martedì 22 febbraio 2011

Giovedi convegno sul libro “L’identità in pericolo”.

Piazza Armerina. “L’identità religiosa è ancora forte e radicata come componente importante della cultura centrosicula, e siciliana per estensione, se la si paragona ad altre regioni italiane ed europee nelle quali il processo di secolarizzazione ha intaccato molto l’identità cristiana”. Questo dice il vescovo piazzese, Michele Pennisi, nella prefazione del libro, , che verrà presentato giovedì prossimo frutto di un’indagine sociologica curata dai professori Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, e coordinata in loco dal dottor Alberto Maira. La ricerca è stata effettuata nel 2010 sulla base di un campione considerato rappresentativo dell’intera popolazione della Diocesi, compresi i non cattolici, i fedeli di altre religioni e quanti non si riconoscono in nessuna religione. Vengono fuori dati molto particolari come ad esempio i l 37% dei giovani diocesani che credono ancora agli ufo o l’8,7% del campione interessato che crede all’oroscopo. Dice Pennisi: “a livello di credenze la grande maggioranza s’identifica ancora con alcune verità fondamentali del quadro della fede cattolica.
Ma le tabelle statistiche documentano anche un’ampia oscillazione, testimone probabilmente di influssi educativi eterogenei rispetto al monolitico sistema del passato, o frutto di una crescente soggettivizzazione-razionalizzazione della fede, entrata per molti fra i beni di consumo e del benessere personale, il “fai-da-te” delle credenze religiose. Meraviglia, ad esempio, che solo il 76,9% dichiari di credere che «Dio esiste ed è una persona» mentre il 90,7% crede alla resurrezione di Gesù Cristo, l’84,0% alla sua divinità, l’84,2% ai miracoli, l’81,1% al Paradiso e il 75,5% all’Inferno. Probabilmente la domanda sull’esistenza di Dio unita a quella della sua personalità, se ha evitato che potessero rispondere positivamente coloro che professano un vago deismo, ha provocato una certa confusione evidenziando una scarsa coerenza logica fra le varie credenze e un divario nella loro gerarchizzazione con il sistema ufficiale. La specificazione delle varie concezioni su Dio, distinte dal punto qualificante della fede cristiana, e cioè il dogma della Trinità delle Persone nell’Unità della Natura in Dio, avrebbe potuto fare emergere un quadro diverso, più preciso, da quello delineato. Ma questa – dice ancora il vescovo Pennisi - è materia per un’ulteriore ricerca. È significativo, inoltre, che la credenza meno condivisa (73,2%) sia quella secondo cui «La Chiesa cattolica è un’organizzazione voluta e assistita da Dio». Si ha la conferma della diffusione soprattutto fra le giovani generazioni dello slogan “Cristo sì, Chiesa no!”, che mostra come la Chiesa non è vista come la mediazione necessaria per il rapporto con Cristo, ma in qualche caso come un ostacolo per incontrare con Cristo”.

Agostino Sella

Ecco l'intervento completo del Vescovo

PRESENTAZIONE DEL VOLUME “L’IDENTITA’ IN PERICOLO”




Sono molto lieto di poter oggi partecipare alla presentazione del volume dal titolo: L’identità in pericolo. Le credenze religiose nella Sicilia Centrale” , nel quale vengono pubblicati i risultati di un’indagine di sociologia religiosa curata , per conto del Centro Studi sulle Nuove Religioni , dai professori Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, con la collaborazione del dottor Alberto Maira e di Mihaela Ibanisteanu, che desidero ringraziare sentitamente .

La ricerca del CENSUR che viene presentata in questo volume, è stata effettuata nel 2010 sulla base di un campione considerato rappresentativo dell’intera popolazione della Diocesi di Piazza Armerina. Gli intervistati che si professano cattolici sono l’89,5%( 91% nell’inchiesta Carta1994[S] ,81,3 % nell’inchiesta del Regno 2010[R]) , i cristiani non cattolici sono 5,3% di cui il 3,2 protestanti-evangelici(0.9[S] e il 2,1 ortodossi(11,7%[R] globalmente ), i testimoni di Geova l’1,7%( 0,7[S], i fedeli di altre religioni lo 0,9%(0,5[R], 1,1,[S]) e quanti non si riconoscono in nessuna religione il 2,6%(6,5[R], 6,3[S]).

