Ciao, in epoca di par condicio invio una riflessione sull'argomento foibe del mio segretario regionale Luca Cangemi.
Un Saluto, Roberto Capizzi
Un Saluto, Roberto Capizzi
Svelare la mistificazione: contro "la giornata del ricordo".
La mistificazione della complessa vicenda del confine orientale negli anni della seconda guerra mondiale, sbrigativamente riassunta sotto il termine "foibe" rappresenta, bisogna riconoscerlo, un netto successo del più becero revisionismo storico.
La legge del 30 marzo del 2004 che istituisce la giornata del ricordo a meno di 15 giorni dalla giornata della memoria (cioè dalla data dell’ apertura dei cancelli di Auschwitz!) è la più clamorosa vittoria politico-istituzionale della destra italiana sul campo della riscrittura della storia del paese, passaggio essenziale della sua legittimazione.
Questa legge costituisce una vera e propria vergogna nazionale.
Tutto ciò è stato reso possibile da un lungo attacco, condotto con ampiezza di mezzi (soprattutto mediatici) e favorito dalla debolezza e dal disinteresse di chi avrebbe dovuto opporsi ad esso.
Iniziare a reagire è difficile ma necessario ed implica una ricostruzione chiara dei nodi del problema, una ricostruzione che permetta di rovesciare gli assunti centrali delle tesi revisioniste.
Perché il confine orientale diventa il centro di un’operazione di tale portata?
L’espansionismo ad est ed il razzismo antislavo sono elementi costitutivi degli umori culturali in cui cresce il fascismo (basti pensare a D’Annunzio) e sono centrali nelle strategie fin dalle primissime origini del movimento.
Il 13 luglio 1920 la prima operazione squadristica in grande stile ha per teatro Trieste, con l’incendio del narodni dom, casa del popolo, sede di tutte le principali organizzazioni slovene della città, replicata poi a Pola ed in altre città.
Nelle terre orientali quindi si sperimenta il modello che verrà poi applicato contro il movimento operaio in tutta Italia.
Mussolini afferma pubblicamente che si possono sacrificare "500.000 barbari slavi per 50.000 italiani".
E’ interessante notare che sin da queste primissime fasi il fascismo salda le dimensioni etnica, politica, sociale.
L’equazione bolscevismo-slavi che poi sarà tipica del nazismo è anticipata qui, così come, da subito, corposi interessi di classe fanno sposare alla borghesia italiana delle città di confine la causa fascista contro un mondo operaio e contadino a prevalenza slava.
L’assetto definitivo del primo dopoguerra lascia centinaia di migliaia di sloveni e croati dentro i confini del regno, contro di essi il fascismo, ormai divenuto regime, svilupperà per vent’anni una costante iniziativa di negazione dell’identità, di oppressione sociale, di repressione poliziesca.
Protagonista della "snazionalizzazione" è il sistema scolastico, che ,fin dalla riforma Gentile del 1923, nega cittadinanza alla lingua ed alla cultura slava.
Nel 1941 l’Italia e la Germania nazista invadono la Jugoslavia e la smembrano, l’Italia incorpora direttamente una parte della Slovenia ( con circa 800.000 abitanti), settori della Macedonia e del Kossovo, costituisce un stato fantoccio in Croazia e Bosnia, dandone la corona ad un Savoia e affidandone la gestione ad una delle figure più lugubri della storia europea, Ante Pavelic, duce del movimento fascista degli ustascia, in esili dagli anni trenta in Italia. Pavelic si renderà artefice di un vero e proprio sterminio che colpirà in particolare la popolazione serba (una commissione del Senato americano valuta tra le 300mila e le 500mila le vittime tra della repressione ustascia).
Più in generale gli italiani usano largamente lo strumento della divisione etnica,non è un caso che le uniformi degli ustascia riappariranno nei conflitti della ex Jugoslavia negli anni novanta.
