domenica 1 marzo 2009

Ieri convegno sui "lamenti" a Roma. L'intervento del vescovo Pennisi

Sab 28 feb 2009, ore 19.00 presso la SALA BALDINI in Piazza Campitelli 9, a Roma.
Presentazione del libro "La devozione popolare nella settimana santa a Piazza Armerina", Edizioni "Terre Sommerse".
Sono intervenuti
il Prof. Carmelo Nigrelli - Sindaco della città di Piazza Armerina
S.E. Mons. Michele Pennisi - Vescovo di Piazza Armerina
il Prof. Girolamo Garofalo - docente presso la facoltà di Lettere dell'Università di Palermo
la Prof.ssa Giuseppina Colicci - docente presso la facoltà di Economia e Gestione dei Servizi Turistici dell'Universita' di Palermo
Presenti il gruppo dei Lamentatori di Piazza Armerina che eseguiranno alcuni canti religiosi in dialetto piazzese.
Intervento di Mons. Michele Pennisi
Sono molto lieto di partecipare a Roma, città a me cara e quasi una seconda patria avendovi trascorso quasi 15 anni della mia vita, alla presentazione del libro "La devozione popolare nella Settimana Santa a Piazza Armerina", pubblicato dall’editrice "Terre sommerse".
I riti della Settimana Santa in Sicilia generalmente si muovono dalla viva testimonianza di fede cristiana autenticamente vissuta e trasmessa, ma talvolta rischiano di ridursi ad insignificanti espressioni esteriori prive di ogni senso religioso e culturale locale.
"Tale deterioramento- secondo Angelo Plumari autore di una guida su i Riti della settimana santa in Sicilia- è stato determinato nel tempo anche dall’ingiusto atteggiamento di vera e propria mortificazione dell’espressione popolare sia in ambito ecclesiale, da parte di coloro che hanno "la meglio della parola", che spesso assumono atteggiamenti quasi di disprezzo e di disconoscimento del sensus fidei della parte più popolare della comunità cristiana che da parte di alcune componenti sociali e politiche "mercenarie" che tentano, a volte riuscendoci, di monopolizzare tali espressioni per interessi vari estranei all’espressione religiosa, causando così lo scadimento della pietà popolare in "folclore", cioè espressione morta, quindi archeologica, tenuta in vita esteriormente solo per ricavarne un interesse economico. Questo ha portato e porta all’uccisione e alla frammentazione dell’identità costitutiva di un popolo e di una comunità cittadina che lentamente si ritrova senza "radici" culturali.".
Parlare della Settimana Santa in Sicilia significa guardare all’esperienza della morte e della vita che traspare nel popolo siciliano, che trova nel linguaggio religioso e rituale, ancora oggi, la sua "identità" più intima e allo stesso tempo il suo proprio "modo" di manifestarla sia a livello individuale che collettivo, attraverso la memoria/imitazione del mistero di Cristo. Credo sia emblematico e paradigmatico come i siciliani si ritrovano e si identificano il venerdì santo, muti davanti alla bara del Cristo morto e il dolore di sua Madre, di cui ""sanno" vagamente, ma "sentono" profondamente, che la propria sofferenza è stata accolta da Dio stesso, che anzi è riflesso dell’esperienza divina, che quindi trova un senso nel mistero stesso dell’Uomo-Dio"- come sostiene il teologo Giuseppe Ruggieri-, sentendosi totalmente coinvolti nel dono della Sua grande misericordia e redenzione.
Nella Settimana Santa il popolo siciliano, facendo memoria della Passione di Gesù Cristo e del suo mistero pasquale di morte e risurrezione , esercita la sua forte capacità simbolica e recupera il senso dell’appartenenza e le radici cristiane della propria tradizione attraverso un insieme di celebrazioni rituali nelle quali , come ha scritto Gesulado Bufalino , "ogni siciliano si sente non solo spettatore, ma attore, prima dolente, poi esultante, d’un mistero che è la sua stessa esistenza" (La luce e il lutto, Sellerio, Palermo 1988,34).
La morte di Cristo crocifisso continua ad essere ricordata non come una delle tante morti di innocenti condannati, ma come quell'unica morte che da senso a tutte le morti e le tragedie umane, quell'unica morte che ha espiato tutti i peccati del mondo.
La passione di Gesù con le sue sofferenze e la sua morte , come il momento più profondo di solidarietà di Dio con l'uomo che soffre e che muore, continua ad essere è di una bruciante attualità in quanto come scriveva Blaise Passcal "Cristo è in agonia fino alla fine dei tempi".
La Passione di Gesù viene ricordata con tanti espressioni della liturgia e della pietà popolare: funzioni liturgiche, processioni, raffigurazioni artistiche, pratiche di pietà.
