sabato 3 luglio 2010

L'omelia del Vescovo Pennisi nel giorno del suo VIII anniversario dall'ordinazione.

Festa di San Tommaso 2010 VIII Anniversario ordinazione episcopale 3.7.10


Carissimi confratelli, Gentili Autorità, carissimi fratelli e sorelle, che oggi siete venuti per ringraziare con me il Signore in occasione dell’ottavo anniversario della mia ordinazione episcopale e del 193° anniversario dell'erezione della nostra Diocesi , Vi saluto con tanto affetto e riconoscenza.
La festa di San Tommaso, l’ apostolo assenteista e incredulo che, dopo aver visto il Signore Risorto e toccato le sue ferite , si apre ad una fede adorante che gli fa esclamare: ”mio Signore e mio Dio”,(cfr. Gv 20, 24-29) ci aiuta a superare la nostra incredulità e ci richiama al fondamento apostolico della nostra Chiesa , come famiglia di Dio dove nessuno è straniero e ospite ma tutti siamo figli dello stesso Padre, fratelli in Gesù Cristo, animati dallo Spirito santo,” concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti”(Ef 2,19-20)
Oggi, dopo aver fatto con un gruppo di sacerdoti un pellegrinaggio ad Ars, dove ha esercitato il suo mistero di parroco San Giovanni Maria Vianney, e dopo aver parte alla concusione dell’Anno Sacerdotale assieme al Santo Padre Benedetto XVI a centinaia di vescovi e a migliaia di presbiteri abbiamo , voluto concludere nella nostra Diocesi quest’anno di grazia che si concluderà con il nostro affidamento a Maria SS. delle Vittorie, regina degli Apostoli e madre nostra tenerissima.
In questo anno tutta la Chiesa è stata chiamata comprendere nuovamente la bellezza e la grandezza del ministero sacerdotale che non è semplicemente «ufficio» ma un sacramento: un segno visibile e fragile di cui Dio si serve per essere presente per gli uomini e donare la sua grazia.
La forza del prete sta nella sua debolezza: è il suo esistere per gli altri che lo rende credibile. Così lo descrive un testo medioevale: “Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito, come di sangue reale, semplice e naturale, come di ceppo contadino, un eroe nella conquista di sé, un uomo che si è battuto con Dio, una sorgente di santificazione, un peccatore che Dio ha perdonato, dei suoi desideri il sovrano, un servitore per i timidi e per i deboli, che non s’abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri, discepolo del suo Signore, capo del suo gregge, un mendicante dalla mani largamente aperte, un portatore di innumerevoli doni, un uomo sul campo di battaglia, una madre per confortare i malati, con la saggezza dell’età e la fiducia d’un bambino, teso verso l’alto, i piedi sulla terra, fatto per la gioia, esperto del soffrire, lontano da ogni invidia, lungimirante, che parla con franchezza, un amico della pace, un nemico dell’inerzia, fedele per sempre...”( da un manoscritto trovato a Salisburgo).

