mercoledì 5 ottobre 2011

La questione morale e la buona politica

di Giuseppe Giarrizzo
pubblicata su La Sicilia del 4 ottobre 2011.
Ricordate l'incontro Bertone-Berlusconi e il sorriso benevolo del segretario di Stato che accoglie, con gesto solidale, la vittima, l'agnello sacrificale di un'Italia irredimibile, e che legittima la pretesa del politico «fedele» alla beatificazione di S. Silvio di Arcore? Oggi quel teatrino giace a pezzi per terra, e nell'attesa di rimontarlo di quella scena rimane un calabrone a far da basso continuo alla denuncia appassionata del presidente della Cei, card. Bagnasco. Una denuncia che è sequela evidente delle preoccupazioni di Ratzinger per lo scandalo dei preti pedofili, e dà conto del frettoloso aggiustarsi della Chiesa su posizioni centriste pur dopo la recente conversione del PdL di Alfano - persona, libertà, partecipazione.
Quale sia lo spazio etico-politico del «segretario» (per grazia ricevuta) è però davanti agli occhi di tutti. La lealtà devota, e di conseguenza la docile eco dei nuovi annunci del «ghe pensi mi». Basta porre a confronto l'inascoltata predicazione di Giuliano Ferrara e ora la sortita irresponsabile di Brunetta. Una gaffe? Qualche giorno fa Alfano spiegava che lo sviluppo in Sicilia sarebbe partito una volta sconfitta in via definitiva la mafia. Da tempo, è questo il solo possibile Piano del Sud: ma quanti siciliani (Schifani, Alfano, Palma, Miccichè) per addormentare il Mezzogiorno! Brunetta però scopre che l'Antimafia nuoce alle imprese;