Questa ricerca, che si occupa della componente cognitiva delle credenze religiose per studiare la dimensione identitaria e culturale degli intervistati, ne ha selezionato sette tipiche del credo cristiano, tenendo presenti come indicatori alcune caratteristiche demografiche come il genere, l’età e il livello di istruzione degli intervistati.

Lo scopo dell’inchiesta non era, ovviamente, di realizzare un test di quante e quali formule del catechismo gli inchiestati avessero conservato nella memoria anche a distanza di anni, ma il tentativo di fare emergere l’accettazione, o il rifiuto, di alcune credenze fondamentali della fede cristiana, con l’implicita attesa di dover delineare, al termine del percorso statistico, un quadro complesso fatto di luci e di ombre.

Dalla ricerca risulta che l’identità religiosa, che rientra nell’ambito della religione cristiana e cattolica, è ancora forte e radicata come componente importante della cultura siciliana, se la si paragona ad altre regioni italiane ed europee nelle quali il processo di secolarizzazione ha intaccato molto l’identità cristiana.

A livello di credenze la grande maggioranza s’identifica ancora con alcune verità fondamentali del quadro della fede cattolica.

Ma le tabelle statistiche documentano anche un’ampia oscillazione, testimone probabilmente di influssi educativi eterogenei rispetto al monolitico sistema del passato, o frutto di una crescente soggettivizzazione-razionalizzazione della fede, entrata per molti fra i beni di consumo e del benessere personale, il “fai-da-te” delle credenze religiose.

Meraviglia, ad esempio, che solo il 76,9% dichiari di credere che «Dio esiste ed è una persona» ( 72,9% dei giovani, 71,7 [R], 90,14 Lucca 1976, 92,2 Roma 1970, 89 ,7 Napoli 1969) mentre il 90,7%(84,5 dei giovani fra i 15-29 anni) crede alla resurrezione di Gesù Cristo, l’84,0% alla sua divinità(73,8 dei giovani, Lucca 81, Roma 80, Napoli 79,9), l’84,2% ai miracoli(79,3 dei giovani), l’81,1% al Paradiso(75,7 dei giovani) e il 75,5% all’Inferno(69,7 dei giovani). Nell’interpretare questi dati ricavati da interviste è necessaria una certa cautela. Probabilmente la domanda sull’esistenza di Dio unita a quella della sua personalità, se ha evitato che potessero rispondere positivamente coloro che professano un vago deismo, ha provocato una certa confusione evidenziando una scarsa coerenza logica fra le varie credenze e un divario nella loro gerarchizzazione con il sistema ufficiale. La specificazione delle varie concezioni su Dio, distinte dal punto qualificante della fede cristiana, e cioè il dogma della Trinità delle Persone nell’Unità della Natura in Dio, avrebbe potuto fare emergere un quadro diverso, più preciso, da quello delineato. Ma questa, è materia per un’ulteriore ricerca.

È significativo, inoltre, che la credenza meno condivisa (73,2%) sia quella secondo cui «La Chiesa cattolica è un’organizzazione voluta e assistita da Dio»(62 dei giovani). Si ha la conferma della diffusione soprattutto fra le giovani generazioni dello slogan “Cristo sì, Chiesa no!”, che mostra come la Chiesa non è vista come la mediazione necessaria per il rapporto con Cristo, ma in qualche caso come un ostacolo per incontrare con Cristo.

Non mancano, quindi, le ombre. I dati, più bassi, relativi alla credenza nella Chiesa Cattolica debbono creare una certa preoccupazione pastorale.

Si costata un’erosione dell’identità cattolica, soprattutto nelle generazioni più giovani: la fiducia nella Chiesa cattolica(nessuna 14 % contro il 10,6 [R]) diminuisce fra i giovani(il 21,8 dichiara di non avere nessuna fiducia), fra la popolazione di sesso maschile(nessuna nel 14,8) e fra chi è diplomato(nessuna 14,6) e laureato(nessuna 18,2). Nell’accettare le credenze della chiesa cattolica c’è un evidente divario generazionale. Molti che si allontanano dalle verità della fede cattolica, soprattutto fra i giovani, e non sostituiscono la fede con altre credenze ma cadono in una sorta di agnosticismo pratico e di relativismo che non si teorizza come ateismo.

Desta meraviglia, ancora, il fatto che crede negli oroscopi l’8,6% del campione generale e il 9,7% tra i giovani, certamente influenzati da certe trasmissioni televisive. Degna di rilievo, infine, è la documentata credenza negli UFO e gli extra-terrestri(28,8), che tra i giovani raggiunge la percentuale del 37,4%, collocandosi a livelli record. Confermando il noto paradosso di Gilbert Keith Chesterton, che recita: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto”.