Oggi vogliamo risvegliare la gioia della nostra ordinazione sacerdotale, e la nostra gratitudine al Padre di ogni dono che ha avuto l’audacia di affidarsi alla nostra debolezza, nascondendo la potenza della sua grazia “in vasi di creta” e facendo di ciascuno di voi nostri collaboratori per l’esercizio del sacerdozio apostolico.
La fedeltà a Cristo , che è stato la parola d’ordine dell’anno sacerdotale non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa. “Per questo la carità pastorale esige che i presbiteri, se non vogliono correre invano, lavorino sempre in stretta unione con i vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio» (PO 14).
Oggi la contemporanea celebrazione dell’anniversario dell’erezione della nostra Diocesi e della mia ordinazione episcopale e la conclusione dell’anno sacerdotale ci da l’occasione di mettere in evidenza il rapporto fra Chiesa particolare, vescovo e Presbiterio.
Attraverso l’ordinazione presbiterale siamo stati inseriti sacramentalmente dentro l’ordine dei presbiteri che vuole significare la nostra sacramentale appartenenza alla nostra comunione sacerdotale dentro il presbiterio diocesano.
La fraternità dei sacerdoti fra loro e la comunione piena e leale col Vescovo sono un segno eloquente dell’amore, voluto da Gesù come caratteristica dei suoi discepoli. Lo statuto ministeriale dei presbiteri è quello di essere cooperatori del vescovo come afferma la “Lumen Gentium”: «I presbiteri, premurosi collaboratori dell’ordine episcopale, suo aiuto e strumento, chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono insieme col loro vescovo un unico presbiterio destinato a diversi uffici. In ogni singola assemblea locale di fedeli essi rendono in qualche modo presente il vescovo, col quale restano uniti con fiducia e magnanimità, e del quale assumono per la loro parte funzioni e responsabilità, che poi esercitano nella cura quotidiana» (28).
Questo richiede che un prete non si consideri un battitore libero o unicamente dedicato alla cura di una parrocchia o di un altro ufficio con il rischio di impostazioni pastorali particolaristiche, ma responsabile in qualche modo della pastorale diocesana e di quella cittadina. Un presbitero non può esimersi dal contribuire, personalmente e nei fatti, alla realizzazione della dimensione collegiale del suo presbiterio.
Come sacerdoti a cui è stato rivelato Cristo Crocifisso come la Verità che illumina l’esistenza e la Via giusta verso la Vita eterna siamo chiamati ad essere “collaboratori della gioia” e non “padroni” della fede(cfr.2 Cor 1,4) dei fedeli che siamo chiamati a servire .
Carissimi presbiteri oggi voglio richiamare alla vostra attenzione il messaggio che noi vescovi delle Chiese che sono in Italia vi abbiamo rivolto in occasione dell’ultima assemblea generale nel quale vi abbiamo espresso la nostra gratitudine e quella dell’intero popolo di Dio, vi abbiamo invitati alla conversione e abbiamo voluto darvi una parola di incoraggiamento per essere ancora più uniti nel condividere l’impegno e la gioia del ministero a servizio delle nostre Chiese e del Paese.

“Vogliamo esprimervi la nostra cordiale stima e vicinanza, ispirata dalla comune responsabilità ecclesiale. La nostra vuole essere, anzitutto, una parola di gratitudine. La gloria di Dio risplende nella vostra vita consumata nella fedeltà al Signore e all’uomo, perché siete pazienti nelle tribolazioni, perseveranti nella prova, animati da carità, fede e speranza. Noi siamo fieri di voi! Il bene che offrite alle nostre comunità nell’esercizio ordinario del ministero è incalcolabile e, insieme ai fedeli, noi ve ne siamo grati. La vostra consolazione non dipenda dai risultati pastorali, ma attinga alla presenza amica dello Spirito Paraclito e alla partecipazione al calice del Signore, dal cui amore siamo stati conquistati.

Siamo tutti invitati a perseverare nel cammino di conversione e di penitenza. La vocazione alla santità ci spinge a non rassegnarci alle fragilità e al peccato. La Chiesa ci affida il Vangelo che illumina i nostri passi, corregge le nostre derive, ispira i pensieri e i sentimenti del cuore e sostiene il desiderio di bene presente nell’animo di ciascuno. La chiamata che ci ha afferrato e plasmato ci aiuterà a superare anche le tribolazioni di questo tempo, corrispondendo con rinnovato slancio al mandato che ci è stato affidato.

E’ necessaria una conversione personale ma anche comunitaria ad intessere relazioni nuove e ad una mentalità missionaria nuova che si faccia carico dei cosiddetti “lontani” che per noi sono sempre vicini perché vicini al cuore di Gesù Cristo Buon Pastore.

È, infine, una parola di incoraggiamento. Quando il Signore ha inviato i discepoli in missione ha detto loro: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Non ci ha promesso una vita facile, ma una presenza che non verrà mai meno. Senza di lui siamo nulla e non possiamo fare niente; dimorando in lui i nostri frutti saranno abbondanti e duraturi. La sua compagnia non ci mette al sicuro dagli attacchi del maligno né ci rende impeccabili, ma ci assicura che il male non avrà mai l’ultima parola, perché chi si fa carico del proprio peccato può sempre rialzarsi e riprendere il cammino”.

In questa celebrazione vogliamo rendere grazie al Signore per l'opera della sua grazia e vogliamo prepararci al nuovo anno pastorale che per la Sicilia avrà un evento importante come la visita del Santo Padre Benedetto XVI a Palermo il prossimo 3 ottobre, preceduta da un convegno regionale che vedrà coinvolti assieme i giovani e le famiglie.

Dobbiamo continuare il cammino intrapreso con il Convegno pastorale diocesano sul tema: “ Chiesa comunione di persone . Da ‘collaboratori’ a ‘corresponsabili’: il dono della relazione filiale e fraterna.

