10/05/2012
Carissimo collega (mi permetto questa confidenza in nome di una professione, quella docente, che anche io ho svolto con passione e che, credo, dia un senso alla tua presenza, oggi, nel Governo dei tecnici),
come ben sai, sulla scuola italiana, sempre più investita da tagli agli organici, alle risorse finanziarie, ai servizi di supporto; afflitta per il prossimo anno scolastico da dimensionamenti che produrranno “iperistituti” con numeri mostruosi di plessi e sezioni staccate; sempre più tormentata dalla precarietà dei docenti; oberata da compiti di amministrazione e gestione impropri, in nome di un’autonomia che, senza risorse, si è ridotta ad un “fai da te” dei poveri…su questa scuola umiliata, offesa, accusata di inefficienza anche quando riesce a dare prestazioni di qualità in situazioni di deserti culturali e sociali….si sta per abbattere di nuovo il tormentone delle prove dell‘Invalsi.
Il Ministero si ostina ad ignorare il disagio e la resistenza che gran parte dei docenti, spesso quella più qualificata e motivata, esprime da anni verso un progetto che l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico Italiano intende effettuare con prove (per lo più test a risposta chiusa) a cui quest’anno verranno sottoposti, fra il 9 e il 16 maggio, tutti gli alunni delle classi I e V della primaria, delle classi I della secondaria di primo grado e delle classi II della Secondaria di secondo grado.
Le prove, come nei precedenti anni scolastici, verranno somministrate con modalità identiche su tutto il territorio nazionale, a prescindere dai contesti socio-culturali, dalla composizione delle classi, dai programmi effettivamente svolti, dai sistemi di valutazione adottati dai collegi dei docenti e dai consigli di classe.
La valutazione è tema delicato che non si può affrontare in maniera parziale e senza una interlocuzione continua e approfondita con i docenti che nelle scuole operano.
I cCollegi sanno ben distinguere la valutazione formativa, che si svolge lungo tutto il percorso annuale, da quella finale o sommativa.
Sanno che il “valore aggiunto” di una scuola non si misura solo attraverso i risultati ottenuti in termini di abilità da tutti gli alunni, in un certo momento dell’anno, ma anche attraverso i percorsi realizzati per non perdere i soggetti più fragili e attraverso la capacità che i docenti esprimono di leggere i bisogni educativi dei singoli alunni e di sostenerne lo sviluppo complessivo della personalità.
Le “buone” scuole sanno che spetta loro anche il compito di essere luoghi significativi per le esigenze culturali dei territori, soprattutto di quelli più a rischio di povertà e disagio sociale e sanno che devono aprirsi alle proposte e alle richieste di formazione che ne provengono.
Molti collegi e singoli docenti hanno espresso queste e altre critiche competenti all’impianto della ricerca Invalsi e hanno messo in discussione le finalità che tutta l’operazione sembra volere raggiungere: quella cioè di rilevare il “valore aggiunto” che ogni singola scuola è in grado di realizzare e premiare , su questa base, le scuole migliori.
Si tace, invece, della necessità di intervenire a supportare le situazioni già oggi individuabili come quelle più critiche e che si aggravano proprio per i tagli, l’impoverimento e la marginalizzazione che la Scuola sta subendo nel nostro Paese.
Mi rivolgo a te, che come “maestro di strada” sai quanto sia importante intercettare, attraverso relazioni educative significative e positive, tutti gli alunni, soprattutto quelli più fragili, per formulare alcune semplici domande. Attraverso i risultati ottenuti nei test Invalsi come si potranno misurare gli esiti educativi di quelle scuole che riescono, spesso con risorse del tutto insufficienti, a motivare alla frequenza anche gli alunni più deprivati, prevenendo abbandoni e ritardi scolastici?
Come si valuteranno quei collegi che riescono ad integrare alunni migranti da poco arrivati nel nostro Paese, anche senza potere fruire di tempi di docenza aggiuntivi per percorsi individualizzati o per la predisposizione di attività di laboratorio? Come si potrà evitare che la somministrazione dei test produca frustrazione negli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento, spesso non diagnosticati, ai quali si è soliti dare più tempo e per i quali si creano, nell’attività didattica quotidiana, situazioni non ansiogene affinché affrontino i percorsi di verifica con sufficiente serenità?
Come si potrà salvaguardare, con l’unico strumento “test”, la naturale (e positiva!) divergenza che soprattutto gli alunni più piccoli dimostrano di fronte a domande e problemi posti? Non ti sembra che il test non sia lo strumento più adeguato per riutilizzare in maniera didatticamente proficua l’errore, tanto più quando viene presentato agli alunni come prova unica, da affrontare individualmente e in tempi definiti.? (Ai nostri alunni di solito diciamo: “Pensaci bene! Prenditi tutto il tempo che ci vuole! Non tirare ad indovinare! “ Poi valuteremo insieme se e dove hai sbagliato!”
Addestrandoli all’utilizzo individuale e “a tempo” dei test siamo invece costretti a dire: “Svelto! Rispondi comunque! Hai sempre una probabilità su tre o quattro di azzeccare la risposta giusta! Ognuno pensi a sé!”).
Il test, insomma, non è strumento efficace né per misurare gli aspetti di complessità di una comunità educativa , né per verificare l’effettivo consolidamento di conoscenze e competenze raggiunto da tutti gli alunni, nessuno escluso, pur se nella infinita gamma dei casi singoli.
Il test resta perciò uno strumento parziale di verifica, da utilizzare con parsimonia e insieme ad altre prove e narrazioni di situazioni. Quindi, i test dell’Invalsi possono essere uno strumento, fra gli altri, messo a disposizione delle scuole, per autovalutarsi e possono contribuire alla valutazione complessiva del sistema di istruzione italiano, purché accompagnati da altre rilevazioni e, soprattutto, contestualizzati.
Difficilmente si potrà ottenere la collaborazione attiva e convinta dei docenti attraverso il rifiuto dell’ascolto delle loro contestazioni (molto più diffuse di quanto il Ministero non avverta!) e attraverso l’imposizione o addirittura le minacce , come sta avvenendo, da parte di alcuni dirigenti scolastici, di denuncia per omissioni di atti d’ufficio dei docenti che non somministreranno le prove nelle forme e nei modi prescritti dalle istruzioni dell’Invalsi.
Il Senato ha acquisito come Odg una petizione con migliaia di firme di docenti e genitori che chiede di conservare al percorso Invalsi la caratteristica della ricerca, da realizzarsi, quindi, su di un campione statistico di scuole (come avviene nel resto dell’Europa) e di rendere volontaria l’adesione delle scuole.
Ti prego di voler suggerire al Ministro che tale strada è la più coerente con le finalità che il Ministero ha affidato all’Invalsi e, soprattutto, che questa modalità proverebbe che questa Amministrazione è rispettosa, più di quella precedente, della professionalità e della competenza dei docenti.
Simonetta Salacone
già dirigente scolastica della scuola”Iqbal Masih” di Roma
domenica 13 maggio 2012
Lettera aperta a Marco Rossi Doria sui test Invalsi
Chi sono
Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com
___________
"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"
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