato contro il no di Sarkozy al Fronte repubblicano: "Se gli elettori lo avessero seguito - ha detto stasera - i nostri candidati nel nord e nel sud sarebbero stati battuti".

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Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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