Per una pedagogia pastorale che educhi alla relazione bisogna realizzare relazioni interpersonali attente a ogni persona capaci di ascolto e di reciprocità senza sacrificare la qualità del rapporto personale all’efficienza dei programmi.

I pastori siamo invitati ad ascoltare i laici, valorizzando nei carismi e le competenze e rispettandone le opinioni.

I laici devono accogliere con animo filiale l’insegnamento dei pastori come un segno della sollecitudine con cui la Chiesa si fa vicina e orienta il loro cammino.

Superando contrapposizioni di tipo sociologico è importante in un’ottica autenticamente cristiana prendere coscienza che tra pastori e laici, esiste un legame profondo, per cui è possibile solo crescere o cadere insieme.

La corresponsabilità, è un’esperienza che dà forma concreta alla comunione, attraverso la disponibilità a condividere le scelte che riguardano tutti. Essa ha un luogo concreto di esercizio nella partecipazione agli organismi di partecipazione ecclesiale. La corresponsabilità va esercitata nel vedere la situazione reale poi nel discernimento comunitario, nel giudizio ispirato dalla fede, nella decisioni pastorali conseguenti, nelle attività pastorali e poi nella verifica comunitaria. Per la conoscenza della situazione reale ci potrà essere utile la recente pubblicazione della ricerca sulla pratica religiosa e sulla presenza delle minoranze religiose nella nostra Diocesi, che dovrà favorire una maggiore attenzione al Giorno del Signore e un maggiore impegno nel dialogo ecumenico e interreligioso.

La comunione ecclesiale richiede una pastorale d'insieme sempre più “integrata” non come “un’operazione di pura ingegneria ecclesiastica” richiesta dalla esiguità delle forze in campo, ma come espressione della corresponsabilità diffusa che nasce dalla “spiritualità di comunione” e dalla conversione pastorale con stile missionario delle nostre comunità. Siamo troppo spesso “separati in casa”, non sempre dentro una comune progettualità, con uno spreco di energie umane non indifferenti. Un’eccessiva frammentazione e strutturazione della pastorale, non riesce a farsi carico della vita reale delle persone, né riesce a unificare le diverse esigenze esistenziali, anzi, a volte sembra, che crei disorientamento e soffochi gli slanci e le energie vive.La concretizzazione della “pastorale integrata” dovrebbe armonizzare tutte le energie di cui la comunità ecclesiale dispone, facendole confluire, dentro progetti comuni, pensati e realizzati insieme. In questa direzione dovrebbe muoversi il “Direttorio liturgico-pastorale” per il quale abbiamo istituito una speciale commissione.

All’interno della nuova prassi della corresponsabilità c'è la valorizzazione delle vocazioni dei fedeli laici e un rinnovato impegno per sviluppare una più ampia e profonda opera formativa dei laici – singoli e aggregati – che assicuri loro quell’animazione spirituale, quella passione pastorale e quello slancio culturale che li rende pronti nella loro tipica testimonianza al servizio del bene comune, specialmente in campo familiare, sociale, economico, culturale, mediatico e politico.

Per la concretizzazione della scelta pastorale della Chiesa italiana per il prossimo decennio centrata sull’educazione è necessaria l’opera paziente e qualificata di educatori credibili e autorevoli, capaci di 'generare' in un conte¬sto di fiducia, di libertà e di verità e un’alleanza educativa tra famiglie, parrocchie, istituti di vita consacrata, aggregazioni ecclesiali, scuole,istituzioni pubbliche.

A proposito della preziosa presenza degli Istituti di vita consacrata nella nostra Diocesi ho la gioia di annunciarvi che , in locali messi generosamente a disposizione dalla parrocchia San Pietro in Piazza Armerina, è iniziata la presenza della Congregazione del Figlio di Dio, fondata nella diocesi africana di Luiza, i cui membri sono chiamati ad essere servitori della comunità cristiana al servizio dell’evangelizzazione nei settori più vari.

A conclusione di quest’anno sacerdotale vogliamo chiedere al Padrone della messe, per l’intercessione della Madonna e dei santi che abbiamo invocato all’inizio, nuovi operai e vogliamo bussare al cuore dei giovani perché rispondano generosamente alla chiamata di Dio al sacerdozio, al diaconato e alla vita consacrata.

Grati verso la SS. Trinità, imploriamo che il sacerdozio regale dei battezzati e quello ministeriale dei presbiteri faccia della nostra vita un offerta gradita al Signore nella certezza della sua presenza in mezzo a noi e del dono senza misura della consolazione dello Spirito Santo.

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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