L'attentato a Brindisi che ha prodotto la morte della sedicenne Melissa Bassi e il ferimento di altri studenti pendolari è un fatto assolutamente orribile e vile, tanto più degno di esecrazione in quanto avvenuto nei pressi di una scuola.
E’ un momento di grande dolore. Per i familiari di chi è stato barbaramente colpito e per tutti quanti hanno a cuore il nostro Paese e la convivenza civile, hanno a cuore i giovani e il mondo della scuola, che è il laboratorio di futuro per tutti, dove la cultura della vita, della legalità, della condivisione cerca tutti i giorni di affermarsi. Dove le generazioni si scambiano fiducia e speranza. Dove ragazzi e ragazze alzano la testa, con i loro insegnanti, per dire no alla criminalità organizzata, all’ingiustizia. Colpire una scuola, dei ragazzi, va contro a tutto questo, ha un forte significato simbolico.
Una volta di più, bisogna dire forte oggi che non ci stiamo alla cultura della morte. L’abbraccio forte, sincero e dolente ai ragazzi colpiti dai folli omicidi, ai loro genitori, alla scuola e alla comunità di Brindisi, si accompagni alla ribellione civile e alla richiesta di un’azione decisa ed efficace dello Stato, diventi rilancio di una cultura di vita e di speranza che non si abbatte con le bombe e la violenza.
La criminalità organizzata deve sapere che la condanna dei giovani e dell’intero Paese è più forte che mai come più forte che mai è l’impegno culturale ed educativo per sconfiggerla.
Anche la Chiesa è in prima linea accanto ai giovani e alla scuola, guidata da quel grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento, il 9 maggio 1993, contro la "cultura di morte" , Un grido che oggi risuona più vibrante che mai.
Al di là di chi sia stato l’esecutore materiale che ci auguriamo sia al più presto assicurato alla giustizia, non ci sembra un caso che l’Istituto si chiami “Morvillo-Falcone”, e che di questo atto di terrorismo assassino e vigliacco sia stato commesso in prossimità dell’anniversario della strage di Capaci, in cui il giudice e sua moglie vennero uccisi con chi li accompagnava e, inoltre, che a Brindisi passava oggi la “Carovana per la legalità”.
A vent’anni delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio nelle quali persero al vita i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte non è sufficiente fermarsi alla commemorazioni di coloro che hanno perso la vita per difendere la legalità e lottare contro la mafia, ma bisogna impegnarsi a costruire profeticamente il futuro impegnandosi per rispondere alla sfide educative e per costruire il bene comune di tutti e di ciascuno.
In Sicilia l’educazione alla legalità e alla socialità cioè al bene comune deve essere una priorità. Deve essere chiaro che l’educazione rappresenta il bene pubblico per eccellenza,quindi qualunque istituzione pubblica deve essere interessata al fatto che ci sia un’educazione integrale e di qualità. Senza educazione non c’è vero progresso né civile né economico. Per progredire e per innovare è necessario educare. Non ci sarà innovazione se l’educazione non sarà rimessa al centro dell’interesse e delle preoccupazioni delle persone, delle famiglie, dei corpi intermedi, di tutta la società civile e quindi dello Stato stesso.
La comunità cristiana, con le sue varie strutture, in questo decennio dedicato all’educazione in base al documento “Educare alla vita buona del vangelo” è anch’essa impegnata in quest’opera formativa.
Per sconfiggere questa barriera invisibile, contro cui si infrangono i discorsi ufficiali, le denunzie morali, le prese di posizione istituzionali, è necessario un lavoro lungo, lento, capillare, volto ad educare più che a reprimere, a far capire, più che a promettere o minacciare, ad aprire prospettive nuove più che a dissertare su misure straordinarie.
Per battere le mafie bisogna educare la gente, e per educare la gente bisogna essere convincenti. In famiglia, a scuola, in parrocchia, dev'essere possibile accompagnare le parole con l'indicazione di esempi efficaci; bisogna poter additare uomini e donne rappresentanti di una classe dirigente che non si ripiega su se stessa e sui propri interessi, lasciando il popolo al proprio destino, ma condivide davvero i problemi di tutti. Solo così il bene comune cesserà di essere un'elegante astrazione, buona per abbellire i discorsi di circostanza, e diventerà un valore condiviso anche dalla gente comune. E la criminalità organizzata quel giorno avrà davvero perduto la sua triste battaglia.
Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina