PALERMO - È un paradosso siciliano ante litteram. Nel 1881 l'ingegnere Luigi Pappalardo cominciò a scavare nella valle del fiume Gela trovando i primi resti di quello che sarebbe diventato il monumento simbolo della Sicilia, la Villa romana del Casale di Piazza Armerina. Quei mosaici, portati alla luce nella loro interezza in successive campagne di scavo durate fino agli anni Cinquanta, erano perfettamente conservati grazie a migliaia di tonnellate di fango precipitato dai costoni sovrastanti a causa del disboscamento dissennato praticato da chi aveva abitato quei luoghi. Avevano resistito ai Vandali, ai Goti e alla furia devastatrice del re normanno Guglielmo "il Malo", che nel XII secolo rase al suolo quanto restava della residenza patrizia di Massimiano Erculeo, tetrarca di Diocleziano incaricato di importare le bestie feroci per i giochi di Roma, che in quel luogo era andato a ritirarsi una volta esautorato dall'imperatore.
Guarda i mosaici restaurati
E forse sono stati proprio gli occhi di Massimiano — o di Proculo Papulonio, altro probabile proprietario della domus — gli ultimi a vedere quei mosaici e quei pavimenti nello splendore di colori e di fantasia in cui appaiono oggi, dopo un restauro lungo sei anni. Diciotto milioni di spesa, per tre quarti a carico dell'Ue, per ridare il lustro che il sito simbolo dell'archeologia siciliana aveva perso da troppo tempo: fino a pochi anni fa le celeberrime scene di caccia, le fantasiose figure zoomorfe, le incantevoli geometrie delle decorazioni destinate a conquistare il turista, apparivano offuscate da una patina grigiastra, qua e là chiazzata da gocce d'acqua e macchie di umidità, chiuse in una teca infernale di metallo, vetro e plastica in cui il caldo d'estate e il freddo d'inverno erano capaci di rendere la visita un autentico tormento. Al di là del fatto che la luce, filtrata dalle coperture, stravolgeva i colori già resi uniformi dai depositi superficiali. Particolari che avevano mandato su tutte le furie lo scrittore Vincenzo Consolo, che nel 2004 aveva confidato proprio a "Repubblica" tutta l'amarezza provocata da una sua visita a Piazza Armerina.
Guarda il confronto tra prima e dopo
Da allora a oggi il progetto di recupero, elaborato dal gruppo del Centro regionale del restauro coordinato dal direttore del Parco archeologico Guido Meli, e messo in atto da cinquanta giovani restauratori di tutta Europa diretti da Roberta Bianchini, si è finalmente concluso. E mercoledì si rivelerà al pubblico. Un progetto sul quale aveva scommesso il commissario straordinario della Villa, il critico d'arte Vittorio Sgarbi, e da par suo contrassegnato da feroci polemiche, scontri e battaglie.
Guarda il video
Ora la struttura-fornace di protezione degli anni Sessanta è stata rimossa e sostituita con una copertura ventilata in legno, che rende giustizia a un patrimonio decorativo unico in Italia, realizzato tra il III e il IV secolo dopo Cristo da artisti nordafricani di incredibile maestria, gli stessi che portarono in Italia l'arte del mosaico. "Il momento più difficile — spiega Meli — è stato sicuramente la posa della copertura, perché essendo una struttura prefabbricata, abbiamo dovuto risolvere una serie di problemi per incastrare i vari pezzi e montarla alla perfezione".
Un vero e proprio polmone capace di far respirare mosaici e affreschi e mantenere il microclima ideale. Come i maestri africani, i cinquanta restauratori hanno lavorato chini sui 120 milioni di tessere, ripulendole una per una della patina di finitura, che si è scoperto essere poi la causa della proliferazione di funghi, incrostazioni e microalghe, combinata con l'effetto serra della copertura.
