Secondo. Non sono disperati. Alla minoranza che fugge da situazioni di pericolo (guerre civili, persecuzioni) e come tale gode del diritto di asilo, fa riscontro una maggioranza che si muove attratta da opportunità economiche. Nella scelta migratoria investono un capitale (da qualche centinaio a qualche migliaio di euro) e nei loro paesi di origine (spesso centrafricani) non fanno parte delle fasce più povere della popolazione. Spesso sono diplomati e addirittura laureati. In genere non si muovono a caso: seguono il richiamo di parenti e amici già emigrati.
Terzo. In media dopo un periodo di cinque anni una consistente minoranza (attorno a un terzo del totale) ritorna in patria, dopo aver accumulato il denaro che gli serviva. Le disumane condizioni abitative cui si sottopongono anche nel nostro paese sono il frutto di questa necessità fortunatamente temporanea di risparmiare.
Quarto. I soldi che mandano a casa mentre lavorano da noi superano ormai ampiamente il volume totale degli aiuti ufficiali che i paesi ricchi danno ai paesi poveri. E, a differenza di questi ultimi, i soldi spediti dagli emigrati arrivano tutti nelle situazioni di bisogno.
Quinto. Non tolgono posti di lavoro agli italiani (o ai tedeschi, ai francesi ecc.) perché occupano una fascia secondaria di mercato del lavoro (badanti, commessi) non assicurata e precaria che noi e i nostri figli cerchiamo in ogni modo di evitare. La disoccupazione di casa nostra è figlia di altre cose (tecnologia, merci straniere a basso costo): i portuali sono stati sostituiti dai container e dai lavoratori specializzati (gruisti, addetti ai computer) che governano il movimento delle merci. Non da altri portuali africani.
Sesto. Per le organizzazioni criminali il traffico di esseri umani sta diventando competitivo con il traffico di stupefacenti. I migranti clandestini sono ormai metà del movimento internazionale di persone (circa due milioni di persone all'anno) e garantiscono con i loro piccoli capitali faticosamente accumulati e consegnati in mano ai nuovi schiavisti un fatturato annuo pari a qualche centinaio di milioni di euro.
Settimo. Se teniamo presenti le sei cose precedenti dobbiamo cambiare radicalmente il nostro modo di gestire l'immigrazione. Invece di promettere impossibili contingentamenti dei flussi immigratori per poi regolarmente smentirsi con periodiche sanatorie, dovremmo concertare con i paesi d'origine modalità di ingresso sicure e controllate, combattendo le organizzazioni criminali sul loro stesso terreno e rendendole inutili. Lasciare liberi gli immigrati entrati in questo modo di trovarsi (entro un periodo di tempo limitato e ragionevole) un tutore-datore di lavoro italiano che garantisca per loro. Disperdere la loro presenza sul territorio evitando gli assembramenti eccessivi, forieri di scontro con i nostri concittadini. Favorire il ricongiungimento delle famiglie di immigrati, che generalmente sono meno portate alla delinquenza degli individui singoli.