mercoledì 30 novembre 2011

Trebastoni e Giangreco su tassa di soggiorno ed ecoturismoed ecomuseo

UNIONTURISMO ROMA
BARI 2-3 DICEMBRE 2011
Relazione del dr Michelangelo Trebastoni
TASSA O IMPOSTA DI SOGGIORNO

La Tassa di Soggiorno ha fatto per lungo tempo parte della legislazione fiscale italiana.
La sua istituzione risale alla legge n. 863 dell’11 Dicembre 1910, con la quale veniva attribuita la facoltà di introdurre una tassa di soggiorno a favore dei comuni per i quali rivestiva speciale importanza, per l’economia locale e per l’esistenza di stabilimenti idroterapeutici ovvero di stazioni climatiche o balneari, nei confronti di quei soggetti che soggiornassero per almeno cinque giorni, a scopo di cura.

La Tassa di Soggiorno era applicata nelle stazioni di soggiorno, cura e turismo, oltre che nelle località climatiche, balneari e termali o comunque di interesse turistico, individuate da un decreto del Ministro degli Interni.
Tale tributo era di natura strettamente personale e a carattere autonomo e si applicava nei confronti di coloro che prendessero alloggio in maniera temporanea in alberghi, locande, pensioni, stabilimenti di cura e case di salute, nonché di coloro che dimorassero temporaneamente, per un periodo superiore a 5 giorni, in ville, appartamenti, camere ammobiliate e altri alloggi.


Successivamente, intervennero diverse modifiche nel corso degli anni venti e trenta, ma solo con il R.D.L. n. 1926 del 24 Novembre 1938 l’imposta assunse l’aspetto definitivo che permase fino alla sua soppressione ad opera dell’art. 10 del D.L. n. 66 del 2 Marzo 1989, convertito nella Legge n. 144 del 24 Aprile 1989. L’imposta fu soppressa perché era ritenuta del tutto anacronistica ed antieconomica per gli elevati costi di gestione.
Oggi l’Imposta di Soggiorno torna nel nostro sistema tributario con il Decreto Legislativo n. 23 del 14 Marzo 2011 “Disposizioni in materia di Federalismo Fiscale Municipale”, che contiene l’art. 4 relativo all’Imposta di Soggiorno.
In questo articolo, viene prevista la facoltà, per i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni, nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte, di istituire un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, fino a 5 euro per notte di soggiorno.
Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, e dei relativi servizi pubblici locali.
La disposizione precisa che l’imposta di soggiorno può sostituire, in tutto o in parte, gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale, ferma restando la facoltà di disporre limitazioni alla circolazione nei centri abitati, ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992.
Con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, sarà dettata la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno. Nel caso di mancata emanazione del regolamento nel termine ivi indicato, i comuni possono comunque adottare gli atti previsti dal presente articolo.

In conformità con quanto stabilito nel predetto regolamento, i Comuni, con proprio regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 15 dicembre 1997, sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive, hanno la facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per particolari

cittadini o per determinati periodi di tempo.







L’Imposta di Soggiorno torna oggi nel nostro sistema tributario non senza un acceso dibattito. Alcuni Comuni, davanti ai tagli di risorse, sono pronti ad adottarla senza se e senza ma; altri, invece, come gli albergatori e le rappresentanze di categoria esprimono dubbi e riserve in quanto ritengono che oltre l’attuale crisi di settore che ha dimezzato i flussi turistici, ulteriori tasse potrebbero essere aggiuntivi deterrenti al rilancio di attività promozionali ed iniziative di incoming.

Gli operatori turistici ritengono la tassa di soggiorno ingiusta e dannosa e promettono azioni di protesta nel caso in cui il provvedimento non venisse ritirato.