Nel nostro popolo, anche se sono presenti tendenze secolariste, la religione continua ad essere una agenzia primaria di produzione di senso della vita e di appartenenza comunitaria, che si esprime nelle varie forme della pietà popolare, nella quale però tende a prevalere il sentimento sulla ragione e sulla coerenza di vita.

Sull’identità cattolica legata alla religiosità popolare bisognerebbe avere anche un approccio diacronico, da cui possa emergere un confronto con il passato.

Mi limito solo a qualche citazione di don Luigi Sturzo che nel 1900 così scrive:”Se diciamo che il nostro popolo sia ancora un popolo sano, religioso per convinzione, morale, educato ai retti principi, che non ha bevuto alle fonti impure del liberalismo, diremmo una corbelleria madornale; non bisogna illudersi:il sentimento religioso del popolo si è cristallizzato nelle semplici manifestazioni delle feste esterne, e la moralità è un problema;pende ad un filo quel sentimento vago, incerto che non risiede nel cuore ma nella fantasia, mentre dall’altra parte ben assai dura influenza hanno esercitato quarant’anni di liberalismo”.

Sturzo pur apprezzando il sentimento religioso del popolo meridionale, ne conosce anche i limiti: il sentimento, senza un'adeguata istruzione e una coerente vita morale, degenera facilmente nell'estetismo esteriore, nel cultualismo rumoroso, nel fanatismo arrabbiato, nel dualismo tra fede (spesso unita alla superstizione) e condotta di vita spesso immorale. Pur non negando l'importanza del culto, egli, lamenta che le feste religiose e la predicazione tendano più ad accarezzare la fantasia del popolo, che a investire tutta la sua vita morale . Sturzo, pur guardando alla religiosità popolare non con la sufficienza dell'intellettuale, ma con la simpatia del pastore, che vive a contatto col popolo, non manca di notarne le ambiguità e i lati negativi, con lo scopo di purificarla e di orientarla verso una fede convinta e una pratica sacramentale autentica, una vita morale coerente coi principi evangelici e gli insegnamenti del magistero. In una conferenza ai seminaristi di Piazza Armerina del 1907 dice:” In che cosa consiste di fatti la esplicazione della fede religiosa nella nostra Sicilia? La condotta del popolo colla fede religiosa consiste nella manifestazione di un culto rumoroso, e si attacca anche alla forza di questo santo con un rito e nome determinato.. Dunque, tutta l’attività della fede di questo popolo consiste nell’onorare il santo in una forma esteriore, in una forma troppo profana, poco religiosa. Non troverete che poche persone che si confessano, che frequentano l’Eucaristia; si cerca piuttosto la protezione di un santo che si invoca contro le cavallette,i cattivi raccolti, per la pioggia che non viene, per le malattie dei propri parenti. Il popolo tende verso la tale santa immagine,, verso la tale madonna, quella statua determinata e concreta, in quella data chiesa. Può essere questo un tramite, un mezzo buono perché il popolo possa avvicinarsi al sacerdote; ma questo mezzo non è sempre salutare ai costumi, almeno nella generalità dei casi. E’ una fede rudimentale, non conoscendone le vere nozioni. Di fatti voi troverete tanta buona gente che non conosce il catechismo; ma che sa fare la croce, dice il Pater Noster e l’Ave Maria, senza sentimento vero, reale; ma in confuso. Saprà qualche cosa sulla devozione e sui canti; ma la sua coscienza avrà una concezione falsa della vita religiosa. Questo è uno stato generale, normale, più largo di quello che non si crede. E’ un sentimento che si ripercuote, è un sentimento di timore di una vita avvenire, è un salutare barlume di vita cristiana, è un sentimento di famiglia che si mantiene integro. E questo è un altro elemento buono che può utilizzarsi; ma è limitato, rudimentale” .



Bisogna chiedersi se il cattolicesimo, ridotto a fatto culturale tradizionale, non manifesti solo una religiosità di facciata frutto del controllo sociale piuttosto che scaturire da una adesione di fede convinta e coerente. Si assiste all’evolversi di una tendenza allo sfaldamento dell’unità delle credenze; pare che, anche nel nostro territorio, ci si avvii ad una perdita della specificità cattolica.

