domenica 24 marzo 2013

Murayo, la sua storia e la Boldrini. Una straordinaria ed incredibile vicenda di vita.

LA STORIA. Una ragazza somala - che vive a PIAZZA ARMERINA - assieme al neo-presidente della Camera Boldrini in una favola multietnica
«Grazie a “mamma” Laura mi ritrovo con due papà»
Murayo: «Fra poco mi laureo, ora la mia felicità è a Piazza Armerina»
di Mario Barresi da La Sicilia





Piazza Armerina. E alla fine è il povero fidanzatino, il personaggio più stordito - ma nonostante tutto innamorato pazzo - in questa meravigliosa favola in cui lui fa la parte del principe azzurro. Da tre anni e mezzo il fortunato ragazzo - il cui nome è top secret - sta con Muraya. Che però veramente si chiama Murayo, «ma da quando sono in Italia ho aggiunto la "a" perché è più femminile». Di cognome fa Torregrossa, è bella, ha 23 anni, vive a Piazza Armerina, assieme ai genitori adottivi, Mauro e Patrizia, e sta per laurearsi. Fino all'anno scorso la coppia aveva festeggiato il compleanno della fidanzatina il 10 gennaio. Ma in realtà lei di anni ne ha 26, è nata il 29 settembre: credeva di essere Capricorno e invece e Bilancia. E il nome vero è Murayo Mahad Mohamed Aden, e discende dai "Glan Geel", gli «amanti del cammello». E, se un giorno dovessero coronare il loro sogno di 
sposarsi, il giovanotto all'altare si vedrà sbucare ben due suoceri, perché da un anno Murayo ha scoperto che è ancora vivo il suo papà naturale, un somalo che vive in un campo per rifugiati in Kenya. Dove la giovane studentessa piazzese ha riabbracciato anche la sorella Hambio e le sue quattro figlie, tutte femmine.
Cosa si aspettava, lo sventurato, da una ragazza il cui nome in somalo significa "specchiarsi"? Ma, chiedendo scusa al giovane ennese per l'ironia, questa è soltanto la parte più leggera di una storia di straordinaria profondità. Che Murayo ha scritto assieme al neo-presidente della Camera, Laura Boldrini, all'epoca portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Un film a lieto fine in cui la «dottoressa» - così la ragazza chiama ancora il suo angelo custode - ha il ruolo della "mamma" coraggiosa e affettuosa.
Allora, proviamo a farla breve. Anche se non è facile. Somalia, 1993. Una bambina, gravemente malata, viene lasciata in un ospedale militare italiano per essere curata. Il padre va a visitarla una volta e poi sparisce. Vorrebbe tornare, ma non ci riesce. La bimba diventa la mascotte dell'accampamento fino al momento del ritiro del contingente italiano. «Ero una vera furbacchiona - racconta oggi Murayo - e avevo imparato l'arte di arrangiarmi. Ora mio papà mi ripete sempre: "Tanto sperta eri in Somalia, tanto babba sei diventata adesso". Quello che chiama «mio papà» è Mauro Torregrossa, il militare (oggi luogotenente dell'Esercito) che avrebbe dovuto accompagnarla all'orfanotrofio di Mogadiscio. Ma no, proprio non se la sente di abbandonarla: le vuole bene e decide di portarla con sé in Italia. Murayo arriva in Sicilia, diventa il l'ombelico raggiante di una nuova famiglia, assieme a mamma Patrizia Arrostuto, assistente amministrativa in una scuola di Piazza, e al fratello Giuseppe, anch'egli militare di carriera. La ragazza è serena, convinta di aver perso tutti i suoi cari. E la Somalia è una cartolina, colorata e confusa.
Fino a 14 anni dopo, fino al 9 giugno del 2008. Durante una puntata di Chi l'ha visto? dedicata ai rifugiati somali in un campo in Kenya, spunta un somalo, che mostra alle telecamere alcune foto di lei bambina e le chiede di mettersi in contatto. «Chiamai Muraya e le urlai di venire subito», racconta la mamma. Che racconta come quella sera «non volevo nemmeno vederla, quella trasmissione, perché in tv c'era la partita Italia-Olanda e sapevo che mio marito, in missione in Kosovo, l'avrebbe guardata pure». Muraya, un po' scontrosa, entrò in salotto e vide quell'inquadratura: «Ma sono io... quello è mio padre... Te lo avevo detto che non era morto. E quella è mia sorella», disse a mamma Patrizia stringendola. Prende il telefono e chiama in tv: «Buonasera, sono io la bimba somala della foto», ammette. E poi subito, con il cuore che batte a mille e il temperamento da peperina: «Ma perché mio padre ci ha messo tanto a trovarmi? ».
Per la famiglia siciliana fu un altro choc, ben più pesante di accogliere la nuova figlia in casa. Ma è qui che esce fuori l'amore vero, puntellato dalla paura. E arricchito dalla comparsa di un'altra donna: Laura Boldrini, allora portavoce Onu per i rifugiati, ospite in studio in quella trasmissione. E adesso pronta ad accompagnare la ragazza in questo ritorno alle radici. Emozionante quanto pericoloso: «La percepivamo come una minaccia - raccontano i Torregrossa parlando della Boldrini - perché temevamo che a causa sua nostra figlia si sarebbe allontanata da noi. La odiavamo, quasi... ».
Un purgatorio durato quasi quattro anni. Aprile 2012: Murayo e Laura partono per il Kenya. Destinazione: il passato. «Io e mio padre - racconta la ragazza - non ci siamo detti nulla, ci siamo soltanto abbracciati». Poi, dopo le lacrime, la domanda che covava da anni: «Ma la mamma che fine ha fatto, è morta vero? ». Con un altro silenzio di ammissione e la macchina del tempo che li porta ai primi Anni 90, quando erano una famiglia felice e Suban ("concentrato di bellezza", in somalo) era ancora viva. Pochi giorni, una vita intera che scorre davanti. E poi il ritorno a casa. Quella nuova, quella solida, quella dov'è riempita di amore. Giusto il tempo di rassicurare Mauro e Patrizia e poi di nuovo sui libri. «Mi manca poco per la laurea in Scienze erboristiche, a Farmacia. Il mio sogno è diventare aromaterapista. Con i massaggi ci so fare, anche quand'ero piccola li facevo. Con i piedini e le manine».
La second life di Murayo continua. Con gli "squilli" intercontinentali col papà somalo («Se mi risponde al telefonino e dice "hello" partono già due euro... ») e tutta la vita davanti. E «la dottoressa Boldrini» che la vede crescere da lontano. «Sono stata la più felice del mondo quando l'hanno eletta, sono certa che è la persona migliore per far ripartire al meglio l'Italia, dando voce ai più deboli, a chi ha più bisogno», giura la futura dottoressa Murayo. Ricorda ancora quel viaggio assieme («chiacchieravamo in continuazione, come una madre e una figlia») e non vede l'ora di rincontrare il presidente Boldrini. Murayo ha la sua vita, «come una qualunque ventitreenne italiana, felice e disperata, in cerca del suo futuro». Un domani in cui vorrebbe avvicinarsi ai suoi cari ancora in Kenya («Forse mia sorella avrà un visto per due anni in America, speriamo che anche mio padre possa arrivare in Europa presto»). Ma lei, la somala-piazzese dagli occhi furbi, ha un'arma in più. Quel biglietto di papà Mahad, il mantra della sua vita: «Solo le montagne non si incontrano mai, cara figlia mia». E adesso può anche scalarle, se vuole, le cime tempestose della vita.
m. barresi@lasicilia. it

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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