in un Paese libero e liberale i lacci della legalità sono il loro certo incaprettamento. Nello stesso spirito, Lunardi precursore suggeriva la formale convivenza con la mafia. Non è questione morale anche questa?
Il nodo resta comunque la crescita, e qui i consigli si sprecano: e non è a volte facile intenderli perché le voci si accavallano e laddove emerge qualche idea è presto sepolta dagli interpreti, siano essi teologi, casisti o meri apologeti. Al solito, in un clima di litigi sospettosi (a tanto si limita la politica italiana), torna la sfida delle emergenze. Cosa mettere ai primi posti? Il lavoro ai giovani o la ricerca come via nobile alla produttività, questa dea di un capitalismo che ha tanti sacerdoti e pochissimi fedeli?
E non è questa crisi mondiale criptogenetica (leggi, figlia di cause che ignoriamo)? Sulla confusione accresciuta ad arte par dominare l'idea saggia che non ci siano eredi se i padri (o le madri) non sono morti; ed è meglio la successione per testamento che ab intestato. Perciò Alfano si schiera per la tenuta di Berlusconi e del governo, di Berlusconi trascinatore per quasi 20 anni e che ora bisogna assistere, così come bisogna difendere la casta e il Parlamento dalla erosione dell'antipolitica che cavalca con esiti clamorosi i cavalli selvaggi del referendum.
Detta in soldoni, non ci può esser «buona politica» se mettiamo da canto i politici, virtuosi o viziosi poco importa: è fin troppo frequente nella cultura e nella pratica della cultura europea l'ammissione che molti vizi privati generano o si convertono in pubbliche virtù. Come spiegare altrimenti una pronunzia del Parlamento che autentica una prostituta marocchina come «figlia di Mubarak»? O i reiterati tentativi di far scudi per sottrarre ai pm poteri abusati di governo? O far passare una «legge bavaglio» che tolga a magistrati e giudici l'arma delle intercettazioni?
E' vero: occorre restituire moralità alla politica che per definizione e tradizione non può esser «morale», e l'unica via è far «buona» politica - una politica che scelga a stella polare gli interessi generali. Ma non è presupposto di ogni, purchessia interesse generale l'esistenza stessa, la scelta «per merito» dei politici? Il caso italiano è da manuale: per quasi 20 anni, attraverso compromessi e aggiustamenti, Berlusconi ha cercato di costruire uno strumento efficace per attinger la soglia della «buona politica», e far dell'Italia nuovissima attrice e testimone della sua rivoluzione liberale. Ora - mentre i fedeli invocano il ritorno alla chiesa delle origini - il nuovo Lutero lancia l'anatema sui pm e sulla stampa che non gli avrebbero consentito di governare il paese, ancor meno di rigenerarlo attraverso la buona politica.
Profeta disarmato allora? Il confronto con gli esempi più citati, Savonarola e Lutero, non tiene. Giacchè, via via che la profezia impallidiva, e diminuivano i portatori di attese, le armi di offesa e difesa si moltiplicavano: il guerriero chiamava il vigore sessuale a compenso della politica impotenza. «Futtiri è megghiu di cumannari…». Ma la scoperta che il dominio vero era esercitato su prostitute, poco importa se per danaro o favori, ha mostrato la precarietà dell'intero sistema: e il trasformismo è stato chiamato a nasconderla, piuttosto che a curarla. Non ha senso in siffatto contesto pensare a larghe intese o a governi di emergenza. Ancora meno, al «beau geste» di scusarsi col Paese per qualche non commendevole eccesso privato, o alla possibilità di guardare indietro per (ri)cominciare: gli avversari sostengono che il governo e la presente maggioranza sono lontanissimi dai traguardi della «buona politica» per abilitare questa ad assorbire l'immoralià di comportamenti individuali (e qui con Berlusconi stanno i tanti, troppi inquisiti).
Restano solo le buone intenzioni: i numeri delle cose fatte, cui sono stati chiamati a dire pressocchè tutti i ministri - da Sacconi a Brunetta, dalla Brambilla a Frattini, da Tremonti alla Gelmini: e si oscilla dalle 8 alle 20 «cose già fatte». Ho escluso Fitto, pugliese, per l'impegno pari almeno a quello dei siciliani nel fare sparire il Mezzogiorno. Napolitano se l'è presa con Bossi e la Lega autodeterminata, ma non può avere ignorato la singolare ipotiposi del ministro dello Sviluppo Romani: se per un momento dividiamo in due l'Italia, vedremmo che il Mezzogiorno è da tempo «Grecia» e il Centro-Nord attinge valori ben superiori alla Germania locomotiva dell'Europa e dell'euro. Siamo ben oltre il Lombardo-Veneto di Bossi! Come non trovar patetica la denuncia del presidente della Repubblica: «L'Italia o cresce tutta assieme o insieme rischia di affondare»?
E' simbolicamente significativo il modo con cui l'ultimo rapporto Svimez, di un istituto degradato da laboratorio a modesto Centro studi, rappresenta quella che per alcuni decenni abbiamo chiamato la «questione meridionale». Leit-motiv come misuratore e come prospettiva la cosidetta emigrazione intellettuale: ma il Sud non è da tempo in grado di «educar cervelli», e l'unificazione economica dell'Italia sognata da Saraceno è andata in soffitta da più di un quarto di secolo.
Come ogni superstite del meridionalismo che fu, sono assediato da ricordi e affetti congiunti: a Monaco e a Ginevra, a Berlino e a Francoforte ho incontrato allievi della mia Facoltà che avevan trovato fortuna nel settore dell'alimentazione. Ma torna soprattutto il volto del giovane calabrese rivisto per caso nella maggior piazza di Francoforte: era stato assunto in un centro di quel Max Planck Institut, ma ci fermammo a ricordare l'occasione del nostro incontro a Gioia Tauro negli anni '80. Il Formez, una delle tante agenzie operanti nel settore della formazione, mi aveva chiesto di partecipare ad un incontro con giovani nel tempo della discussa creazione di quel porto canale. Avrei dovuto convertire quei giovani, tutti laureati e taluni con esperienza europea, alla sfida della modernizzazione; in apertura fu proprio il giovane ricercatore presto emigrato a parlare per tutti: Siamo pronti a vestire l'abito che ci proponete, sia di amici calorosi della modernità o di stolidi tutori della tradizione.
Ma, professore, il lavoro ce lo date? Trent'anni dopo aspettano la risposta della buona politica; e han visto la questione meridionale diventar parte della questione morale - corruzione, clientelismo, mafia, vizi privati non convertibili a pubbliche virtù.
Eppure il futuro e la speranza di almeno due o tre generazioni meridionali si affidano ancora alla conoscenza e alla competenza, che sappiano far tesoro delle straordinarie «integrazioni» e rivoluzioni culturali nella scuola e fuori della scuola. La società italiana, e in particolare la società meridionale è maturata fuori e in molti casi contro la politica: quando però la buona politica e la congiunta morale torneranno nel nostro cielo, essa potrà raccogliere i frutti della conseguita maturità. Tassi anche alti di emigrazione intellettuale sono presenti in tutta la storia del nostro Mezzogiorno. L'augurio è che questo processo, oggi messo in discussione, non assuma i caratteri rovinosi che ritardi errori e colpe minacciano. Fate presto, fate presto…

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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