Gli affari continuano ad essere il chiodo fisso di Matteo Messina Denaro, l'uomo delle stragi che da vent'anni sembra imprendibile. Dopo i parchi eolici, è approdato agli uliveti che abbondano nel cuore del suo regno, la provincia di Trapani. Naturalmente, grazie ai soliti insospettabili prestanome. E così il fantasma di Cosa nostra è diventato il produttore di un olio dal gusto raffinato. Questo svelano le ultime indagini condotte dal Gico del nucleo di polizia tributaria di Palermo e dai carabinieri del Ros. E per i fedeli imprenditori al servizio del padrino è scattato l'ennesimo sequestro di beni e società, che ammonta a venti milioni di euro. I provvedimenti sono stati emessi dalle sezioni Misure di prevenzione dei tribunali di Palermo e Trapani. L'ultimo business di Messina Denaro ruotava attorno all'oleificio della società "Fontane d'oro sas", una realtà importante del settore. Ufficialmente era intestata a due fratelli imprenditori di Campobello di Mazara, in realtà sarebbe stata diretta da uno dei fedelissimi della primula rossa, Francesco Luppino, che dava disposizioni dal carcere attraverso la moglie. Dopo le prime indagini e un sequestro, l'imprenditore trapanese Aldo Di Stefano si sarebbe prodigato per far trasferire due rami dell'azienda "Fontane d'oro" ad altri prestanome. Era l'ennesimo stratagemma per coprire la gestione di Luppino, l'uomo di Messina Denaro. "Il contrasto patrimoniale resta la via maestra per la lotta alla mafia", dice il generale Giancarlo Trotta, comandante provinciale della Guardia di finanza di Palermo. "E lo facciamo mettendo a sistema le professionalità maturate da più forze di polizia nel corso di questi ultimi anni". I sigilli sono scattati anche per un società che si occupa di edilizia e di movimento terra. Era dell'imprenditore Antonino Lo Sciuto, già finito in manette nel dicembre scorso con l'accusa di aver gestito per conto della mafia trapanese alcune commesse pubbliche nella zona di Castelvetrano, la roccaforte di Messina Denaro. L'azienda di Lo Sciuto ha gestito le opere di completamento del Polo Tencologico di contrada Airone, a Castelvetrano, e i lavori per le piazzole del parco eolico "Vento Divino", che sorge nel comune di Mazara del Vallo. Le intercettazioni dicono che i proventi di questi lavori sarebbero serviti per finanziare la latitanza dell'ultimo grande capomafia in libertà. "Noi proseguiamo nella sistematica attività di spoliazione patrimoniale a carico di quei soggetti che sono ritenuti più vicini a Matteo Messina Denaro", spiega il colonnello Francesco Mazzotta, comandante del nucleo di polizia tributaria di Palermo. Il pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Dino Petralia, che coordina le misure di prevenzione, ha già un intenso programma di lavoro con la Guardia di finanza. Gli ultimi provvedimenti di sequestro hanno raggiunto anche gli imprenditori Giovanni Filardo e Mario Messina Denaro, cugini del latitante; poi, Girolamo Cangialosi e Francesco Spezia, pure loro attivi imprenditori ritenuti prestanome del clan.
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