Ma le truppe italiane saranno autrici anche direttamente di massacri, rastrellamenti indiscriminati, deportazioni in campi tristemente famosi come quello di Arbe. Sono fatti notissimi anche se mai visibili negli ultimi anni.
A fronte di questa si manifesta, anche questo precocemente, un vasto movimento di opposizione. Esso non si sviluppa solo nelle terre di recente occupazione ma anche nella Venezia Giulia, comprende le popolazione slave ma anche nuclei operai italiani .
Si hanno notizie di azioni importanti di lotta armata contro i fascisti già nel 1941, nel settembre del 1943 il movimento partigiano è in grado di occupare importanti aree istriane. La resistenza in Italia al nazifascismo nasce a tutti gli effetti sul confine orientale.
Il mito nero delle foibe nasce quando i nazisti e i collaborazionisti italiani rioccupano le zone dell’Istria, abbandonate dopo l’8 settembre. La propaganda della repubblica di Salò fa dei cadaveri di un numero imprecisato (inferiore a 700 per le stesse associazioni nazionalistiche degli istriani) di italiani , rinvenuti nei baratri chiamati "foibe" un elemento centrale di agitazione antipartigiana.
La campagna mediatica di oggi ha questi poco onorevoli ma diretti antecedenti.
In realtà gli "infoibati" del 1943 non sono vittime dell’azione delle forze partigiane, ma, prevalentemente, di una rivolta contadina croata, che salda i conti di decenni di oppressione sociale con i possidenti italiani, nei modi classici delle rivolte contadine.
L’azione propagandistica sulle foibe accompagna il periodo più terribile dell’
occupazione nazifascista del confine orientale, quello che va dagli ultimi mesi del 1943 al 1945, che vede il confine orientale sotto diretto controllo nazista. Il simbolo inequivocabile di questa fase è la risiera di San Sabba , l’
unico campo di concentramento in Italia in cui viene costruito un forno crematorio. A Trieste operano alcune tra i più sanguinari assassini nazisti freschi reduci dai massacri nell’Europa dell’est; operano però non nell’
isolamento ma affiancati attivamente dalle milizie fasciste e confortate da un’
ampia zona grigia di consenso tacito delle classi dirigenti della comunità italiana.
Questo è un punto di verità storica ineludibile per capire gli avvenimenti nelle settimane dopo la sconfitta dei nazifascisti.
Le forze della nuova Jugoslavia di Tito, subito dopo la Liberazione, sviluppano un’azione vasta e molto dura per colpire non solo i numerosi responsabili di crimini efferati, ma anche un’area molto più vasta che a vario titolo aveva collaborato. A ciò si somma il carico di odi lasciato da una politica di oppressione sistematica durata oltre un ventennio e da una guerra durissima.
Non c’è dubbio che pesava nell’operato delle forze Jugoslave il timore del risorgere del nazionalismo italiano sotto altre forme e la volontà di conquistare posizioni rispetto ad una trattativa internazionale complessa sugli assetti territoriali. L’azione delle forze di Tito contro tutte le forme di collaborazionismo fu, comunque, ugualmente dura ed estesa in tutte le regioni liberate e quindi la tesi del pregiudizio etnico appare del tutto infondata.
E’ appena il caso di ricordare che l’aggressione nazista e fascista costò ai popoli della Jugoslavia oltre un milione di morti, distruzioni irreparabili, laceranti scontri interetnici. Nonostante tutto ciò il movimento di resistenza Jugoslavo guidato dai comunisti fu in grado di portare a termine autonomamente la liberazione dell’intero paese e costruì –pur tra tanti limiti e contraddizioni -un ipotesi di convivenza tra popoli diversi.
I morti nelle foibe nell’immediato dopoguerra sono un numero assai ristretto ; si arriva al coinvolgimento di alcune migliaia di persone coprendo sotto questo termine tutte le iniziative dei partigiani slavi ed anche italiani, le rivalse spontanee della popolazione, episodi di criminalità comune avvenuti nel clima di confusione seguito al collasso delle strutture statali e puniti poi dalle stesse autorità jugoslave.