Pochi anni fa, un'autorevole voce laica aveva attirato l'attenzione della pubblica opinione sulla sparizione della cultura cattolica. “In Italia e anche in altri paesi folle devote riempiono ogni tanto con fervore le piazze e grandi occasioni rituali destano il momentaneo interesse della gente e dei media, ma le chiese si svuotano ogni giorno di più, sacramenti come il battesimo e il matrimonio religioso cadono sempre più in disuso e soprattutto sparisce la cultura cristiana e cattolica, la conoscenza dei fondamenti della religione e perfino dei più classici passi e personaggi evangelici, come si può constatare frequentando gli studenti universitari. Si tratta di una mutilazione per tutti, credenti e non credenti, perché quella cultura cristiana è una delle grandi drammatiche sintassi che permettono di leggere, ordinare e rappresentare il mondo, di dirne il senso e i valori, di orientarsi nel feroce e insidioso garbuglio del vivere” (C.Magris, Corriere della sera, 12.6.2004).

Questa ricerca, in ultima analisi, è sommamente preziosa perché ci aiuta a prendere coscienza della realtà religiosa del nostro territorio verificando il rapporto fra credenza, appartenenza e pratica religiosa, e a programmare, nella riflessione pastorale, gli interventi adeguati nella prospettiva della nuova evangelizzazione, che abbia come destinatari privilegiati i giovani, gli uomini, le persone colte.



Per quanto riguarda le conseguenze a livello pastorale propongo alcune riflessioni suggeritemi da don Pino D’Aleo che ringrazio sentitamente.

Gli autori commentando i risultati della ricerca in modo corretto da un punto di vista metodologico affermano che ”le ricerche sociologiche non risolvono di per sé nessun problema pastorale, ma possono fornire un modesto aiuto per riflettere, identificare problemi, costruire agende”.

La ricerca offre alla nostra Chiesa particolare un ulteriore, prezioso tassello per la lenta e paziente composizione di un necessario quadro di riferimento, su cui tentare in modo realistico e fecondo una nuova azione pastorale.



Gli Autori della ricerca guardando al futuro citano due tesi contrapposte ma a tratti sinergiche di sociologia religiosa.



Semplificando molto, si potrebbe dire che per la prima tesi, quella “catastrofista o della secolarizzazione”, la religione cattolica “è destinata a svanire in futuro, dal momento che le giovani generazioni sono più lontane dalla Chiesa delle precedenti” e che a causa del “benessere economico diffuso e il prevalere di idee morali lontane da quelle cattoliche, la Chiesa o le comunità religiose oggi maggioritarie” si ridurranno “a posizioni di residuo e di minoranza” .



La seconda lettura sociologica, che potremmo definire “possibilista/ottimista”, invece, ritiene che non vi è nessuna certezza sul fatto che le opinioni che un intervistato esprime oggi a diciotto anni rimarranno le stesse quando ne avrà quarantotto o sessantotto”. La lunga e internazionale esperienza dei Neocatecumenali, annotano gli Autori riferendosi a una ricerca di Francesco Gervasi, rafforzerebbe l’idea che per un adulto che era stato poco o per nulla cattolico da giovane tornare alla Chiesa non è più ormai un’esperienza inconsueta. Alcuni nuovi movimenti ecclesiali diventano punto di riferimento per dei giovani che dopo momenti di crisi hanno fatto esperienza di un cristianesimo simpatico come ipotesi positiva al problema del senso della loro vita nei fattori umani fondamentali.

Sarebbe interessante verificare questa seconda ipotesi nella nostra diocesi nella quale esistono più di una sessantina di comunità con circa 2500 membri.

Gli Autori concludono che, se “non c’è certezza che i giovani che oggi si dicono lontani dalla Chiesa ne saranno ugualmente lontani fra vent’anni, non c’è neppure alcuna certezza che avvenga il contrario”.

Ad ogni modo, non è possibile sfuggire alla constatazione che “l’identità cattolica è in pericolo”, sebbene il fenomeno erosivo venga in parte mitigato da un profondo radicamento identitario cattolico proprio della cultura centro-sicula.

Il fenomeno deve essere integrato, allora, in un quadro ermeneutico di vasto respiro, che tenga conto dei trapassi sociali e culturali che vive oggi l’umanità e che incidono ovviamente sulla fede e le sue espressioni storiche.



Non si può non tener conto, ad esempio, dello sfondo socio-culturale globale in cui si muove attualmente la chiesa anche in Sicilia ovviamente.

