Erano una quarantina l'altra
sera.
Tutti, pressappoco, bambini.
Tredici e quattrodici anni.
Ragazzini e ragazzine, di
cui un paio anche in cinta.
Nel pomeriggio erano
arrivati al porto di Catania, a bordo di una nave della marina militare che li
aveva raccolti dal barcone a poche miglia dalla Libia.
Li abbiamo accolti alla Colonia Don Bosco di Catania, un centro gestito dalle associazioni di
Don Bosco Island.
Borino, Dony, Cinzia, Gea,
Ciccio, don Enzo, don Luigi e gli altri
ragazzi dell'equipe li hanno ospitati senza si e senza ma.
Ad accoglierli c'erano anche
Balde, Issue, Dembo e Juned. Quattro migranti del centro di Piazza Armerina che
hanno già vissuto l'esperienza del deserto e dello sbarco. Migranti che
accolgono migranti.
Subito arrivano frutta, pizza e acqua.
Via i vestiti del viaggio,
impregnati dall'odore nauseabonto della stiva della nave, per indossare i
nuovi.
Negli occhi dei ragazzini
una grande stanchezza. Ma anche una
grande gioia.
Mangiano lentamente e ci osservano.
Mangiano lentamente e ci osservano.
Un'altra delle tappe di
avvicinamento alla loro meta era stata raggiunta.
Scambiamo qualche parole con
Dembo che fa da interprete e traduttore.
I ragazzini, quasi tutti
Eritrei, erano partiti 8 mesi fa.
Trentadue settimane per
attraversare il deserto. Prima attraverso l'Etiopia, poi il Sudan ed infine la
Libia.
Quasi tutto il percorso a
piedi, un giorno dormendo sotto un albero, un altro sulle dune del Sahara, un
altro ancora nelle periferie di un villaggio, e dove era possibile in una
stazione.
In tarda serata una ventina
di ragazzi vengono spostati in un centro di accoglienza vicino Palermo.
Ventuno rimangono a dormire
nell’ostello della Colonia.
Diciannove eritreri e due
ivoriani.
Qualcuno di loro ha la
febbre. Ci pensa Ciccio a misurarla.
Trentanove e mezzo. Dony e
Borino procurano i farmaci adatti.
L'indomani è l’alba di un
giorno nuovo. Tutto è diverso.
I piccoli eritrei si
comportano come adulti. Sanno quello che vogliono e cosa vogliono.
Parlottano tra di loro,
cercano un telefono.
Rifocillati e rivestiti sono
pronti ad un’altra tappa per il raggiungimento della loro meta.
E si! La loro meta. La
Norvegia, non l'Italia.
La sera precedente, al molo
del porto di Catania, non hanno voluto farsi fotosegnalare.
Se lo avessero fatto
sarebbero stati costretti a rimanere in Italia per almeno due anni.
Ma sanno bene la lezione.
Sono stati istruiti a puntino.
Verso le due si allontanano.
Simone e Salvatore li inseguono, cercano di dissuaderli.
Gli spiegano che le
frontiere a nord sono chiuse.
Ma non c’è proprio niente da
fare. Si allontatano di corsa. Sanno già dove andare.
Nessuno può fermali.
“Norway, Norway”, dicono.
Fino a quando non
arrivarenno in Norvegia nessuno li fermerà.
In fondo il peggio l’hanno
già passato.
Hanno camminato 8 mesi nel
deserto, sono usciti indenni dall’inferno della Libia e hanno attraversato su
un barcone il Mediterraneo.
Per loro, adesso, arrivare in
Norvegia, nonostante le frontiere
chiuse, sarà come una passeggiata.
Forza ragazzi, sono sicuro
che ce la farete!
Ogni cittadino del mondo è libero di muoversi in ogni parte del mondo.
Passerete le Alpi e gli
altri confini, alla faccia di chi vi chiama clandestini!
Noi tifiamo per voi.
Norway, Norway!!!