Confcommercio, ASTOI, Assoturismo, Assotravel, Federviaggio, Asshotel Confesercenti, Federterme, CIA, AICA, Confindustria Alberghi e Turismo, Fiavet, Faita, FAPI e Federalberghi-Confturismo, tanto per citare le associazioni nazionali principali, hanno espresso le proprie perplessità ed il presidente di quest’ultima, l’inossidabile Bernabò Bocca, ha dichiarato che una tassa del genere, richiesta dai Comuni e favorita dal Governo, rischia di servire solo a ripianare le languenti casse municipali e potrebbe inferire il colpo mortale a quelle migliaia di imprese ricettive che, dopo anni di crisi drammatica, senza alcun piano strategico di rilancio dell'immagine turistica dell’Italia nel mondo e senza alcun intervento di sostegno, dovrebbero subire supinamente un aggravio del tutto privo di logica finalizzata al settore. Nel caso prendessero corpo le ipotesi ventilate di approvazione dell’imposta, gli albergatori si dicono pronti a protestare. Critiche alla tassa di soggiorno arrivano anche dall’ADOC – l’associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori-, che però non risparmia osservazioni nemmeno ai propositi di protesta manifestati dagli albergatori. Il rischio, ha sottolineato l’associazione, è che gli unici a rimanere danneggiati da questa situazione siano i turisti, che potrebbero pagare lo scotto della tassa. Non è certo con la tassa di soggiorno che si aiuta il turismo italiano, ha spiegato Carlo Pieri (presidente ADOC), ma piuttosto mettendo mano a una revisione del sistema delle stelle alberghiere, degli standard di qualità, delle offerte e dei servizi proposti ai viaggiatori.

Compiacenti alla tassa l’ANCI e l’UPI che, tramite i rispettivi presidenti, Chiamparino e Castiglione, si sono espressi favorevolmente.

Sostenitori dell’iniziativa l’ENIT con Marzotto e lo scorso Governo nazionale, con il Ministro Brambilla, nonché l’UnionTurismo che, per tramite del presidente Fisanotti, e poi con Berrino, ha acceso due anni fa il dibattito sulla questione che ha avuto, nel tempo, una eco nazionale.

Contrari anche all’istituzione della tassa Milano, Cervia, Cortina d’Ampezzo, Agrigento, Jesolo, Fermo, Urbino, Acqui Terme, Elba, le regioni Friuli, Sardegna e Trentino Alto Adige, tanto per menzionare alcune importanti località italiane, mentre il dibattito ancora è aperto nei comuni valdostani, a Taormina, a Roseto, a Piazza Armerina, a Catania, a Fano, a Matera, a Torino, a Bologna, a Misano, a Riccione, a Cattolica, a Messina, a Sciacca, a Vieste, a Perugia, a Montecatini, a Fano, a Giulianova, a Mestre, nei comuni veneti, nelle regioni Sicilia, Emilia Romagna e Toscana.

Hanno già detto si, invece, tra le altre città, Padova, Roma, Bolzano, Ragusa, Cefalù, Lipari e le Eolie, Firenze, Venezia, Aci Castello, Camerata, Sorrento ed i sei comuni della costiera sorrentina, Ragusa, Pesaro, Bregaglia, Genova, la Spezia, Verbania, Villasimius, Bordighera, Menaggio, Alberobello, Otranto, Veglie, Ancona, Capri, Tremiti, San Vito Lo Capo, Salerno.

Sarà necessario, comunque, nel caso di applicazione della tassa,così come prevede la norma, redigere il regolamento comunale attuativo.

Dopo aver visionato decine di regolamenti afferenti alla questione e già approvati da alcuni comuni italiani, mi sono convinto che sono bastevoli solo quattro articoli per determinare e regolamentare la tassa di soggiorno:

art. 1

la tassa di soggiorno sarà a carico soltanto dei turisti che soggiorneranno nel Comune e/o che verranno in visita nel territorio di competenza del Comune;



art. 2

la tassa non sarà cumulabile con altre imposte e tributi, sarà ad personam, avrà valenza annuale e sarà una tantum. Sarà pagata direttamente a funzionari comunali o ai titolari delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere del territorio comunale;



art. 3

la tassa sarà di un euro e sarà applicata ad ogni turista che soggiornerà nel Comune e/o visiterà i musei e i parchi culturali, naturali ed archeologici, nonché le strutture pubbliche del territorio comunale di cui sarà possibile controllarne l’accesso e l’ingresso, a qualunque amministrazione pubblica appartengano;



art. 4

la struttura ricettiva che avrà incassato la tassa, ne consegnerà la metà al Comune di competenza, e sarà obbligata ad investire quanto incassato nella stessa struttura ricettiva per ri-ammodernarla o per realizzare servizi a favore dei turisti.