Siamo di fronte dunque ad una gigantesca montatura che ha trasformato episodi diversi e certamente dolorosi ( ma assolutamente minori) nel quadro della guerra in un elemento storicamente decisivo, tale da fare addirittura da contrappeso agli orrori del nazifascismo in Europa.
Come risalire la china rispetto ai risultati di questa devastante azione?
Io credo che bisogna accettare la sfida sul terreno scelto dall’avversario:
facciamo del confine orientale, dei caratteri del fascismo e dell’antifascismo in quelle terre un elemento di verifica generale delle tesi revisioniste e dimostriamo non solo il carattere assai complesso di quelle vicende (cosa giusta ma insufficiente) ma anche elementi di fatto che fanno crollare il castello del revisionismo italiano e ne smascherano le reali finalità.
Vi sono almeno tre passaggi necessari:
1-La chiarificazione che i caratteri della politica antislava che il fascismo conduce - che è a tutti gli effetti è anche una manifestazione colonialismo, omogeneo a quello condotto in Africa- dimostra che il razzismo sia non un elemento importato, estrinseco del fascismo italiano(tesi tipicamente
revisionista) ma anzi ne sia tratto costitutivo dell’ideologia e della prassi.
2-la rivendicazione della resistenza come grande fenomeno europeo che ha avuto la capacità di legare questione sociale, questione politica, questione nazionale. In questo i caratteri avanzati della resistenza slava e della resistenza italiana sul confine orientale sono assolutamente tra i più interessanti.
3-La denuncia della continuità dei caratteri della destra italiana che la campagna sulle foibe(che nasce nella fosca stagione del fascismo di Salò) porta alla luce.
E’ un impegno gravoso ma ineludibile per ricostruire un quadro essenziale non tanto e non solo di verità storica ma di agibilità culturale nel presente.
Luca Cangemi, insegnante, Segretario siciliano di Rifondazione Comunista
La mistificazione della complessa vicenda del confine orientale negli anni della seconda guerra mondiale, sbrigativamente riassunta sotto il termine "foibe" rappresenta, bisogna riconoscerlo, un netto successo del più becero revisionismo storico.
La legge del 30 marzo del 2004 che istituisce la giornata del ricordo a meno di 15 giorni dalla giornata della memoria (cioè dalla data dell’ apertura dei cancelli di Auschwitz!) è la più clamorosa vittoria politico-istituzionale della destra italiana sul campo della riscrittura della storia del paese, passaggio essenziale della sua legittimazione.
Questa legge costituisce una vera e propria vergogna nazionale.
Tutto ciò è stato reso possibile da un lungo attacco, condotto con ampiezza di mezzi (soprattutto mediatici) e favorito dalla debolezza e dal disinteresse di chi avrebbe dovuto opporsi ad esso.
Iniziare a reagire è difficile ma necessario ed implica una ricostruzione chiara dei nodi del problema, una ricostruzione che permetta di rovesciare gli assunti centrali delle tesi revisioniste.
Perché il confine orientale diventa il centro di un’operazione di tale portata?
L’espansionismo ad est ed il razzismo antislavo sono elementi costitutivi degli umori culturali in cui cresce il fascismo (basti pensare a D’Annunzio) e sono centrali nelle strategie fin dalle primissime origini del movimento.
Il 13 luglio 1920 la prima operazione squadristica in grande stile ha per teatro Trieste, con l’incendio del narodni dom, casa del popolo, sede di tutte le principali organizzazioni slovene della città, replicata poi a Pola ed in altre città.
Nelle terre orientali quindi si sperimenta il modello che verrà poi applicato contro il movimento operaio in tutta Italia.
Mussolini afferma pubblicamente che si possono sacrificare "500.000 barbari slavi per 50.000 italiani".