Oggi ad una lettura sociologica della nostra società ad una prospettiva post-cristiana che condurrebbe verso un gelido inverno bisognerebbe affiancare anche una prospettiva pre-cristiana che preluderebbe ad una nuova primavera aperta ad una nuova evangelizzazione.

In base a questa seconda prospettiva bisognerebbe riorganizzare la nostra pastorale come una missione adatta ad un’epoca pre-cristiana.

Fra l’altro, l’istituzione (2010) del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione potrebbe significare un invito a considerare come inderogabile e totalizzante la nuova evangelizzazione delle nostre terre per permettere la crescita di una fede limpida, profonda e adulta, sostanza collante e trama essenziale per il tessuto cristiano della società umana.

Infine, l’invito dei vescovi italiani a ripartire dall’educazione della e alla fede (Orientamenti per il prossimo decennio: Educare alla vita buona del Vangelo) è sintomatico di una nuova coscienza ecclesiale della difficoltà che incontra la fede a dirsi e a incarnarsi, ma anche della missione primaria che oggi ci viene consegnata.



L’adesione teorica ad alcune verità rivelate nella mente degli intervistati rimane spesso una conoscenza piuttosto teorica, che non incide molto sull’esistenza delle stesse persone. C’è un’adesione dottrinale, che non ha contagiato di fede trasformante le nuove generazioni.

Tra le tante possibili motivazioni oso pensare che non ha funzionato l’iniziazione cristiana.

All’ultima generazione, i giovani dai 15 ai 29 anni, mancano oggi probabilmente testimoni credibili, e la chiesa appare come non adatta a introdurre al mistero di Dio e della salvezza.

Armando Matteo nel suo La prima generazione incredula , si chiede perché il messaggio di felicità che Gesù ha portato sulla terra non fa più breccia nel cuore dei giovani? Perché i nostri ventenni stanno alla larga dalle pratiche di fede e di preghiera? Dove sono finiti le ragazze e i ragazzi delle GMG? Nel libro si denuncia una catechesi molto blanda e tiepida, l’aver ridotto lo spazio ecclesiale a semplice luogo di esercizio della fede, invece che, piuttosto, luogo di generazione della fede, luogo in cui – esemplifica l’autore – non solo si prega ma nel quale si impara a pregare, luogo nel quale non solo si crede ma nel quale si impara anche a credere.

L’autore interroga sul serio l’inedito che il modo di vivere e di credere/non credere dei giovani manifesta. Individua così al fondo del loro cuore la ferita di un grido di speranza, in mezzo a una società che ama più la giovinezza che i giovani. È da questo grido che bisogna ripartire. Per il loro futuro, per il futuro della società, per il futuro della Chiesa.

Che quello dell’ evangelizzazione dei giovani sia un tema aperto lo testimoniano molti fattori. I giovani si stanno disaffezionando alla pratica di fede. Le percentuali di coloro che frequentano corsi di catechesi post-cresimali sono scoraggianti, la disinvoltura con cui le nuove generazioni disertano l'assemblea eucaristica domenicale perché sfiniti dalla febbre delle veglie prolungate del sabato sera, solleva più di una domanda circa l’effettiva interiorizzazione dell’annuncio di fede, le grandi associazioni cattoliche di antica data e i nuovi movimenti sembrano aver perso più di un colpo sul terreno della loro attrattiva sulle fasce dei giovani. La qualità dell'attenzione di cui oggi può oggettivamente disporre l’evangelizzazione dei giovani nell’ambito ecclesiale è tema che tocca in profondità l'immagine che la Chiesa intende offrire di sé.

La questione relativa all'annuncio del Vangelo ai giovani di questo tempo richiede coraggio. Innanzitutto è necessario il coraggio di riconoscere che tra Chiesa e giovani oggi esiste una sorta di ordinaria incomprensione, di parallelismo di cammini, che produce, da una parte, chiese sempre più vuote e dall'altra esistenze senza più chiesa. Ci vuole coraggio nel riconoscere accanto alle attuali forme di attenzione da parte delle istituzioni ecclesiali al mondo giovanile, fortemente incentrate sui grandi incontri delle Giornate Mondiali della Gioventù, sui pellegrinaggi ai Grandi Santuari e un qualche immobilismo della vita ordinaria delle parrocchie, dove potrebbe maturare e crescere un'autentica coscienza credente.