Nello stesso modo, il Comune sarà obbligato ad investire il ricavato della tassa in servizi a favore dei turisti, in attività turistico-culturali, nella realizzazione e/o manutenzione di strutture pubbliche turistiche.
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UNIONTURISMO ROMA
Bari 2-3 Dicembre 2011
Relazione dott.ssa Rosalia Giangreco


Territorialità dei beni culturali
Ecomuseo a Piazza Armerina
Come coordinatrice provinciale di FareAmbiente Enna, in linea con le direttive della Presidenza Nazionale, ho rivolto particolare l’attenzione, al rapporto tra ambiente e patrimonio culturale. In tal senso, nell’ultimo periodo FareAmbiente Sicilia ha promosso e promuove a livello regionale, tutta una serie di iniziative, volte a valorizzare il territorio in tutte le sue sfaccettature: in questo contesto, mi sono dedicata ad una rilettura, in chiave territoriale dei beni culturali. Così, ho messo in piedi un’idea progettuale, quella della realizzazione di un ecomuseo nella città di Piazza Armerina, coniugando paesaggio e monumento, storia e tradizione, miti e credenze popolari, nel pieno rispetto degli articoli 2,3,4, 6, 7-bis, 10, 11 e 134 del Codice dei Beni Culturali. Considerato che in tutta la Sicilia esistono solamente tre ecomusei, tenuto conto della realizzabilità del progetto, mi piace condividerlo con Voi.

1.       Tipologia dell’iniziativa
Organizzazione di n.ro 2 giornate di studio sulla fattibilità di un “ecomuseo” nella città di Piazza Armerina, nel rispetto degli artt. 2,3,6,7-bis e 10 del Codice dei Beni Culturali, ai sensi dell’art.10 della legge regionale 5 marzo 1979, n. 16 e successive modifiche ed integrazioni e dell’art. 55 della legge regionale 14 maggio 2009, n. 6