E’ interessante notare che sin da queste primissime fasi il fascismo salda le dimensioni etnica, politica, sociale.
L’equazione bolscevismo-slavi che poi sarà tipica del nazismo è anticipata qui, così come, da subito, corposi interessi di classe fanno sposare alla borghesia italiana delle città di confine la causa fascista contro un mondo operaio e contadino a prevalenza slava.
L’assetto definitivo del primo dopoguerra lascia centinaia di migliaia di sloveni e croati dentro i confini del regno, contro di essi il fascismo, ormai divenuto regime, svilupperà per vent’anni una costante iniziativa di negazione dell’identità, di oppressione sociale, di repressione poliziesca.
Protagonista della "snazionalizzazione" è il sistema scolastico, che ,fin dalla riforma Gentile del 1923, nega cittadinanza alla lingua ed alla cultura slava.
Nel 1941 l’Italia e la Germania nazista invadono la Jugoslavia e la smembrano, l’Italia incorpora direttamente una parte della Slovenia ( con circa 800.000 abitanti), settori della Macedonia e del Kossovo, costituisce un stato fantoccio in Croazia e Bosnia, dandone la corona ad un Savoia e affidandone la gestione ad una delle figure più lugubri della storia europea, Ante Pavelic, duce del movimento fascista degli ustascia, in esili dagli anni trenta in Italia. Pavelic si renderà artefice di un vero e proprio sterminio che colpirà in particolare la popolazione serba (una commissione del Senato americano valuta tra le 300mila e le 500mila le vittime tra della repressione ustascia).
Più in generale gli italiani usano largamente lo strumento della divisione etnica,non è un caso che le uniformi degli ustascia riappariranno nei conflitti della ex Jugoslavia negli anni novanta.
Ma le truppe italiane saranno autrici anche direttamente di massacri, rastrellamenti indiscriminati, deportazioni in campi tristemente famosi come quello di Arbe. Sono fatti notissimi anche se mai visibili negli ultimi anni.
A fronte di questa si manifesta, anche questo precocemente, un vasto movimento di opposizione. Esso non si sviluppa solo nelle terre di recente occupazione ma anche nella Venezia Giulia, comprende le popolazione slave ma anche nuclei operai italiani .
Si hanno notizie di azioni importanti di lotta armata contro i fascisti già nel 1941, nel settembre del 1943 il movimento partigiano è in grado di occupare importanti aree istriane. La resistenza in Italia al nazifascismo nasce a tutti gli effetti sul confine orientale.
Il mito nero delle foibe nasce quando i nazisti e i collaborazionisti italiani rioccupano le zone dell’Istria, abbandonate dopo l’8 settembre. La propaganda della repubblica di Salò fa dei cadaveri di un numero imprecisato (inferiore a 700 per le stesse associazioni nazionalistiche degli istriani) di italiani , rinvenuti nei baratri chiamati "foibe" un elemento centrale di agitazione antipartigiana.
La campagna mediatica di oggi ha questi poco onorevoli ma diretti antecedenti.
In realtà gli "infoibati" del 1943 non sono vittime dell’azione delle forze partigiane, ma, prevalentemente, di una rivolta contadina croata, che salda i conti di decenni di oppressione sociale con i possidenti italiani, nei modi classici delle rivolte contadine.
L’azione propagandistica sulle foibe accompagna il periodo più terribile dell’
occupazione nazifascista del confine orientale, quello che va dagli ultimi mesi del 1943 al 1945, che vede il confine orientale sotto diretto controllo nazista. Il simbolo inequivocabile di questa fase è la risiera di San Sabba , l’
unico campo di concentramento in Italia in cui viene costruito un forno crematorio. A Trieste operano alcune tra i più sanguinari assassini nazisti freschi reduci dai massacri nell’Europa dell’est; operano però non nell’
isolamento ma affiancati attivamente dalle milizie fasciste e confortate da un’
ampia zona grigia di consenso tacito delle classi dirigenti della comunità italiana.
