La sua parrocchia era la strada. Qui ha reso feconda la sua vocazione, decidendo di incontrare gli uomini, i giovani, dentro la loro fatica di vivere. Qui è stato ucciso. Domani saranno passati diciannove anni dall'omicidio di padre Pino Puglisi, ucciso il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56esimo compleanno, dalla mafia di Brancaccio. "Un religioso austero e rigoroso, calato nel sociale, immerso nella difficile realtà del quartiere", scrivevano di lui i giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna dei killer. Insomma, era il prete della gente. Lo scorso 28 giugno Benedetto XVI ha riconosciuto che l'esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, fu "martirio" cioè "in odio alla fede". Presto sarà beatificato.
Anche la Cassazione ha sancito nella sentenza che ha condannato Giuseppe e Filippo Graviano, che padre Puglisi era stato ucciso per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, un formatore di coscienze.
Aveva fondato il centro Padre nostro, realtà pensata per sostenere il percorso di 'liberazione' di Brancaccio, costantemente oggetto di raid vandalici. "Non sono un biblista - diceva di sè il parroco - non sono un teologo, nè un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio". Un terreno di impegno nel quale coinvolgere tutti: "E se ognuno fa qualcosa", era il senso della sua sfida.
Per tutto questo, per la sua volontà di rompere il rigido controllo della mafia sul territorio e sulle persone, è stato assassinato: un colpo di pistola alla nuca, davanti casa, esploso dal killer Salvatore Grigoli, adesso collaboratore di giustizia, condannato a sedici anni. "C'era una specie di luce in quel sorriso - raccontò anni dopo - che mi aveva dato un impulso immediato. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa".
Definitivamente condannati all'ergastolo i fratelli Graviano, accusati di avere ordinato il delitto. Ergastolo anche per gli altri componenti del commando: Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Nino Mangano.
Domani, alle 10, "Un fiore per Puglisi": corteo dal piazzale antistante il Policlinico. Alle 18 Messa in cattedrale con l'ordinazione di quattro nuovi sacerdoti. La storia continua.
INVIATO DA REPUBBLICA MOBILE
Visita m.repubblica.it dal tuo telefonino o se hai un iPhone scarica gratis da iTunes l'applicazione di Repubblica Mobile.
Anche la Cassazione ha sancito nella sentenza che ha condannato Giuseppe e Filippo Graviano, che padre Puglisi era stato ucciso per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, un formatore di coscienze.
Aveva fondato il centro Padre nostro, realtà pensata per sostenere il percorso di 'liberazione' di Brancaccio, costantemente oggetto di raid vandalici. "Non sono un biblista - diceva di sè il parroco - non sono un teologo, nè un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio". Un terreno di impegno nel quale coinvolgere tutti: "E se ognuno fa qualcosa", era il senso della sua sfida.
Per tutto questo, per la sua volontà di rompere il rigido controllo della mafia sul territorio e sulle persone, è stato assassinato: un colpo di pistola alla nuca, davanti casa, esploso dal killer Salvatore Grigoli, adesso collaboratore di giustizia, condannato a sedici anni. "C'era una specie di luce in quel sorriso - raccontò anni dopo - che mi aveva dato un impulso immediato. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa".
Definitivamente condannati all'ergastolo i fratelli Graviano, accusati di avere ordinato il delitto. Ergastolo anche per gli altri componenti del commando: Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Nino Mangano.
Domani, alle 10, "Un fiore per Puglisi": corteo dal piazzale antistante il Policlinico. Alle 18 Messa in cattedrale con l'ordinazione di quattro nuovi sacerdoti. La storia continua.
INVIATO DA REPUBBLICA MOBILE
Visita m.repubblica.it dal tuo telefonino o se hai un iPhone scarica gratis da iTunes l'applicazione di Repubblica Mobile.
Agostino da iPhone