2.       Relazione dettagliata sull’iniziativa
In ottemperanza agli articoli numero 2, 3, 6, 7-bis e 10 del codice dei Beni Culturali, obiettivo precipuo delle due giornate di studio previste, con questa iniziativa, è quello di studiare insieme ai tecnici del settore, mediante una tavola rotonda, aperta alla cittadinanza, la fattibilità di un “ecomuseo” in diverse aree del territorio armerino, al fine di valorizzare oltreché i beni materiali, quali siti archeologici, palazzi storici, chiese e monasteri, parchi naturali ed aree boschive, anche quelli immateriali, ovvero le tradizioni etno-antropologiche.
Infatti, l’ecomuseo, propriamente detto, nasce proprio per mantenere vive le caratteristiche che rendono una località peculiare e unica nel suo essere con il vantaggio, rispetto ad una realtà artefatta, come il museo, di impegnare l’intera comunità, che di quel luogo ne è la massima espressione.
Per questo motivo, è bene chiarire cosa si intende per ecomuseo e quali sarebbero le aree di intervento previste dallo studio di fattibilità: volendo utilizzare la prima definizione utilizzata dal teorico più importante in materia di ecomusei, il prof. Georges Henri Riviere, del 22 gennaio 1980,  un ecomuseo è «il progetto di una comunità per la tutela e la valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale del proprio territorio». Quindi “ecomuseo” inteso come percorso culturale condiviso, uno strumento, insomma, che amministrazione e cittadinanza concordano e realizzano insieme: l’amministrazione con gli esperti, le agevolazioni e le risorse di cui dispone e, la popolazione secondo le proprie aspirazioni, i propri saperi e le capacità di relazione.
Naturalmente, parlare di valorizzazione significa anche e soprattutto discutere in termini di sviluppo economico; particolari attività artigianali, saperi passati, tipici prodotti agro-alimentari opportunamente recuperati, col tempo possono assumere un valore economico. Sviluppo legato, dunque, non solo alla crescita economica data dagli elementi precedentemente indicati aggiunti alla territorialità dei beni culturali materiali siti in loco, ma al mantenimento del legame di una comunità al proprio territorio, al proprio ambiente, alla conoscenza e scoperta della propria storia, alla cura dei luoghi.
A ciò si aggiunga la rivalutazione dell’identità della comunità locale, altro effetto dell’istituzione di un “ecomuseo”: il concetto di identità è plurale e inclusivo, perché tante sono le affiliazioni e le collettività cui un individuo appartiene contemporaneamente. Cittadinanza, residenza, origine geografica, genere, politica, professione, credo religioso, solo per citare alcuni ambiti; tuttavia, nessuna di tale affiliazioni può essere ricondotta ad un’unica identità. Sono proprio le differenze la vera ricchezza di una comunità quando si percepisce come ricchezza, scambio e condivisione.
E’ ormai acclarato che il patrimonio culturale materiale, di ciascuna società, costituisce il DNA della collettività che nei secoli si è avvicendata in quel determinato luogo: tutale e valorizzazione costituiscono gli strumenti per garantire ai posteri la fruizione dei beni culturali, attraverso la quale è possibile mantenere vivo il ricordo della storia di una determinata comunità. E il paesaggio? Cosa dire dell’importanza della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici? «Il paesaggio è uno specchio in cui la popolazione si guarda e può riconoscersi» afferma Maurizio Maggi, nel volume intitolato “Ecomusei”. Una cultura interagisce con il paesaggio non solo in quanto lo produce ma anche in quanto lo percepisce, riflette su esso e gli attribuisce significati particolari.
Per queste ragioni, è stata elaborata  La Convenzione Europea del Paesaggio e adottata nel luglio 2000, ratificata dall’Italia nel gennaio 2006. La Convenzione è il primo strumento giuridico dedicato esclusivamente alla salvaguardia, gestione e valorizzazione dei paesaggi europei, la cui prima preoccupazione è quella di riconoscere il paesaggio quale bene collettivo, patrimonio comune, culturale e naturale condiviso da tutta Europa. Paesaggio, dunque, come componente fondamentale del patrimonio naturale e culturale europeo=paesaggio e identità. Ma, paesaggio inteso anche come quadro di vita delle popolazioni, dalle aree urbane, a quelle rurali, da quelle centrali alle aree periferiche.
Un ecomuseo può nascere anche dalla trasformazione di un museo, dalla pianificazione territoriale con un sistema museale, da un progetto diffuso sul territorio senza museo (senza collezione) e con un centro di interpretazione. Un ecomuseo è, pertanto, un pro0getto dinamico, che ha continui obiettivi da raggiungere: evolve e si trasforma continuamente. Alla domanda su come si organizza un ecomuseo si risponde solitamente dando per certa la partecipazione della comunità locale o di sue rappresentanze (associazioni, enti pubblici o privati, amministrazioni comunali,etc), con scambi di idee, importanti momenti di condivisione e di conoscenza reciproca.