Questo è un punto di verità storica ineludibile per capire gli avvenimenti nelle settimane dopo la sconfitta dei nazifascisti.
Le forze della nuova Jugoslavia di Tito, subito dopo la Liberazione, sviluppano un’azione vasta e molto dura per colpire non solo i numerosi responsabili di crimini efferati, ma anche un’area molto più vasta che a vario titolo aveva collaborato. A ciò si somma il carico di odi lasciato da una politica di oppressione sistematica durata oltre un ventennio e da una guerra durissima.
Non c’è dubbio che pesava nell’operato delle forze Jugoslave il timore del risorgere del nazionalismo italiano sotto altre forme e la volontà di conquistare posizioni rispetto ad una trattativa internazionale complessa sugli assetti territoriali. L’azione delle forze di Tito contro tutte le forme di collaborazionismo fu, comunque, ugualmente dura ed estesa in tutte le regioni liberate e quindi la tesi del pregiudizio etnico appare del tutto infondata.
E’ appena il caso di ricordare che l’aggressione nazista e fascista costò ai popoli della Jugoslavia oltre un milione di morti, distruzioni irreparabili, laceranti scontri interetnici. Nonostante tutto ciò il movimento di resistenza Jugoslavo guidato dai comunisti fu in grado di portare a termine autonomamente la liberazione dell’intero paese e costruì –pur tra tanti limiti e contraddizioni -un ipotesi di convivenza tra popoli diversi.
I morti nelle foibe nell’immediato dopoguerra sono un numero assai ristretto ; si arriva al coinvolgimento di alcune migliaia di persone coprendo sotto questo termine tutte le iniziative dei partigiani slavi ed anche italiani, le rivalse spontanee della popolazione, episodi di criminalità comune avvenuti nel clima di confusione seguito al collasso delle strutture statali e puniti poi dalle stesse autorità jugoslave.
Siamo di fronte dunque ad una gigantesca montatura che ha trasformato episodi diversi e certamente dolorosi ( ma assolutamente minori) nel quadro della guerra in un elemento storicamente decisivo, tale da fare addirittura da contrappeso agli orrori del nazifascismo in Europa.
Come risalire la china rispetto ai risultati di questa devastante azione?
Io credo che bisogna accettare la sfida sul terreno scelto dall’avversario:
facciamo del confine orientale, dei caratteri del fascismo e dell’antifascismo in quelle terre un elemento di verifica generale delle tesi revisioniste e dimostriamo non solo il carattere assai complesso di quelle vicende (cosa giusta ma insufficiente) ma anche elementi di fatto che fanno crollare il castello del revisionismo italiano e ne smascherano le reali finalità.
Vi sono almeno tre passaggi necessari:
1-La chiarificazione che i caratteri della politica antislava che il fascismo conduce - che è a tutti gli effetti è anche una manifestazione colonialismo, omogeneo a quello condotto in Africa- dimostra che il razzismo sia non un elemento importato, estrinseco del fascismo italiano(tesi tipicamente
revisionista) ma anzi ne sia tratto costitutivo dell’ideologia e della prassi.
2-la rivendicazione della resistenza come grande fenomeno europeo che ha avuto la capacità di legare questione sociale, questione politica, questione nazionale. In questo i caratteri avanzati della resistenza slava e della resistenza italiana sul confine orientale sono assolutamente tra i più interessanti.
3-La denuncia della continuità dei caratteri della destra italiana che la campagna sulle foibe(che nasce nella fosca stagione del fascismo di Salò) porta alla luce.
E’ un impegno gravoso ma ineludibile per ricostruire un quadro essenziale non tanto e non solo di verità storica ma di agibilità culturale nel presente.
Luca Cangemi, insegnante, Segretario siciliano di Rifondazione Comunista