Aspetto il primo richiedente
asilo politico, un giovane ragazzo musulmano, per il mio primo colloquio in preparazione
dell’audizione con la Commissione territoriale per il riconoscimento della
protezione internazionale.
Faccio mente locale sulle buone
prassi per la conduzione dell’intervista, sull’importanza di non apparire
distante e giudicante o al contrario troppo affettuosa o amichevole, sul come
metterlo a proprio agio, sul modo di porre le domande che inevitabilmente lo
porteranno a ricordare esperienze della sua vita così personali e così tragiche. Penso che, infondo, sono una
perfetta estranea e che non sarà semplice per lui raccontarsi.
Sento bussare, non nego una certa
agitazione e penso che questa sensazione non sia molto professionale. Arriva
lui insieme all’interprete. Parla la sua lingua di origine, ma capisce un po’
l’italiano.
“Ciao. Come stai?. Nel suo italiano con accento straniero, mi
risponde di stare bene e di essere un po’ emozionato, ma che è pronto a
raccontarmi la sua storia.
Dopo avermi raccontato il suo
duro viaggio di migrazione, dal suo paese di origine alla Libia e poi la
navigazione verso la Sicilia, con un po’ di imbarazzo gli chiedo se si sente di
raccontarmi il perché ha lasciato il suo paese di origine.
Un grande sospiro e inizia il suo
racconto:
“Sono scappato dal mio
paese a causa della ribellione che nel 2012 ha vissuto la mia città. I ribelli
sono entrati nella città in cui vivevo e l’hanno occupata in parte, l’altra
parte è rimasta sotto il controllo dell’esercito. L’esercito cercava altre
persone per rafforzare il gruppo. Andavano di casa in casa fino a quando sono
giunti a casa mia. Loro hanno parlato con mio padre e lui è diventato il loro
autista. All’epoca avevo 19 anni. Mio padre voleva convincermi ad unirmi all’esercito,
ma io mi sono rifiutato. A quel punto sono stato picchiato da loro perché
volevano che mi arruolassi. Mi hanno fatto parlare di nuovo con mio padre, ma
io mi sono nuovamente rifiutato. Porto ancora i segni delle violenze subite,
infatti, non riesco a muovere bene il braccio, ho sempre dolori quando lo
muovo.”
Lui continua nel suo racconto, ma io non posso non chiedermi il perché
questo giovane ragazzo si sia rifiutato di arruolarsi in maniera così
determinata, disobbedendo anche al padre nonostante le torture subite.
Quindi, blocco il suo racconto e gli chiedo il perché non si sia
arruolato.
Lui mi guarda quasi stupito della mia domanda e con fermezza risponde: “Non potevo fare quello che l’esercito mi
chiedeva. Non avrei mai potuto uccidere un altro uomo”.
Felice della sua risposta, lo guardo come si guarda un figlio di cui si
è enormemente fieri.
Continua nel suo racconto.
“A causa del mio rifiuto
ad arruolarmi mio padre mi ha sbattuto
fuori di casa. Mi sono sentito tradito e ferito. La mia vita si è stravolta. Ho
subito il tradimento di mio padre e la morte di mio fratello in pochi giorni”
A quella affermazione sono costretta a chiedergli come è morto il
fratello.
“Mio fratello è rimasto
ucciso durante un bombardamento mentre si trovava al mercato. Aveva 12
anni. Aiutava mia madre nel suo lavoro.
Avevamo un banco di frutta. Dopo il bombardamento io mi sono recato subito al
mercato ma non ho trovato mia madre e mio fratello e quindi sono tornato a casa
e mia madre era li. Mio fratello non aveva fatto rientro a casa. La sera
abbiamo saputo che mio fratello era morto. Dopo la morte di mio fratello e dopo
la lite con mio padre, mia madre mi ha convinto a lasciare il mio paese, aveva
paura per me. Dopo la mia partenza, anche mia madre e l’altro mio fratello
hanno lascito il mio paese, ma non so dove sono e non ho più loro notizie. So
che mio padre è rimasto nella mia città.