Ricerca, conoscenza, ricognizione territoriale sono gli elementi fondamentali.
Il censimento partecipato del patrimonio culturale e ambientale comprende:
-          Progetti di mappe di comunità;
-          Riqualificazione del paesaggio;
-          Tutela e recupero dell’architettura rurale o di particolari siti (archeologia industriale);
-          Recupero di tecnologie del passato
-          Ripristino di luoghi della cultura
-          Riqualificazione e restauro di palazzi storici
-          Valorizzazione di siti archeologici (pre e protostorici oltre che storici).
Il processo ecomuseale è legato ai principi dello sviluppo durevole e sostenibile : obiettivo principale è quello di riscoprire la natura culturale e ambientale del luogo, recuperarne il senso di appartenenza e di rispetto, etc. il codice  dei beni culturali, per quanto non consideri l’ecomuseo, in realtà all’art. 10 comma 4, lettera h., qualifica come beni culturali, i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico. Questo serve a capire come il legislatore si sia posto già prima della ratifica della Convenzione Europea sul paesaggio nei confronti dei beni paesaggistici ed immateriali.
2.1.              Il progetto di fattibilità e la gestione di un ecomuseo
Se l’ecomuseo è «uno specchio dove la popolazione si guarda (H. Riviere)», ognuno deve riconoscersi e riconoscere ciò che lo specchio riflette, quindi, lo sforzo richiesto ai tecnici di settore è quello di far si che la popolazione possa conoscere e utilizzare strumenti di lettura adeguati alla propria portata. In genere, per facilitare ciò, si parte da un rilievo, dalla lettura dell’area di intervento e da un’analisi puntuale dello stato di fatto, magari con la realizzazione di un grande plastico, esposto al centro di un’assemblea locale, in cui ciascuno dà il proprio contributo ideologico. Ogni tipologia metodologica, dalla mappatura del territorio allo screening del patrimonio culturale sito in una determinata area , è utile per identificare le linee-guida per articolare un progetto di ecomuseo che in genere prevede:
1)       Identità di un luogo: descrizione, interpretazione, rappresentazione;
2)       Un “atlante identitario” costituito dal patrimonio ambientale, socio-culturale, politico;
3)       Norme statutarie;
4)       Regole della trasformazione.
Da una completa mappatura del territorio, poi, scaturiscono:
a)       Emergenze ambientali (flora, fauna, idrografia, orografia, geologia).
b)       Architetture (edilizia pubblica e privata, antica e moderna).
c)       Infrastrutture (strade, sentieri, ferrovie).
d)       Usi e costumi (tradizioni).
5.1.2. La comunità che apprende
Durante i momenti di raccolta delle informazioni, si sviluppa una singolare forma di apprendimento cooperativo, che rafforza la coscienza-conoscenza del patrimonio comune. È auspicabile che, in un simile progetto, siano coinvolte tutte le scuole del territorio che, possono anche prevedere percorsi di ricerca all’interno dei curricula scolastici. Il rapporto con le istituzioni scolastiche è concepito come un momento centrale non solo perché formativo per la scuola, ma perché occasione di monitoraggio, studio e scoperta del territorio.
Perché decidere di attivare un ecomuseo? E in quale luogo è opportuno localizzarlo? Chi si assume il ruolo di promotore dell’iniziativa? Queste domande sono le più frequenti per chi si approcci ad una simile tematica; un ecomuseo ben funzionante soddisfa sia esigenze di carattere economico che sociale, culturale ed ambientale, perché, valorizzando il patrimonio territoriale nella piena coscienza della sua comunità, superando la frammentazione, ci si avvia verso lo “sviluppo sostenibile”. Un ecomuseo, per esistere, non necessita  di alcun luogo privilegiato, perché può nascere ovunque insista una collettività, che, specie negli ultimi decenni, ha bisogno di riconquistare i propri equilibri economici e sociali. chiunque, infine, può farsi promotore della realizzazione di un ecomuseo. L’iter di promozione, che consente l’avvio di un progetto simile, varia da situazione a situazi9one e da regione a regione.
Infine, la valorizzazione del patrimonio locale trova una chiave di lettura innovativa anche nelle installazioni di arte contemporanea o, nell’organizzazione di esposizioni temporanee, utilizzando la tipologia del cosiddetto “cantiere aperto”, come già sperimentato in altre Regioni d’Italia, divenendo luoghi pubblici di creatività e confronto interdisciplinare tra comunità e artista e, tra saperi tradizionali e i nuovi linguaggi dell’arte contemporanea.