Ora resta il problema dei visitatori, nell'ultimo anno dimezzati rispetto alla media annua di 500 mila presenze a causa del cantiere infinito. Un calo di cui ha risentito non poco anche l'economia del luogo e l'indotto generato dal turismo. "Il nostro è stato uno sforzo enorme — dice l'assessore regionale ai Beni culturali Sebastiano Missineo — perché la Villa non è mai stata chiusa del tutto. Stiamo riconsegnando al mondo un sito più bello. E ci sarà anche l'opportunità di visitare la villa anche di sera, una suggestione straordinaria che speriamo contribuisca a riportare i visitatori ai numeri precedenti, anzi li superi". E Missineo, incurante dell'annuncio di dimissioni del governatore Lombardo per fine luglio, rilancia: "Il nostro obiettivo è di raggiungere almeno 600 mila presenze ogni anno".
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E forse sono stati proprio gli occhi di Massimiano — o di Proculo Papulonio, altro probabile proprietario della domus — gli ultimi a vedere quei mosaici e quei pavimenti nello splendore di colori e di fantasia in cui appaiono oggi, dopo un restauro lungo sei anni. Diciotto milioni di spesa, per tre quarti a carico dell'Ue, per ridare il lustro che il sito simbolo dell'archeologia siciliana aveva perso da troppo tempo: fino a pochi anni fa le celeberrime scene di caccia, le fantasiose figure zoomorfe, le incantevoli geometrie delle decorazioni destinate a conquistare il turista, apparivano offuscate da una patina grigiastra, qua e là chiazzata da gocce d'acqua e macchie di umidità, chiuse in una teca infernale di metallo, vetro e plastica in cui il caldo d'estate e il freddo d'inverno erano capaci di rendere la visita un autentico tormento. Al di là del fatto che la luce, filtrata dalle coperture, stravolgeva i colori già resi uniformi dai depositi superficiali. Particolari che avevano mandato su tutte le furie lo scrittore Vincenzo Consolo, che nel 2004 aveva confidato proprio a "Repubblica" tutta l'amarezza provocata da una sua visita a Piazza Armerina.
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Da allora a oggi il progetto di recupero, elaborato dal gruppo del Centro regionale del restauro coordinato dal direttore del Parco archeologico Guido Meli, e messo in atto da cinquanta giovani restauratori di tutta Europa diretti da Roberta Bianchini, si è finalmente concluso. E mercoledì si rivelerà al pubblico. Un progetto sul quale aveva scommesso il commissario straordinario della Villa, il critico d'arte Vittorio Sgarbi, e da par suo contrassegnato da feroci polemiche, scontri e battaglie.
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Ora la struttura-fornace di protezione degli anni Sessanta è stata rimossa e sostituita con una copertura ventilata in legno, che rende giustizia a un patrimonio decorativo unico in Italia, realizzato tra il III e il IV secolo dopo Cristo da artisti nordafricani di incredibile maestria, gli stessi che portarono in Italia l'arte del mosaico. "Il momento più difficile — spiega Meli — è stato sicuramente la posa della copertura, perché essendo una struttura prefabbricata, abbiamo dovuto risolvere una serie di problemi per incastrare i vari pezzi e montarla alla perfezione".
Un vero e proprio polmone capace di far respirare mosaici e affreschi e mantenere il microclima ideale. Come i maestri africani, i cinquanta restauratori hanno lavorato chini sui 120 milioni di tessere, ripulendole una per una della patina di finitura, che si è scoperto essere poi la causa della proliferazione di funghi, incrostazioni e microalghe, combinata con l'effetto serra della copertura.
Ora resta il problema dei visitatori, nell'ultimo anno dimezzati rispetto alla media annua di 500 mila presenze a causa del cantiere infinito. Un calo di cui ha risentito non poco anche l'economia del luogo e l'indotto generato dal turismo. "Il nostro è stato uno sforzo enorme — dice l'assessore regionale ai Beni culturali Sebastiano Missineo — perché la Villa non è mai stata chiusa del tutto. Stiamo riconsegnando al mondo un sito più bello. E ci sarà anche l'opportunità di visitare la villa anche di sera, una suggestione straordinaria che speriamo contribuisca a riportare i visitatori ai numeri precedenti, anzi li superi". E Missineo, incurante dell'annuncio di dimissioni del governatore Lombardo per fine luglio, rilancia: "Il nostro obiettivo è di raggiungere almeno 600 mila presenze ogni anno".
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Agostino da iPhone