lunedì 1 novembre 2010

Il vescovo Pennisi per la commemorazione dei defunti: "Oggi si rischia di perdere il senso della vita e della morte"

Oggi siamo riuniti in questo cimitero che significa “luogo del riposo” per la Commemorazione di tutti i defunti, che stabilisce un rapporto intenso tra noi cristiani viventi e quanti hanno superato la soglia dell’aldilà. Oggi ricordiamo con affetto i nostri cari defunti: il loro volto, il loro sorriso, la loro generosità, le loro fatiche!

Per la fede cristiana la morte è come un sonno in attesa della risurrezione.
Il riposo eterno che noi auguriamo ai defunti nella preghiera, non è il sonno che segna lo scacco implacabile della vita umana travolta dall’abisso della morte, ma il riposo illuminato dalla luce della speranza cristiana che trova nella certezza di essere accolti fra le braccia del Padre ricco di misericordia il fondamento ultimo.

Ciò che unisce noi vivi con i nostri defunti che sono i viventi per l’eternità è il legame di amore che trova in Cristo morto e risorto l’anello fondamentale di questa lunga catena.
Nella fede il ricordo dei nostri cari defunti si trasforma in comunicazione: li crediamo vivi, accolti nella misericordia di Dio, e attraverso Cristo capaci ancora e più di prima di un legame e di un rapporto che noi chiamiamo "comunione dei santi".
Questo atteggiamento contrasta con l'antica leggenda di origine celtica di Halloween, ripresa dall’America a fini consumistici e trasformata in una carnevalata, secondo la quale la notte del 31 ottobre le anime dei morti tornano sulla terra e cercano di entrare nei corpi dei vivi. È dunque per difendersi dalle anime dei morti che i vivi dalla zucca vuota si mascherano da fantasmi con zucche svuotate e vagano nella notte . Al fondo di questa carnevalata ci sta la paura di ciò che i morti potrebbero fare ai vivi.
La tradizione cristiana ci parla invece della vicinanza e della familiarità che continua con i nostri cari dopo la morte, che in Sicilia si esprime nella tradizione che considera i parenti defunti portatori di doni ai bambini.
Il nostro incontro con i morti si inserisce in quella “comunione dei santi” che rende possibile uno scambio di doni. Infatti, ai nostri defunti noi offriamo oggi – insieme al ricordo intessuto di riconoscenza, di rimpianto, e anche di dolore – la nostra preghiera di suffragio. A nostra volta, dai defunti noi ci attendiamo la loro vicinanza, la loro intercessione e, in un certo senso, il loro richiamo che riguarda il senso della nostra vita e nostra morte.
S. Agostino esclama: "Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, ma sono dei presenti invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria fissi nei nostri occhi pieni di lacrime".
La nostra società è passata lentamente, dalla familiarità con la morte, alla morte nascosta e mascherata, o addirittura rifiutata e rimossa. Oggi assistiamo ad un persistente atteggiamento d’imbarazzo da parte della “cultura pubblica”, nei riguardi del mistero della morte.
Il disagio di fronte al mistero della morte è uno dei segnali più evidenti della perdita di senso, del progressivo e diffuso scivolamento da una visione di fede alla riduzione materialistica dell’esistenza umana, della difficoltà a elaborare una visione integrale del destino umano che non finisce con il termine della vita fisica. In modo ancora più decisivo e radicale questo oscuramento culturale ed esistenziale della morte evidenzia la perdita di fiducia nella salvezza che viene da Dio, nella redenzione e nella grazia.
Oggi si rischia di perdere il senso della vita e della morte.
Se oggi per alcuni la vita non vale nulla , se genitori e figli si ammazzano come bestie, se si ripetono assurdi gesti di violenza contro persone innocenti come i cristiani inermi che partecipavano alla messa nella cattedrale di Bagdad, non è forse perché non sappiamo più perché si vive e perché si muore?
Per noi cristiani la morte invece non fa più paura perché Gesù è risorto ed ha vinto la morte e da a noi la possibilità di partecipare a questa sua importantissima vittoria.