2.2.              Studio di fattibilità di un ecomuseo nella città di Piazza Armerina
    La città di Piazza Armerina il cui territorio presenta, oltre alle emergenze archeologiche già note al mondo come la “Villa Romana del Casale” e l’antica “statio” sempre di epoca romana nell’area dell’antica Philosophiana, insediamenti rupestri riconducibili all’epoca protostorica (Montagna di Marzo), che, dal punto di vista paesaggistico è un magniloquente esempio di simbiosi tra persistenza umana e natura. Da un punto di vista storico-documentale, il nome di Piazza compare, nell’abito della diplomatica a far data del 1122, mentre l’onomastica araba “Iblatasah” in due  diplomi , uno del 1141 e l’altro del 1148. Dunque, la storia della città comincia con la dominazione araba, e vive, dopo la distruzione del primo insediamento urbano, un momento di rinascita urbanistica ma anche culturale durante la dominazione normanna. Attraverso il suo centro storico, sito sul colle Mira, la cittadina con i suoi austeri monumenti è senz’altro un museo a cielo aperto e, proprio come un libro si racconta e ci racconta l’avvicendarsi delle dominazioni: ecco così che Piazza conobbe un periodo di risveglio culturale, all’unisono con l’isola intera, al tempo di Federico II e dei suoi eredi: ebbene, in quegli anni, Piazza, dopo Palermo e Messina era la terza città, in ordine di importanza. La chiesa del Priorato di S. Andrea, la Commenda dei Cavalieri di S. Giovanni, la chiesa di San Martino, costituiscono alcuni tra gli esempi di architettura dell’epoca. Federico II la confermò città demaniale e, nel 1234, la proclamò sede della “Curia Generale di Sicilia”. Nel 1240, i suoi rappresentanti furono chiamati a sedere al Parlamento di Foggia, fra le undici città demaniali dell’Isola. Alla crescita politica seguì quella economica: ospitò case degli ordini Militari del S. Sepolcro, degli Ospitalieri e dei Templari. Convulso fu il periodo angioino. Malgrado i lunghi assedi che dovette subire, Piazza, venne riconfermata, durante il regno aragonese, nel 1398, città demaniale. In questi anni è datato l’inizio della costruzione del castello e del borgo dei Canali. Questa digressione storica su Piazza Armerina potrebbe proseguire per pagine e pagine, ma in questo luogo è sufficiente dire che il Rinascimento, il Settecento e il secolo lungo, l’Ottocento, sono architettonicamente ben rappresentati. A ciò si aggiungano le tradizioni, i riti, dal Palio dei Normanni, ai Lamenti di Pasqua durante la settimana santa, all’enogastronomia piazzese.
Cosa dire poi degli affreschi del fiammingo Borremans, della Presentazione al Tempio della scuola di Alibrandi, e degli altri tesori d’arte custoditi in seno alle chiese e agli antichi palazzi?
Fatta questa premessa, lo studio di fattibilità dell’ecomuseo nella città di Piazza Armerina diventa veramente una realtà realizzabile. E, d’altronde, l’iniziativa di discutere della progettazione  sembra essere in perfetta linea con quanto previsto dall’articolo 2, commi 1), 2) e 3) del D.L. n. 42/2004, meglio conosciuto come Codice dei Beni Culturali.
Se «sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etno-antropologico, archivistico e bibliografico […]» e se «sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’articolo 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio […]», allora sarà senz’altro possibile, pianificare, nel corso delle due giornate seminariali, le linee guida e individuare i luoghi dell’ecomuseo. Infatti, l’intento è quello di coniugare la tutela e valorizzazione paesaggistica con la rivalutazione dell’area storica, che è tra le più storicamente stratificate della Sicilia, e, in assoluto la più importante in provincia di Enna. Un modo ulteriore, quindi, di valorizzare oltre al territorio armerino il centro Sicilia, poco noto, ma tanto ricco. Da Montagna di Marzo, con le sue necropoli e i suoi insediamenti protostorici, alla statio di Philosophiana, dalla Villa Romana alla città ellenistica di Morgantina, con la sua Venere, il suo Museo, e non è un volo pindarico ma semplicemente l’ipotesi di costruzione di un percorso storico-archeologico e ambientale, passando per le trazzere regie fino ad arrivare al centro storico della città con i suoi Conventi, la Cattedrale, le chiese dei Gesuiti e dei Teatini, il Castello, i suoi quartieri, gli splendidi Palazzi e il teatro.
Tutto ciò nel rispetto dell’art. 6 comma 1 del predetto Codice: infatti, «la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati».

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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