Le nuove generazioni sono nate da genitori fortemente investiti dall'avvento della sensibilità postmoderna e quindi dal suo lento ma non per questo meno inesorabile divenir “estranea” al cristianesimo: hanno respirato una cultura che estrometteva tutti i punti d'aggancio sui quali la teologia cristiana aveva puntato per dire la bontà di Dio per una vita pienamente umana. Si pensi al concetto di eternità, di verità, di sacrificio, di salvezza, di autorità. Hanno imparato a cavarsela senza Dio e così hanno insegnato a fare ai loro figli. Hanno disimparato a credere e a pregare e così non hanno potuto trasmetterlo ai loro figli. Hanno forse ancora mantenuto un legame affettivo ai riti ecclesiali, ma privo di ogni consistenza di una fede che riguarda tutta la vita. Si tratta di prendersi cura delle nuove generazioni nella ferialità preziosa delle parrocchie e delle attività delle associazioni e dei movimenti, con il coraggio di formulare un'ulteriore domanda: come può la comunità credente interessarsi dei giovani in modo da rendersi interessante per gli stessi giovani?

Con i giovani si deve giocare la proposta della fede come caso serio della vita, non come insieme di pratiche, di emozioni, di riti. Le nostre comunità sono chiamate a confessare la loro fede , a proporre la loro memoria viva di Gesù Cristo vivente nella Chiesa rispondendo alle domande dei giovani. Esiste una esperienza di comunità credente con cui confrontarsi, tante persone che hanno risposto positivamente alla fede. Occorre essere posti con serietà davanti al nucleo fondamentale della fede, al suo centro, sfrondandolo delle cose secondarie; chiarendo quali sono gli elementi fondamentali e quali sono i comportamenti che li traducono nella concretezza. Qui la Parola di Dio incarnata da testimoni credibili è molto importante. Ogni spazio formativo della comunità cristiana deve diventare laboratorio della fede.

La maggioritaria adesione a verità di fede centrali per la cattolicità, come rileva la ricerca di cui ci stiamo occupando, non può assolutamente gratificarci o esaltarci. Semmai denuncia un problema: la dichiarata appartenenza alla chiesa cattolica non è stata accompagnata, nei decenni passati da un approfondimento del primo annuncio che presuppone l’esperienza di un incontro con Gesù Cristo presente nella comunità ecclesiale che spesso si è dato per scontato.

Spesso alla pur sincera adesione alle verità di fede manca di fatto il riscontro della “vita buona del Vangelo”, l’esperienza della bellezza dell’essere cristiano dei comportamenti modellati sul discepolato autentico, lo splendore della santità diffusa, dei comportamenti che aprono al Mistero ed attirano alla fede.

Ora è tempo di riscoprire la passione dell’educare, di uscire dalla latitanza educativa proponendoci come persone degne di fiducia perché testimoni credibili del cammino cristiano, che proponiamo perché abbiamo sperimentato e ci ha cambiato l’esistenza.

Naturalmente ogni azione pastorale, dovrà essere pensata e realizzata da uomini e donne che, per il fatto di essere figli dell’Unico Padre e discepoli del Risorto, sanno che il tutto riposa nella volontà e nell’agire provvidente di Dio.

Ma questi stessi operatori pastorali, consapevoli del grave momento che la fede oggi attraversa,volendo rendere il miglior servizio possibile nelle attuali condizioni, dovranno essere disposti a lasciarsi convertire docilmente dallo Spirito e agire con buona volontà, sapienza, intraprendenza e lungimiranza.



Inoltre, mi pare di intravedere una sostanziale convergenza tra:



1. i dati oggettivi e le suggestioni pastorali emergenti dall’ultima ricerca CESNUR,

2. l’autoanalisi che ha fatto di sé la chiesa diocesana nel Convegno 2009 (<>),

3. le prospettive aperte alla chiesa italiana dagli orientamenti C.E.I. per il decennio appena iniziato (<>).





Qui mi limito a fissare, per quanto è possibile, due elementi fondamentali su cui poggiare l’ulteriore, più esaustiva riflessione pastorale.



1.Nei tre documenti sono ricorrenti, a evocare concreti snodi di problematicità pastorale, termini ed espressioni, quali: erosione della fede, volatilità dell’appartenenza, identità in pericolo, liquidità dei rapporti, emergenza educativa, crisi della famiglia, scoraggiamento, smarrimento e frustrazione che bloccano creatività e generosità pastorali, narcisismo e autoreferenzialità.



