Sappiamo che uno dei problemi più gravi dell’Italia è quello di essere un Paese bloccato, dove gli ascensori sociali, dall’università al lavoro, funzionano sempre meno. Un Paese in cui tanti giovani e le loro famiglie si sentono smarriti, incapaci di immaginare il proprio futuro. Un allarme lanciato da Italia Futura due anni fa, quando decise di caratterizzare la sua prima uscita nel dibattito pubblico proprio con una campagna sulla mobilità sociale, ripresa poi con un lavoro sull’occupazione giovanile.
Proprio per la consapevolezza dell’importanza di questi temi fa rabbia dover constatare non solo che questo governo ha fatto poco o niente per affrontare questi nodi, ma che con quest’ultima manovra c’è il rischio concreto che la situazione vada peggiorando.La mobilita sociale è un fenomeno complesso, che si poggia, in estrema sintesi, su due pilastri. Da un lato sulla possibilità di accedere, a prescindere dalla famiglia di origine, agli strumenti che consentono di imparare, crescere e prepararsi al mercato del lavoro. Dall’altro sul potersi affermare in questo mercato sulla base delle proprie capacità e non per la “casta” di appartenenza. La prima condizione si supporta con politiche sociali, di istruzione e welfare, la seconda con regole che supportino una concorrenza effettiva e trasparente nelle attività economiche e che eliminino i protezionismi che favoriscono categorie e poteri consolidati.
Ecco, la manovra che si sta configurando in queste settimane è un disastro su entrambi questi aspetti.
L’impatto di queste misure sarà profondo a causa sia dell’entità dei tagli che, soprattutto, dei criteri con cui rischiano di essere operati. La manovra prevede tagli alle agevolazioni fiscali per 4 miliardi nel 2012 e 12 miliardi nel 2013 (che si aggiungono alla riduzione prevista dalla manovra di luglio pari a 4 miliardi nel 2013 e a 20 miliardi nel 2014). Tuttavia modalità e criteri di questi tagli sono ancora ignoti: la delega fiscale che dovrebbe definirli è ancora in alto mare, e, se tale delega non venisse varata entro settembre, gli ammontari previsti verranno coperti con tagli lineari del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, così come previsto dalla “clausola di salvaguardia”. È vero che una riorganizzazione delle agevolazioni fiscali era necessaria, perché nascondono molte distorsioni (ne avevamo parlato anche nel rapporto sulla mobilità sociale). Ma questa manovra riesce di ottenere il risultato perverso di ridurre quasi a zero le agevolazioni senza toccare iniquità e distorsioni.
Sull’altro fronte, quello dell’accesso al lavoro e alle professioni non è stato fatto praticamente niente. La norma che dovrebbe mettere fine agli abusi sui tirocini non è che un ulteriore vincolo che, limitando la durata massima dei tirocini a sei mesi e irrigidendo i requisiti delle persone che possono accedervi, otterrà l’unico risultato di diminuire la disponibilità di questo strumento per i ragazzi. Per non parlare della liberalizzazione delle professioni, raccolta in un fumoso articolo in cui ogni riforma degli ordini viene demandata ad un provvedimento da adottare entro un anno, per il quale vengono indicati dei principi ispiratori.
E se in questo anno non si farà la riforma? In tal caso non è prevista nessuna “clausola di salvaguardia” come per le agevolazioni. Se non si farà niente, non succede nulla, la riforma si potrà fare dopo un altro anno, o due, o quando sarà comodo, con calma. In sostanza l’assetto degli ordini resta immutato. Dove avvengono quindi gli interventi di maggior liberalizzazione tanto sbandierati? Nelle professioni non regolamentate, tipo quelle del sommelier, del nutrizionista e poche altri. Non è un caso se Sacconi, che è uomo preciso, ha parlato di “liberalizzazione delle professioni non ordinistiche". Un’astuta formula che serve a dire “abbiamo fatto qualcosa” senza aver, di fatto, cambiato niente di ciò che doveva esser cambiato. Come nelle nostre più radicate tradizioni.