Piazza Armerina 20 Agosto 2011
E’ una discussione sterile e miope, quella sull’abolizione delle Province. Anzi oserei dire neo provinciale. Di ristrette vedute e scarsa lungimiranza. In un epoca dominata dalla multimedialità, dai viaggi virtuali, dai collegamenti interplanetari, parlare di provincia SI o provincia NO è fuorviante, quasi morbosa proiezione di una chiusura mentale al mondo.
Abbiamo le nostre città ed i nostri paesi popolati da nuovi cittadini del mondo, ansiosi di abbracciare la libertà e la democrazia, pronti a morire in mare per fame o freddo, e noi ci trastulliamo con le provincie. Sterile perché incapace di produrre novità benefiche per le popolazioni coinvolte, miope perché le provincie sono abolite, di fatto, da almeno un decennio, travolte dai flussi migratori che portano centinaia di migliaia di cittadini siciliani a farsi cittadini del mondo, se non giornalmente cittadini del resto di Sicilia e d’Italia, per svago, lavoro, bisogno, interesse, per mero desiderio di libertà. Una discussione senza senso, schiacciata dai roboanti proclami di una classe politica che proprio nel e dal luogo più povero d’Italia , nell’ultimo decennio, ha sentito il bisogno di alzare la propria voce lanciando, sui canali di comunicazione nazionali e planetari, i propri messaggi di universalità, globalità, innovazione, una sorta di provincia senza frontiere, penso all’Università Kore che è ennese ma è anche la naturale attrazione per gli studenti dei paesi del Nord Africa, penso alla Venere di Morgantina che nasce povera e sezionata ad Aidone ma diviene Dea negli Stati Uniti, penso alla Villa del Casale che ritrovata a Piazza Armerina è venduta, mass mediaticamente, quale patrimonio dell’Umanità. Nessuno si sognerebbe mai di dire che questi tesori sono locali, pardon provinciali. E se d’altronde qualcuno, con gli occhi a mandorla, vuol fare un mega aeroporto conficcato tra Enna e Catania non sarà certo perché vuol farlo tra due provincie siciliane ma perché vuole affacciarsi all’altro capo del pianeta. Resistono, invero, meri agglomerati burocratici e clientelari, volti a soddisfare e allocare le risorse umane che la politica produce. La gestione di ENNA docet, basta osservare metodi e meriti nella composizione dei CDA di tutti gli enti governativi e para governativi, delle società miste pubblico/private provinciali, di ATO e company, da venti anni a questa parte, in mano ai soliti noti, amici degli amici, compari dei parenti, tutti ammanettati al potere fine a se stesso. Ed oggi il potere smisurato ed affamato, divora se stesso, per assenza di nuove e fresche risorse. Invero se non ci fossero, nessuno, oggi, nutrirebbe il bisogno di inventarle. Sebbene quella di Enna nacque con un colpo di penna del Duce Benito Mussolini, durante il ventennio fascista. Quello che ieri, un tratteggio d’inchiostro nero intenso coniava, oggi un nuovo tratteggio d’inchiostro, non più nero ma forse blu, di sospetta matrice antidemocratica, elimina. Ieri Mussolini, oggi Berlusconi. In verità parallelismi storici a parte, questo processo di maturazione è stato lento e graduale, direi ante litteram. Di recente se ne parla a iosa, per dare un senso, forse a volte ipocrita e demagogico, alla lotta contro gli sprechi e la mala gestione della politica burocratica ai livelli più bassi. Non è questo il pieno significato da attribuire ad un’eventuale abrogazione degli enti provincia. I cittadini avvertono il bisogno di istituzioni vicini e snelle, ben funzionanti ed organizzate, le imprese chiedono a gran voce sportelli di consulenza e sostegno alle loro esigenze di sviluppo e conquista di nuovi mercati, oggi come non mai, internazionali e multiformi. Se non di organizzazioni governative colte ed all’avanguardia, capaci di corroborare e non di intralciare percorsi virtuosi di crescita delle piccolissime, piccole e medie imprese del nostro territorio, unico asse trainante della nostra economia. Se vogliamo parlare invece di sprechi dobbiamo spostare il nostro osservatorio, un po’ più in là, più oltre. Gli sperperi sono una moltitudine incontrollata, annidata in ogni angolo dell’apparato statale e regionale. Sono un convinto assertore che le Provincie, siano percepite quali entità burocratiche e centri mantenimento e controllo del potere, campioni di sottosviluppo di piazza, e non come addensante ed amalgamante di opinioni, esigenze, ricchezze e culture diverse e credo sia necessario volgere lo sguardo al di là della loro semplice abolizione con criteri meramente quantitativi e numerici, con l’emanazione di un Decreto Legge, figlio della manifesta incapacità di governo del centro destra, che gronda tasse per celare i suoi deficit governativi. Diamo allora ai Comuni la concreta possibilità di associarsi e vincolarsi tra loro per interessi simbiotici, comuni peculiarità territoriali, culturali, paesistiche, sociosanitarie, economiche, facciamo in modo che siano le popolazioni a scegliere dal basso la forma di aggregazione che meglio corrisponde alle aspettative dei cittadini, delle imprese e di tutti gli attori che abitano il territorio. Allo stesso tempo i Comuni devono avere concessa la possibilità di decidere le formule di governo che ritengono più idonee e appropriate per l’erogazione di servizi e l’attuazione delle loro politiche di sviluppo e crescita sociale e legalitaria.
In Sicilia non bisogna commettere lo stesso errore del ventennio fascista. Il governo regionale e la sua maggioranza con il PD protagonista, sopprima pure le Province, nel contempo favorendo la simultanea concertazione tra Comuni e lo scambio di idee e vedute tra gli stessi, magari avviando forme referendarie per voltare pagina, dopo ottant’anni, sulla vicenda. Tragga spunto, per esempio, dai Distretti produttivi, turistici, naturalistici, ambientali, culturali , gastronomici messi in piedi nell’ultimo ventennio, e dalle migliori esperienze sinergiche vigenti, avvii un percorso riformista per una nuova e moderna gestione dei nostri territori. Facciamo Noi il federalismo sul campo, con i fatti e non con le parole. Abbiamo avuto la capacità di darci il primo Statuto costituzionale d’Italia, diamoci da fare per costruire la prima rivoluzionaria riforma della nostra organizzazione paesistica ed amministrativo-gestionale, anticipando, ancora una volta, la scarsa, scadente e arcaica politica del governo di centro destra di Berlusconi e Bossi sull’argomento. I Comuni diano un senso pieno al nostro europeismo utilizzando appieno gli strumenti finanziari e culturali che l’Europa concede agli enti locali del Sud Italia che abbiano la capacità, la sana creatività, la competenza manageriale di scommettere sul proprio futuro. Convochiamo gli Stati Generali di chi , disperatamente, cerca di non lasciare con la valigia in mano la sua terra natia.
Ranieri Luca Ferrara