La morte sarà un aprire gli occhi di colpo su ciò che alla fine conta o non conta nella vita.
"Il Signore - dice la prima lettura - strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti". Giunti davanti a Dio immediatamente sarà tolta la maschera, crollerà tutto il castello di menzogne, di falsi valori, di ipocrisie, di deviazioni che gli uomini hanno messo in piedi in questo mondo. Si farà verità su tutto. Sarà il giorno della rivincita per i giusti.
Tutta la vita dell'uomo e del cosmo è vista da san Paolo come uno « stato di attesa » e le sofferenze della vita presenti sono paragonate alle doglie del parto. Nel giorno della morte si conclude la lunga gestazione della « creatura nuova », destinata a vivere per sempre. Per questo, la liturgia chiama la morte dei santi « giorno natalizio », giorno in cui si esce dal grembo oscuro del tempo per approdare alla luce dell'eternità per contemplare il volto di Dio
In questa gestazione alla vita eterna ha un ruolo fondamentale lo Spirito Santo che investe tutta la vita di noi cristiani rendendoci coscienti della nostra figliolanza divina e dando un senso nuovo anche alle nostre sofferenze e a quelle del mondo, che non sono un peso insopportabile ma il mezzo per diventare partecipi della passione di Gesù e quindi figli destinati alla vita eterna.
I nostri gemiti e le nostre lacrime di fronte alla sofferenza e alla morte non sono più espressione di delusione, di rassegnazione o di disperazione, ma un grido di speranza nella vita eterna che germoglia sempre all'ombra della croce di Cristo, diventata simbolo di vittoria sulla morte.
Il vangelo ci dice che tutti saremo giudicati per l'amore che avremo mostrato a Gesù presente nei nostri fratelli più deboli.
"Quando il Figlio dell'uomo - ci narra il vangelo - verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli", rivolto ai giusti dirà: "Venite, benedetti, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...! Allora i giusti risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato...?". "Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Ci sarà la sorpresa di veder valorizzati i nostri piccoli atti d’amore della vita quotidiana.
La partecipazione al banchetto eucaristico ci fa sentire in comunione reale con i nostri fratelli defunti che sentiamo come nostri fratelli e sorelle in Cristo perché essi, battezzati come noi e nutriti dell'eucaristia, sono entrati nella pienezza della vita eterna come membri del corpo mistico di Gesù Cristo..
Questa celebrazione vuole costituire per noi un'occasione per manifestare la nostra riconoscenza a chi ci ha fatto del bene.
Per vivere da veri cristiani il ricordo dei defunti non basta accendere per essi i ceri, perché si consumano, portare sulle loro tombe i fiori, perché appassiscono, versare lacrime, perché si asciugano. È specialmente necessario pregare per i defunti sulle tombe e nelle chiese perché la preghiera arriva fino al cuore di Dio e compiere gesti di carità perché l’elemosina cancella i peccati.
Noi oggi vogliamo anche pregare per tutti i defunti: per i nostri cari ma anche per coloro di cui nessuno si ricorda, per le vittime degli atti di terrorismo e di tutte le guerre, per le vittime morte nell'adempimento del loro dovere per salvaguardare la legalità, la sicurezza e il bene comune.
Oggi vogliamo esprimere il nostro cordoglio accompagnato dalla nostra preghiera per le vittime dell’ assurda e feroce violenza causata dall'assalto di un gruppo terroristico islamico alla cattedrale siro-cattolica nel centro di Baghdad durante la Messa domenicale , che ha provocato decine di vittime innocenti fra cui 7 bambini, 5 donne e 2 sacerdoti.
Vogliamo affidare tutti i nostri morti alla misericordia divina riaffermando la nostra fede nella comunione dei santi, la nostra speranza nella resurrezione della carne, il nostro impegno di carità verso tutti che serva a costruire una civiltà fondata sul rispetto della vita umana e sull'amore.
+ Michele Pennisi

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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