mercoledì 2 luglio 2014

Storie di migranti, il racconto di una mediatrice culturale di comunità.

Aspetto il primo richiedente asilo politico, un giovane ragazzo musulmano,  per il mio primo colloquio in preparazione dell’audizione con la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
Faccio mente locale sulle buone prassi per la conduzione dell’intervista, sull’importanza di non apparire distante e giudicante o al contrario troppo affettuosa o amichevole, sul come metterlo a proprio agio, sul modo di porre le domande che inevitabilmente lo porteranno a ricordare esperienze della sua vita così personali e così  tragiche. Penso che, infondo, sono una perfetta estranea e che non sarà semplice per lui raccontarsi.
Sento bussare, non nego una certa agitazione e penso che questa sensazione non sia molto professionale. Arriva lui insieme all’interprete. Parla la sua lingua di origine, ma capisce un po’ l’italiano.
Ciao. Come stai?. Nel suo italiano con accento straniero, mi risponde di stare bene e di essere un po’ emozionato, ma che è pronto a raccontarmi la sua storia.
Dopo avermi raccontato il suo duro viaggio di migrazione, dal suo paese di origine alla Libia e poi la navigazione verso la Sicilia, con un po’ di imbarazzo gli chiedo se si sente di raccontarmi il perché ha lasciato il suo paese di origine.
Un grande sospiro e inizia il suo racconto:
Sono scappato dal mio paese a causa della ribellione che nel 2012 ha vissuto la mia città. I ribelli sono entrati nella città in cui vivevo e l’hanno occupata in parte, l’altra parte è rimasta sotto il controllo dell’esercito. L’esercito cercava altre persone per rafforzare il gruppo. Andavano di casa in casa fino a quando sono giunti a casa mia. Loro hanno parlato con mio padre e lui è diventato il loro autista. All’epoca avevo 19 anni. Mio padre voleva convincermi ad unirmi all’esercito, ma io mi sono rifiutato. A quel punto sono stato picchiato da loro perché volevano che mi arruolassi. Mi hanno fatto parlare di nuovo con mio padre, ma io mi sono nuovamente rifiutato. Porto ancora i segni delle violenze subite, infatti, non riesco a muovere bene il braccio, ho sempre dolori quando lo muovo.”
Lui continua nel suo racconto, ma io non posso non chiedermi il perché questo giovane ragazzo si sia rifiutato di arruolarsi in maniera così determinata, disobbedendo anche al padre nonostante le torture subite.
Quindi, blocco il suo racconto e gli chiedo il perché non si sia arruolato.
Lui mi guarda quasi stupito della mia domanda e con fermezza risponde: “Non potevo fare quello che l’esercito mi chiedeva. Non avrei mai potuto uccidere un altro uomo”.
Felice della sua risposta, lo guardo come si guarda un figlio di cui si è enormemente fieri.
Continua nel suo racconto.
“A causa del mio rifiuto ad arruolarmi  mio padre mi ha sbattuto fuori di casa. Mi sono sentito tradito e ferito. La mia vita si è stravolta. Ho subito il tradimento di mio padre e la morte di mio fratello in pochi giorni”
A quella affermazione sono costretta a chiedergli come è morto il fratello.
“Mio fratello è rimasto ucciso durante un bombardamento mentre si trovava al mercato. Aveva 12 anni.  Aiutava mia madre nel suo lavoro. Avevamo un banco di frutta. Dopo il bombardamento io mi sono recato subito al mercato ma non ho trovato mia madre e mio fratello e quindi sono tornato a casa e mia madre era li. Mio fratello non aveva fatto rientro a casa. La sera abbiamo saputo che mio fratello era morto. Dopo la morte di mio fratello e dopo la lite con mio padre, mia madre mi ha convinto a lasciare il mio paese, aveva paura per me. Dopo la mia partenza, anche mia madre e l’altro mio fratello hanno lascito il mio paese, ma non so dove sono e non ho più loro notizie. So che mio padre è rimasto nella mia città.
Durante il racconto non sono riuscita a trattenere le lacrime, avevo dimenticato tutte le buone prassi per un colloquio professionale.
Ho salutato il mio giovane richiedente asilo augurandogli di poter trovare in Italia la serenità perduta e la libertà negata nel suo paese. Lui mi ha saluto con un timido sorriso scusandosi perché con la sua storia mia aveva reso triste.

PRIMA STORIA
Sono scappato dal mio paese a causa della ribellione che nel 2012 ha vissuto la mia città. I ribelli sono entrati nella città in cui vivevo e l’hanno occupata in parte, l’altra parte è rimasta sotto il controllo dell’esercito. L’esercito cercava altre persone per rafforzare il gruppo. Andavano di casa in casa fino a quando sono giunti a casa mia. Loro hanno parlato con mio padre e lui è diventato il loro autista. All’epoca avevo 19 anni. Mio padre voleva convincermi ad unirmi all’esercito, ma io mi sono rifiutato. A quel punto sono stato picchiato da loro perché volevano che mi arruolassi. Mi hanno fatto parlare di nuovo con mio padre, ma io mi sono nuovamente rifiutato. Porto ancora i segni delle violenze subite, infatti, non riesco a muovere bene il braccio, ho sempre dolori quando lo muovo. Non potevo arruolarmi perché non potevo fare quello che l’esercito mi chiedeva. Non avrei mai potuto uccidere un altro uomo. A causa del mio rifiuto ad arruolarmi  mio padre mi ha sbattuto fuori di casa. Mi sono sentito tradito e ferito. La mia vita si è stravolta. Ho subito il tradimento di mio padre e la morte di mio fratello in pochi giorni. Mio fratello è rimasto ucciso durante un bombardamento mentre si trovava al mercato. Aveva 12 anni.  Aiutava mia madre nel suo lavoro. Avevamo un banco di frutta. Dopo il bombardamento io mi sono recato subito al mercato ma non ho trovato mia madre e mio fratello e quindi sono tornato a casa e mia madre era li. Mio fratello non aveva fatto rientro a casa. La sera abbiamo saputo che mio fratello era morto. Dopo la morte di mio fratello e dopo la lite con mio padre, mia madre mi ha convinto a lasciare il mio paese, aveva paura per me. Dopo la mia partenza, anche mia madre e mio fratello hanno lascito il mio paese, ma non so dove sono e non ho più loro notizie. So che mio padre è rimasto nella mia città.

SECONDA STORIA
Ho lasciato la mia terra perché lì non c’è la libertà. Il mio Paese è occupato dai ribelli ed il governo è assente e non fa nulla per proteggerci. La mia famiglia è una famiglia di pescatori. Ho sempre aiutato mio padre nel suo lavoro sin da quando ero bambino. Una notte sono andato a pescare e quando la mattina sono rientrato a casa, l’ho trovata bruciata. I ribelli avevano ucciso mia sorella ed i miei genitori. Non mi sentivo più sicuro nel mio paese. Non riuscivo più a considerarlo nemmeno il mio paese.”

TERZA STORIA
Sono nata e cresciuta in Libia, ma i miei genitori non sono originari della Libia. Non ho potuto studiare perché i miei genitori erano molto poveri. Nel 2012, quando sono iniziati gli scontri in Libia, i miei genitori hanno deciso di ritornare nel loro paese di origine. Io mi sono rifiutata di partire con loro perché volevo essere una donna libera. Se fossi tornata nella terra di origine dei miei genitori lì sarei stata  costretta a sposare un uomo che non amavo e non avrei potuto studiare.

In Italia spero di poter essere una donna libera e avere la possibilità di studiare”

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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