Durante il racconto non sono riuscita a trattenere le lacrime, avevo
dimenticato tutte le buone prassi per un colloquio professionale.
Ho salutato il mio giovane richiedente asilo augurandogli di poter trovare
in Italia la serenità perduta e la libertà negata nel suo paese. Lui mi ha
saluto con un timido sorriso scusandosi perché con la sua storia mia aveva reso
triste.
PRIMA STORIA
“Sono scappato dal mio
paese a causa della ribellione che nel 2012 ha vissuto la mia città. I ribelli
sono entrati nella città in cui vivevo e l’hanno occupata in parte, l’altra
parte è rimasta sotto il controllo dell’esercito. L’esercito cercava altre persone
per rafforzare il gruppo. Andavano di casa in casa fino a quando sono giunti a
casa mia. Loro hanno parlato con mio padre e lui è diventato il loro autista. All’epoca
avevo 19 anni. Mio padre voleva convincermi ad unirmi all’esercito, ma io mi
sono rifiutato. A quel punto sono stato picchiato da loro perché volevano che
mi arruolassi. Mi hanno fatto parlare di nuovo con mio padre, ma io mi sono
nuovamente rifiutato. Porto ancora i segni delle violenze subite, infatti, non
riesco a muovere bene il braccio, ho sempre dolori quando lo muovo. Non potevo
arruolarmi perché non potevo fare quello che l’esercito mi chiedeva. Non avrei
mai potuto uccidere un altro uomo. A causa del mio rifiuto ad arruolarmi mio padre mi ha sbattuto fuori di casa. Mi
sono sentito tradito e ferito. La mia vita si è stravolta. Ho subito il
tradimento di mio padre e la morte di mio fratello in pochi giorni. Mio
fratello è rimasto ucciso durante un bombardamento mentre si trovava al
mercato. Aveva 12 anni. Aiutava mia
madre nel suo lavoro. Avevamo un banco di frutta. Dopo il bombardamento io mi
sono recato subito al mercato ma non ho trovato mia madre e mio fratello e
quindi sono tornato a casa e mia madre era li. Mio fratello non aveva fatto
rientro a casa. La sera abbiamo saputo che mio fratello era morto. Dopo la
morte di mio fratello e dopo la lite con mio padre, mia madre mi ha convinto a
lasciare il mio paese, aveva paura per me. Dopo la mia partenza, anche mia
madre e mio fratello hanno lascito il mio paese, ma non so dove sono e non ho
più loro notizie. So che mio padre è rimasto nella mia città.
SECONDA STORIA
“Ho lasciato la mia terra perché
lì non c’è la libertà. Il mio Paese è occupato dai ribelli ed il governo è
assente e non fa nulla per proteggerci. La mia famiglia è una famiglia di
pescatori. Ho sempre aiutato mio padre nel suo lavoro sin da quando ero
bambino. Una notte sono andato a pescare e quando la mattina sono rientrato a
casa, l’ho trovata bruciata. I ribelli avevano ucciso mia sorella ed i miei
genitori. Non mi sentivo più sicuro nel mio paese. Non riuscivo più a
considerarlo nemmeno il mio paese.”
TERZA STORIA
“Sono nata e cresciuta in Libia,
ma i miei genitori non sono originari della Libia. Non ho potuto studiare
perché i miei genitori erano molto poveri. Nel 2012, quando sono iniziati gli
scontri in Libia, i miei genitori hanno deciso di ritornare nel loro paese di
origine. Io mi sono rifiutata di partire con loro perché volevo essere una
donna libera. Se fossi tornata nella terra di origine dei miei genitori lì sarei
stata costretta a sposare un uomo che
non amavo e non avrei potuto studiare.
In Italia spero di poter essere una donna libera e avere la possibilità
di studiare”