lunedì 5 aprile 2010

Zingari per un alba. La raccolta di poesie di Pino Rossetto. La prefazione di Sebi Arena.

Prefazione di Sebi Arena


L’immagine degli zingari che da sempre hanno scelto il nomadismo come sistema di vita, ha suscitato sovente giudizi negativi da parte della società al punto di assumere, nei confronti di questa gente antica, atteggiamenti di esclusione quando non pure di persecuzione o di razzismo. Noi, sedentari, abbiamo la tendenza a rifiutare l’organizzazione sociale dei nomadi perché non ne accettiamo la precarietà, la carenza di benessere, la man-canza delle certezze che sono pure la nostra grande illusione.
Non così per i poeti che, travalicando la gabbia di questa società difficile, continuano a percepire, nel modo di essere degli zingari, l’idea estrema di libertà, quasi l’ancestrale rimpianto delle ere remote quando gli uomini erano tutti nomadi e tutti liberi nello spazio e nel tempo.
Giuseppe Rossetto sceglie, non a caso, .................................
la poesia Zingari per un’alba per titolare tutta la raccolta e vien da cogliere, qui come altrove del suo fare poetico, la metafora celata della sua stessa esistenza. Scorrendo il suo bel lavoro si rimane impigliati e immersi in più di-mensioni e almeno due si contrappongono specularmente: quella in cui siamo costretti a esibirci nella recita obbligata e socialmente condivisa del quotidiano e l’altra del nostro mondo interiore dove danzano e s’inseguono i segreti pensieri e i sogni, le ansie e i dolori, le delusioni e i rimpianti, la solitudine del cuore. Infine è la poesia, che ogni cosa avvolge e sublima con la parola che si fa verso e il verso che si fa musica e pathos.

Trovo che non sia facile comprendere perché c’è ancora qualcuno che scrive e poi pubblica poesie. Si potrebbe semplicemente rispondere come la poesia sia frutto di un bisogno intimo dell’autore, un modo per appuntare la memoria e modulare il disagio; un modo di comunicare valori universali, la denuncia della barbarie umana o un grido di resistenza o di libertà; una curiosità dell’anima a voler penetrare il mistero, il dolore e talvolta lo stupore, utilizzando un mezzo che conferisca dignità e valore al messaggio. Credo che tutte queste ragioni, ed altre ancora, possano fornire un minimo di giustificazione del fare poetico, ma rimane ancora qualcosa, celata perfino allo stesso autore, che gli fa narrare le cose che scrive senza fornire chiavi di lettura, ma semplicemente suggellandole nella sintesi del verso.

I percorsi interiori di alcune anime sensibili – e i poeti sono tali per la loro capacità di sensitiva percezione dell’essenza – anelano alla verità e all’inesprimibile. I poeti vagano nell’universo della memoria, si librano nei cieli platonici e, parlando col cuore più che con la ragione, sanno riconsegnare l’ineffabile e l’indicibile.



Giuseppe Rossetto, fors’anche perché è un medico (ma non lo era ancora all’albore del suo verseggiare), ha osservato e condiviso il dolore della gente e, primo fra tutti, quello di sua madre ormai votata ad una inconsolabile pena; ha pure narrato il suo stesso dolore tal-volta intriso dell’impazienza disperante del domani e della sua sfuocata proiezione. Ha a-scoltato potente il grido di dolore scaturente dal mondo impazzito, sia che si tratti dell’eco mai spenta della tragedia dell’Olocausto o delle fosse comuni di Bosnia o del recente scia-gurato attentato dell’11 Settembre o quella della martoriata Terrasanta, oppure che provenga dalla sua Sicilia, terra di antica solitudine che, aldilà della struggente bellezza, coltiva la ma-ledizione di straziare il suo tempo e i suoi uomini migliori.



Questo volume attraversa, e non solo cronologicamente, gli anni della fanciullezza e del-la gioventù fino alle più recenti e maturate esperienze poetiche a cavallo del millennio. Li-bro di biografia reale ed immaginaria, compendio epifanico i cui figuranti scorrono perlopiù silenti (ma non certo men vivi) quasi comparse nel proscenio della tragedia umana. Quando fa capolino la bellezza essa diventa per il poeta la soluzione di ogni problema: si muta in speranza e in sogno, in carezza, in magia ed estasi per stemperare così il pessimismo e lo scoramento. Nella sete del cuore emerge prepotente il rammarico per ciò che si è perduto ed erra la memoria alla ricerca del luogo-rifugio della fanciullezza: Floristella, la solfara non lontana dalla città natìa dove la famiglia, per motivi di lavoro, abitò per un certo tempo. É la nicchia che contiene l’afrore acre dello zolfo mescolato al sudore degli uomini, ma pure ai sentori selvatici della terra, dell’origano e degli oleandri, ai giochi con l’argilla, alle cicliche aurore di sole e di luna.

L’officina del poeta, che ci auguriamo sia fertile e generosa, è il luogo dell’esplorazione e dell’interrogazione, ma pure, del disagiato e disarmato osservatorio della condizione uma-na. É il luogo in cui sono nati componimenti apparentemente compiuti, ma spesso aperti o spalancati, senza soluzione. Come quando il poeta avverte la fragilità dell’essere e il disagio di non saper cogliere il senso vero dell’esistenza, oppure quando in un’angusta stanza pati-sce a tappe forzate il percorso dei suoi studi superiori. C’è tempo pure per l’idillio delle piogge d’autunno, delle stelle d’agosto, degli alberi che parlano al cielo, di ginestre e di tramonti, del grande amore della sua vita.



Il linguaggio poetico di Rossetto è agile e piano. L’autore sembra conversare solo col suo cuore ed è anche per questo intimo dialogo che la raccolta è nata e cresciuta, ma ormai ha deciso (spinto anche dai suoi amici) di comunicare e consegnare agli altri il suo poetare, la sua opera prima. Per il lettore non v’è, per fortuna, molta necessità di tradurre i codici di una eventuale semantica nascosta: essa è sfumata e i significati sono quasi sempre palesati dal primo all’ultimo verso. L’estetica non presenta contorte costruzioni e il verso è generato e scorre talvolta con lieve asperità e più spesso con sviluppo rettilineo e misurato. É eviden-te che il poeta sceglie le parole secondo un progetto costruttivo che non tralasci l’estetica, ma l’operazione non conduce a difficoltà interpretative o comunicative, quanto piuttosto ad un lucido dialogo col proprio io e, da ora in poi, col lettore.



Ci auguriamo che questa non sia l’unica fatica poetica di Giuseppe Rossetto, ma la pri-ma di una feconda e maturata sequenza ventura. Affinché l’emozione poetica non resti sol-tanto celata, ma comunicata ed estesa ai tanti lettori che ancora la sanno apprezzare e amare. C’è sempre bisogno di poesia e specialmente in questo attuale momento storico il cui vive-re, edonisticamente globalizzato e senza pace, rischia di restare orfano di riferimenti univer-sali e di valori culturali sostenibili che potranno ancora concorrere alla crescita solidale di tutta l’umanità nella concordia con l’ambiente terra.

Guai al silenzio dei poeti.





Sebi Arena

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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