Nella storia della pietà popolare si arrivò progressivamente alla distinzione tra la celebrazione liturgica dell’evento pasquale, fatta con un linguaggio ormai incomprensibile ai fedeli e, quindi, relegata solo al clero; e la rappresentazione devozionale e drammatizzata dello stesso evento, fatta con un linguaggio che invece era rispondente alla sensibilità del popolo, voluta dallo stesso clero e dagli ordini religiosi.
In Sicilia fu grande l’opera delle scuole Francescana, Domenicana, Passionista, Redentorista e Gesuita; così come spiccarono grandemente per la loro predicazione vescovi e preti come Matteo d’Agrigento, Ruggero di Piazza Armerina o Luigi La Nuza.
La devozione al Crocifisso risulta essere la più antica tra le forme espressive della pietà popolare. Particolarmente spiccato è ancora oggi in Sicilia l’esigenza di toccarlo e baciarlo. Scavando nella storia di alcuni crocifissi siciliani, ancora oggi portati in processione durante la Settimana Santa, possiamo cogliere proprio questa origine di culto , per limitarci alal Diocesi di Piazza Armerina, oltre che a Piazza anche a Barrafranca dove il Crocifisso viene chiamato "u Tronu" e Pietraperzia con "il Signore delle fasce".
Una delle espressioni più significative della pietà popolare è costituita dal canto, espressione naturale dell’anima di un popolo e manifestazione artistica di profonda preghiera tra le più coinvolgenti.
Tra questi i cosiddetti "Lamenti", presenti in tante città della Sicilia tra le quali a Piazza Armerina. Si tratta di canti appartenenti alla tradizione orale eseguiti da cantori specializzati maschi , chiamati "Lamentatori".
Per gli esecutori partecipare alle lamentazioni risponde ad una loro personale esigenza di espressività religiosa ma anche di responsabilità sociale, in quanto custodi di una tradizione di fede da tramandare di generazione in generazione.
Anche coloro che partecipano a queste manifestazioni non assistono da spettatori passivi, ma si sentono coinvolti in tali rappresentazioni in un movimento di fede e di pietà genuine.
Nel canto dei "lamenti" non si tratta di una esperienza di tipo cognitivo ed emotivo fondata sulla distanza e omologabile ad una rappresentazione teatrale di "artisti di strada" , ma di una esperienza rituale di coinvolgimento che interessa l’individuo e la comunità.
La " rappresentazione sacra" , che è "mimesi" cioè imitazione dell’evento , diversa dall’azione liturgica , che è "anemnesi" cioè presenza misterica dell’evento salvifico della Passione , diviene ri-presentazione della passione di Cristo che manifesta un processo di identificazione col dramma della passione ed induce i partecipanti a commuoversi e a convertirsi.
Le tre raccolte di canti della tradizione religiosa piazzese ( A Baruzza, A Cruci Santa e Li Vintiquattr’uri) narrano la Passione e la morte di Gesù attraverso una libera ricostruzione arricchita di episodi secondari di grande efficacia emotiva e simbolica come la ricerca spasmodica del Figlio da parte della "Bedda Matri" addolorata , il suo struggente e accorato dialogo con il fabbro che prepara gli strumenti di supplizio per la crocifissione dell’Innocente. Non manca però il richiamo al Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente qui ed ora il mistero pasquale.
E’ merito di Carmelo e Filippo Cosenza con la costituzione dell’Associazione "Lamentatori" , di Filippo Storia e degli altri "Lamentatori" piazzesi aver salvaguardato questa espressione genuina di fede e di cultura e di Nuccia Maugeri e di Mario Zuccarello aver contribuito con la pubblicazione di questo volume e altri lodevoli iniziative a valorizzare tramandare ai posteri e a far conoscere oltre i confini della città di Piazza Armerina questo importante patrimonio religioso e artistico.
La cura nel conservare e tramandare l’eredità dei canti ricevuti dalla tradizione popolare religiosa non deriva da nostalgia per un passato ormai defunto ma dalla convinzione che si tratta di moduli artistici che sono sempre attuali perché hanno un valore insopprimibile per ogni uomo e ogni donna alla ricerca del senso della vita e della morte a cui da una risposta il mistero di Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza dell’umanità.
Mentre ringrazio sia i curatori del volume, che l’editore , auspico, facendomi interprete della sensibilità religiosa dei Lamentatori che ci proporranno alcuni "Lamenti", che questi canti vengano percepiti e interpretati come espressione sincera e gratuita di pietà autenticamente popolare, piuttosto che come manifestazioni folcloristiche finalizzate unicamente a richiamare l’interesse dei turisti e la curiosità degli studiosi.

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


___________


"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

TUTTI GLI ARTICOLI