sabato 22 agosto 2009

Nigrelli nomina Maria De Filippi assessore

A volte è meglio fermarsi per un attimo.
Farsi catturare dalle notizie serie e non dalle polemiche da paese.
Per questo, senza offendere nessuno, ho messo la foto della De Filippi ed un titolo falso, sperando di far leggere una notizia molto seria.
Pochi giorni fa, tra la più totale indifferenza, 5 migranti sono arrivati a Lampedusa, mentre una settantina del loro stesso gruppo sono annegati nel Canale di Sicilia.
Annegati tra l'indifferenza delle barche dei ricchi che navigavano nelle vicinanze.
Annegati per l'indifferenza del nostro popolo opulente.
Siamo forse noi i nuovi razzisti del terzo millennio?
Agostino
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Chi non vuole vedere e chi muore
di Marina Corradi da http://www.avvenire.it/

Sono arrivati in cinque. Erano ische-­letriti, cotti dal sole che martella, in agosto, sul canale di Sicilia.
Ma il bar­cone, era grande: ce ne stipano ottanta, i trafficanti in Libia, di migranti, su bar­che così. Affastellati uno sull’altro co­me bidoni, schiena a schiena, gli ultimi seduti sui bordi, i piedi che penzolano sull’acqua.
E dunque quel barcone vuo­to, con cinque naufraghi appena, è sta­to il segno della tragedia. Laggiù a 12 miglia da Lampedusa, ai margini estre­mi dell’Europa, un relitto di fantasmi.
Cinque vivi e forse più di settanta mor­ti, in venti giorni di peregrinazione cie­ca nel Mediterraneo.
Decine e decine di eritrei inabissati come una povera za­vorra di ossa in fondo a quello stesso mare in cui a Ferragosto incrociano na­vi da crociera, traghetti, e gli yacht dei ricchi.
È questo il dato che raggela an­cor più.
Perché in venti giorni, nelle acque della Libia e di Malta, e in mare aperto, qualcuno avrà pure incrociato, o almeno intravisto da lontano quel barcone; ma lo ha lasciato andare al suo destino.
Solo da un peschereccio, hanno detto i superstiti, ci hanno da­to da bere.
Come dentro a una spieta­ta routine: eccone degli altri. E non ci si avvicina. Non si devia dalla rotta tracciata, per un pugno di miserabili in alto mare.
Noi non sappiamo immaginare davve­ro. Come sia immenso il mare visto da un guscio alla deriva; come sia spaven­toso e nero, la notte, senza una luce.
Co­me picchi il sole come un fabbro sulle teste; come devasti la sete, come scar­nifichino la pelle le ustioni.
Noi del mon­do giusto, che su quelle stesse acque d’a­gosto ci abbronziamo, non sappiamo quale spaventevole nemico siano le on­de, quando il motore è fermo, e l’oriz­zonte una linea vuota e infinita.
Non possiamo sapere cosa sia assistere all’a­gonia degli altri, impotenti, e gettarli in acqua appena dopo l’ultimo respiro. 'Altri' che sono magari tuo marito o tuo figlio. Ma bisogna liberarsene, senza tempo per piangere.
Perché quel sole tormenta e disfa anche i morti; e i vivi, vogliono vivere.
Noi non sappiamo com’è il Mediterra­neo visto da un manipolo di poveri cri­sti eritrei, fuggiti dalla guerra, sfruttati dai trafficanti, messi in mare con un po’ di carburante e vaghe indicazioni di u­na rotta.
Ma c’è almeno un equivoco in cui non è ammissibile cadere. Nessuna politica di controllo della immigrazio­ne consente a una comunità interna­zionale di lasciare una barca carica di naufraghi al suo destino.
Esiste una leg­ge del mare, e ben più antica di quella pure codificata dai trattati. E questa leg­ge ordina: in mare si soccorre.
Poi, a ter­ra, opereranno altre leggi: diritto d’asi­lo, accoglienza, respingimento. Poi. Ma le vite, si salvano.
E invece quel barcone vuoto – non il pri­mo arrivato come un relitto di morte al­la soglia delle nostre acque – dice del farsi avanti, tra le coste africane e Mal­ta, di un’altra legge.
Non fermarsi, tirar dritto. (Pensate su quella barca, se avvi­stavano una nave, che sbracciamenti, che speranza. E che piombo nel cuore, nel vederla allontanarsi all’orizzonte).
La nuova legge del non vedere. Come in un’abitudine, in un’assuefazione.
Quan­do, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo, ci chiedia­mo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida, nelle stazioni di transito nessuno li vedeva e sentiva?
Allora erano il tota­litarismo e il terrore, a far chiudere gli oc­chi.
Oggi no.
Una quieta, rassegnata in­differenza, se non anche una infastidi­ta avversione, sul Mediterraneo.
L’Oc­cidente a occhi chiusi.
Cinque naufra­ghi sono arrivati a dirci di figli e mariti morti di sete dopo giorni di agonia.
Nel­lo stesso mare delle nostre vacanze. U­na tomba in fondo al nostro lieto mare.
E una legge antica violata, che minac­cia le stesse nostre radici. Le fonda­menta.
L’ idea di cos’è un uomo, e di quanto infinitamente vale.

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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