Questo, mi pare, è un primo fondamento pastorale, che non può essere assolutamente ignorato: il fatto che la Chiesa è ridiventata “ piccolo gregge” in un mondo per alcuni aspetti pre-cristiano; l’urgenza di una implantatio ecclesiae che esige, oggi, un nuovo modello di cura pastorale e azione missionaria, che il nostro convegno ha individuato anzitutto nella ricerca e nella cura di relazioni fraterne e di effettiva corresponsabilità tra presbiteri, tra presbiteri e laici, tra le parrocchie, tra i membri di gruppi ecclesiali e movimenti.

E’ urgente una pastorale comunionale, destinata a fornire lo sfondo sul quale incastonare possibili iniziative comuni (per es. forme diverse di catechesi agli adulti, pastorale familiare, pastorale giovanile…). È la condizione necessaria per rendere visibile nei vari ambienti l’unità ontologica ed esperienziale dei cristiani, che ha il potere divino di condurre alla domanda di fede i non cristiani. Essa esprime il desiderio e la volontà di incontro nell’accordo e nella partecipazione a progetti comuni, nella condivisione di responsabilità, di attenzione e amore a tutte le realtà presenti nel territorio.

La pastorale d’insieme è premessa operativa ed educativa per poter realizzare nel tempo quella che viene chiamata pastorale integrata.

Garantire e promuovere il movimento delle singole comunità ecclesiali dal radicamento locale verso una visione più ampia: ogni ministero e ogni realtà ecclesiale deve comprendersi come parte di un tutto armonico, superando la tentazione dell’ autoreferenzialità.



Bisogna stare in guardia dalla possibile tentazione di sopravvalutare le presenze, i numeri, le statistiche, sostanzialmente confortanti se paragonate a quelle di altri ambienti, e che ci raccontano di gruppi e movimenti e partecipazione rituale soddisfacente. Don Rino La Delfa, nel Documento programmatico a conclusione del Convegno, constatava come “la coscienza ecclesiale della maggior parte dei membri delle comunità è bisognosa di maturazione. Pur possedendo la nozione di essere, in quanto cristiani, figli di Dio, non sanno come intendere tale figliolanza e che cosa effettivamente significhi per la vita ecclesiale”.

Per molti cristiani, che potrebbero essere definiti “devoti individualisti” o “fedeli della domenica”, ma anche per tanti cosiddetti operatori pastorali, il Battesimo non ha significato l’ingresso in una nuova vita personale e comunitaria. La risposta educativa primaria, allora, sarà il riappropriarci del cammino di conversione della iniziazione cristiana, per ricomprendere e riproporre l’annuncio del vangelo in chiave di generazione. È, dunque, l’urgenza di attivare con fantasia il primo annuncio, cui far seguire forme rigorose di catechesi e mistagogia, con l’occhio rivolto alla qualità piuttosto che alla quantità degli aderenti alla chiesa.



Così testualmente recita il documento C.E.I.:



“Esperienza fondamentale dell’educazione alla vita di fede è l’iniziazione cristiana, che «non è quindi una delle tante attività della comunità cristiana, ma l’attività che qualifica l’esprimersi proprio della Chiesa nel suo essere inviata a generare alla fede e realizzare se stessa come madre».

Essa ha gradualmente assunto un’ispirazione catecumenale, che conduce le persone a unaprogressiva consapevolezza della fede, mediante itinerari differenziati di catechesi e di esperienza di vita cristiana (…)

In un ambiente spesso indifferente se non addirittura ostile al messaggio del Vangelo, la Chiesa riscopre il linguaggio originario dell’annuncio, che ha in sé due caratteristiche educatives traordinarie: la dimensione del dono e l’appello alla conversione continua.

Il primo annuncio della fede rappresenta l’anima di ogni azione pastorale. Anche l’iniziazione cristiana deve basarsi su questa evangelizzazione iniziale, da mantenere viva negli itinerari di catechesi, proponendo relazioni capaci di coinvolgere le famiglie e integrate nell’esperienza dell’anno liturgico. Il primo annuncio è rivolto in modo privilegiato agli adulti e ai giovani, soprattutto in particolari momenti di vita come la preparazione al matrimonio, l’attesa dei figli, il catecumenato per gli adulti”. (C.E.I. Educare alla Vita Buona del Vangelo, n. 40)





Nelle conclusioni all’ultimo convegno diocesano, avevo condensato i lavori dei vari gruppi di riflessione in quattro prospettive pastorali inderogabili:



1. solo la conversione personale e comunitaria potrà farci superare narcisismo e autoreferenzialità, e farci sperimentare la sorgiva e appagante identità di figli e fratelli;

2. la riscoperta della gratuità nelle nostre relazioni che devono essere caratterizzate dall’amore agapico è il terreno fecondo da cui sgorga l’attività pastorale;

3. la coscienza identitaria battesimale genera una mentalità missionaria nuova, che porta le chiese a sbilanciarsi verso i “lontani”;

4. la missione è credibile ed efficace se è realizzata da una chiesa che testimonia la verità dell’annuncio con la santità della vita.



