Prima ancora che impegno storico e morale, è imperativo etico e categorico ricordare il momento più buio dell’attuarsi del “male” collettivo, di quello spaventoso e orribile “black out” della ragione che prese il nome di SHOAH. E deve diventare normalissimo dare il giusto rilievo alla “Giornata della Memoria”. Alcuni giorni fa, animato da questa convinzione, ho quindi letto con interesse la lettera intitolata “Auschwitz, perché ricordare?”, dedicata, per l’appunto, alla “Giornata della Memoria”.
E inviterei tutti a studiare testi e brani di grandi testimoni oculari e culturali quali Theodor Wiesengrund Adorno, passando attraverso quelli di Primo Levi, Hans-Georg Gadamer ed Eli Wiesel, e moltissimi altri. La lettura di ogni loro citazione, di ogni loro verso è un pugno nello stomaco, un violentissimo eppure realistico schiaffo di umanità e di pietà umana, nuovi contraltari al male assoluto del nazismo e del razzismo. E noi dobbiamo porre sul banco dei colpevoli della Shoah, senza se e senza ma, la cultura vuota, fine a se stessa, quella cultura dell’affermazione dell’io, della violenza, del “bullismo” ideologico, della “mafiosità” di basso bordo, dell’arroganza politica, di quell’idea della sopraffazione legittima che ci vede testimoni ogni giorno sui posti di lavoro o nei momenti di socializzazione, di aggregazione, di incontro. Perché tutti quelli che “producono” sapere e “attuano” forme relazionali di grado e livello diversificato e variegato, devono avere spiccato anche il senso di appartenenza a un carattere specificamente di classe, di quella classe borghese-capitalistica dalla degenerazione della quale, purtroppo, è nato quel teratoma sociologico chiamato nazismo. Da questo punto di vista (non genericamente pietistico e non indiscriminatamente culturoclastico), come ha messo in luce il sociologo Zygmunt Bauman nel suo saggio sull’Olocausto quale prodotto della modernità, il nazismo, ivi comprese la sua ideologia e la sua cultura, non è altro che la radicalizzazione di quei caratteri che sono propri della cultura e della prassi della borghesia capitalistica: la violenza legale, la divisione del lavoro, l’efficienza della macchina costruita dal nazismo, insieme con la separazione tra ebrei e non ebrei, sono, per l’appunto, i fattori che hanno reso possibile lo sterminio di massa. E non sono certo mancati gli imbecilli e gli utilissimi idioti che hanno permesso il realizzarsi di tutto questo. E non dobbiamo avere pietà di qui vigliacchi che si nascondono dietro e dentro ruoli istituzionali, e che offrono, con il loro comportamento infimo, strisciante e perverso, l’appoggio o anche un sostegno a qualunque forma di regime. Perché il silenzio è il primo “brodo di laboratorio” nel quale cresce, vive e si sviluppa ogni teoria “superomista” di nietszchiana memoria, ogni forma di “mafia sociale”, ogni forma di sopraffazione dell’individuo sull’uomo. E dobbiamo denunciare le responsabilità di una parte non piccola della cultura europea nei confronti dei movimenti e dei regimi fascisti e neofascisti che sono sorti un po’ dappertutto in Europa, ma anche perché tali responsabilità investono, oltre alle scelte personali di questi pensatori e ben oltre le loro resipiscenze più o meno tardive, i contenuti stessi del loro pensiero, dalla categoria heideggeriana di “essere-per-la–morte”, che è la traduzione della tanatofilia fascista in un linguaggio filosofico, alle categorie portanti dell’ermeneutica gadameriana che sono la traduzione in termini teoretici di una concezione del mondo profondamente conservatrice e reazionaria. Noi abbiamo due alternative: ricordare o dimenticare. E’ questo l’interrogativo che accompagna da sempre una delle pagine più buie, se non la più scura, della storia umana. Oggi, il giorno della memoria non è e non deve essere una forma di mobilitazione collettiva, per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto un vero e proprio atto di riconoscimento, di questa tragica storia. Non è infatti un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza collettiva, del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Lo sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una, per quanto deviata, strategia politica. Dopo la Shoah è stato coniato il termine “genocidio”. Purtroppo il mondo ne ha conosciuti tanti e ancora troppi sono in corso sulla faccia della terra. Riconoscere delle differenze non significa stabilire delle gerarchie nel dolore. “Chi uccide una vita”, recita un adagio ebraico, “uccide il mondo intero”. Ma mai, nella storia si è visto progettare a tavolino, con tale freddezza e determinazione, lo sterminio di un popolo. Ricordare vuol dire oggi rinvigorire, soprattutto nei giovani, il significato della parola rispetto. Che è innanzitutto il rispetto delle differenze e delle diversità, nella capacità di cogliere nelle sfumature delle immense possibilità di crescita e arricchimento. Dobbiamo gridare il nostro basta e questo nostro grido si deve rinnovare ogni anno, ogni giorno, ogni ora, ogni istante. Per non dimenticare. Mai!
Luigi Bascetta
Chi sono
Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com
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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"
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