mercoledì 27 luglio 2011

Domani 27 luglio, ore 21. Terzo appuntamento di Teatri di Pietra.

ORFEO de’ PAZZI
da Agnolo Poliziano
regia e coreografia
Aurelio Gatti
musiche della tradizione etnica
Esecuzione dal vivo
Pasquale Laino – clarino
Marcello Fiorini - fisarmonica
Lucrezio De Seta - percussioni
con







Gianna Beduschi
Paola Bellisari
Giuseppe Bersani
Monica Camilloni
Nicola Simone Cisternino
Annalisa D’Antonio
Gioia Guida
Rosaria Iovine

e
Ernesto Lama
Simonetta Cartia


Nel settecento tra illuminismo e progressismo‚ quando il filosofo subentrava allo scienziato e viceversa‚ quando la stessa scienza si divideva tra nuova applicazione e coscienza dell'essere‚ pratica frequente era lo studio della mente umana e delle sue manifestazioni. In una serie di scritti inediti ritrovati nell'Archivio Napoletano‚ è emerso che - antesignani del moderno psicodramma e della danza terapia - era in uso la pratica di mettere in scena con i malati d'animo (folli‚ schizofrenici‚ melanconici o semplici disadattati comunque ospiti del manicomio) drammi e commedie‚ deducendo da questa pratica un recar sollievo al malato. Partendo da questa ispirazione si è intrapreso un lavoro in cui teatro‚ danza e musica si incontrano per dar vita ad una azione corale di messa in scena attraverso quell'opera che per molti è considerata il primo dramma per musica e pantomima dell'età rinascimentale ovvero la Fabula di Orfeo dell'Agnolo Poliziano.
Vi sono zone limite nelle quali ci sembra di poter raggiungere l'obiettivo‚ dove tutto si impasta in una sorta di desiderio ancestrale ed il ricordo si fonde con l'esigenza stessa dall'affermazione quotidiana - quasi la verifica di un codice genetico sul quale s'innesta il futuro. L'esperienza del nonno passata al nipote‚ l'iniziazione dell'adepto rivelata dal guru‚ il viaggio proibito con lo sciamano‚ sono i quadri consequenziali e vibranti dell'interminabile "piece" giocata sul palcoscenico della storia: gli avvenimenti‚ eroismi singolari e nascosti che alla radice traggono linfa e alimento per la rigenerazione. Forse solo in questa chiave ci sembra che il mito possa concretizzarsi ed in un costante presente offrire l'emozione primigena con uguale intensità. Ma anche in questa condizione‚ sapremmo riconoscere la autenticità del mito‚ accettarne la sublimazione? Nemmeno Orfeo‚ che dagli albori della narrazione continua infaticabile il suo viaggio e il suo canto d' amore e di morte sfugge a questa condizione‚ sfidando il tempo e tentando di riprodursi nell'eterna catarsi. Le parti sono assegnate da sempre‚ i ruoli assunti. Tutto è pronto. S'attende l'arrivo del prossimo inconsapevole ospite dell'ennesimo Orfeo - l'ultimo in ordine temporale -per dar vita alla rappresentazione. Una funzione antica‚ rubata alla classicità ‚ ad un Poliziano sospeso tra segno della tradizione e poetica dell'origine. L'imprescindibile cerimonia d'iniziazione segna il riconoscimento e l'appartenenza al clan. Alla rappresentazione tutti aderiscono. Si attende l'arrivo del nuovo Orfeo. All'occasione è sufficiente un giovane‚ a patto che sia esterno al gruppo‚ al di fuori dalle misure e delle conoscenze del gruppo stesso. Nell'esasperazione simbolica si officia il rito come esige la consuetudine‚ ma‚ nella dichiarata tensione e nella manifesta autenticità‚ Orfeo perde ogni allusione‚ la fisionomia allegorica si disperde facendo riesplodere una coscienza indesiderata. L'evocazione assume allora una contemporaneità insospettata: la rappresentazione non filtra più alcun meccanismo dell'animo umano e la stessa innocenza diviene un piccolo argine di fronte all'incalzare di una memoria altra‚ assopita‚ nascosta. Una volta ancora- inesorabilmente - e come per altro richiesto dalla tradizione‚ c'è bisogno della vertigine baccanale per soluzionare un paradosso: la vita che si incontra con la sua rappresentazione. Sarà Orfeo a perdere la vita‚ dilaniato‚ ammazzato dallo stesso clan che non lo riconosce. Ci sarà la festa ebbra per la conclusione. Tutto si svolge in un'ala manicomiale - i matti fanno tutte le parti - i musici sono pagati durante l' esecuzione‚ un factotum e una cantante improbabile: Orfeo - il poeta‚ il cantore è il più innocente degli avventori‚ un bimbo che porta il caffè.

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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