Nello stesso intervento, avevo riassunto le emergenze e le indicazioni pratiche:



1. formazione del clero: le comunità ecclesiali hanno bisogno di un prete capace di gestire in modo nuovo il mondo delle relazioni;

2. formazione del laicato attraverso l’accompagnamento vocazionale e spirituale e una più profonda educazione alla/della fede, una formazione centrata sui contenuti di verità e come comunione sperimentata.

3. integrazione feconda fra parrocchie, movimenti ed aggregazioni ecclesiali.

4. puntare sull’essere teologale, più che sull’attivismo organizzativo di stampo pelagiano.

5. fare esercizi di corresponsabilità nelle parrocchie e nei vicariati, attraverso gli strumenti di partecipazione, secondo la scansione tipica di ogni processo di coscientizzazione e prassi feconda che consiste nel vedere la situazione reale, nel discernimento comunitario, nel giudizio ispirato dalla fede, nelle decisioni e nelle applicazioni pastorali conseguenti, e infine nella verifica comunitaria per ulteriori avanzamenti.



Le indicazioni del convegno diocesano del novembre 2009, risultato del lungo lavoro attorno al documento-base “Chiesa comunione di persone”, sono abbastanza chiare, una possibile risposta al quadro delineato dalla ricerca CESNUR.



Coscienti che la chiesa non è una comunità complementare ma alternativa al mondo, dovremo tentare di ridare il primato pastorale a ciò che veramente costruisce il Regno.

Per questo si impongono una purificazione delle intenzioni pastorali e una dichiarazione preliminare di intenti, sia a livello personale che comunitario.

Ecco un piccolo prontuario di proposte, quasi slogan pastorali. Ogni comunità potrebbe allungarlo secondo la propria maturazione di fede ed esperienza:



- Attivare la disponibilità ad abbandonare timidezza e posizioni di falso irenismo, il mondano “non bisogna disturbare”, per diventare annunciatori fedeli e coraggiosi del Vangelo.

- Chiedersi seriamente come e se viene annunciato il Kerigma nella parrocchia, nel gruppo, nella confraternita di appartenenza.

- L’identità propria della comunità cristiana è di essere un annuncio vivente del Kerigma attraverso le opzioni e le realizzazioni concrete in rapporto al denaro, alle relazioni, all’organizzazione.

- È tempo di educazione, di Nuova Evangelizzazione: l’urgenza e il primato dell’annuncio su tutto il resto, consiglia di lasciar cadere alcuni rami secchi e sterili, per investire in formazione e vita vissuta.

La nostra abbastanza lunga esperienza pastorale ci porta a credere che, in assenza di una iniziazione alla vita cristiana, che sia lenta e graduale, ogni tentativo di impegno formativo ed ecclesiale è condannato al fallimentoe la missione di evangelizzazione si riduce a patetica ripetizione di formule stereotipate che non convincono nessuno, men che meno i non credenti.

In conclusione la ricerca curata da Introvigne e Zoccatelli, trova eco negli Orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del Vangelo” e nelle iniziative promosse dal nuovo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Una risposta al quadro problematico delineato dall’opera, saranno certamente le indicazioni che emergeranno dal prossimo Sinodo dei Vescovi nel 2012 su ”La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.

Mentre ci complimentiamo per lo sforzo d’indagine sostenuto dagli autori, auspichiamo che si possano affiancarsi alle tecniche di ricerca sociale quantitative utilizzate altre che integrino anche i “metodi qualitativi", che includessero altri preziosi indicatori della religiosità vissuta oggettivamente, come: la partecipazione alle feste religiose, l’associazionismo religioso e la sua consistenza, la diffusione della stampa di ispirazione cristiana, la scelta dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, le firme per l’otto per mille.

 + Michele Pennisi

Vescovo di Piazza Armerina

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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