«Amo Palermo, la conosco però alla rinfusa. Non sarei in grado di fare da guida, tranne che per via Siracusa, l' Orto botanico, Mondello d' inverno e l' Ucciardone, in cui non sono mai entrato, ma so immaginarlo». L' annotazione, intrisa di una tragica leggerezza calviniana, è di Adriano Sofri, settanta anni, giornalista e scrittore.
L' intellettuale triestino esordisce così nella chiacchierata sulla città che prende spunto dal libro di Mario Giorgianni "La forma della sorte" (Sellerio editore). Sofri, assieme ad Antonino Buttitta, presenterà il libro domani al Kalhesa alle 18.
Il romanzo è pubblicato a un anno dalla scomparsa dell' architetto Giorgianni, storico docente di Composizione presso la facoltà di Architettura.
Il testo affronta un tema irrisolto: la difficoltà di raccontare Palermo e sua la magia ubiquitaria. «Non esiste una geografia delle città, ne esistono altrettante quante sono le persone che ci vivono, ci passano, le immaginano - sottolinea ancora Sofri - Chissà che guida interessante potrebbe compilare un cane di strada o una ragazza di marciapiede o un frugatore di cassonetti. Di Mario Giorgianni, nella cerchia dei suoi affezionati, si tramandava la leggendaria conoscenza di Palermo e la capacità avvincente di raccontarla. Quando è morto, una Palermo speciale è morta. E ora invece quella sua Palermo ci viene offerta da un libro sorprendente, che però accentua il rimpianto. Quando mi è arrivato, l' ho aperto senza un' idea di che cosa potesse contenere, un saggio di architettura o di urbanistica, una raccolta di storie dal colore locale, e alla prima frase ero già da tutta un' altra parte, con quel chiodo di bronzo piantato nell' orbita destra di una fotografia di esaminatore universitario. Palermo è un' altra Palermo e Mario è un altro Mario: ma si ha la sensazione che Palermo non sia mai stata così vera, e nemmeno Mario. Ci conduce nell' esplorazione della Palermo "capitale imperfetta", quella a cielo aperto, quella sotterranea, dei tubi, dei cavi, degli incappucciatie dei fantasmi. Così, a bocca aperta, il lettore sente di avere una guida che conosce come un addetto - come un "addicted" - la città degli architetti, degli urbanisti, degli storici, degli speculatori, dei mafiosi e anche quella dei frugatori di cassonetti, delle puttane, degli accattoni e dei vicequestori. Tutte le città che fanno una città e la disfano». Il romanzo è popolato da rigattieri anarchici, cialtroni perdigiorno, monache e balconate aeree, personaggi balzachiani: «Nell' itinerario di Giorgianni i nomie cognomi appartengonoa persone vive, di cui nessuno avrebbe consacrato l' importanza: gente comune, che ha commerciato, truffato, amato, assassinato, cucinato cibi squisiti e telefonato a lungo da Mondello. Personaggi, per esempio, come Bebé Lo Valvo, emerito ingegnere, segretamente latinista». Ma anche Sofri è una miniera di vecchi personaggi palermitani: «Tanti anni fa si diceva che a Palermo non esistesse una vera mappa di tubi e cavi sotterranei, e che tutto dipendesse dalla memoria di un omino, un anziano dipendente comunale. Lo chiamavano, e lui diceva: "Scavate qui, o là...". Chissà se formò degli eredi». C' è un brano, nel libro di Giorgianni, che Sofri ha sottolineato «per la meraviglia di questa qualità di scrittura», a proposito della palermitanissima festa di Santa Lucia: «"Io gusto circa quattro arancine", e avverte i lettori che sono gli stranieri e i catanesi a dire "arancini". Circa quattro, bellissimo. Lascia pensare a una delle quattro non finita e continua: "Ma ci sono persone che ne divorano molte di più. Tutti i cittadini della mia Palermo ideale, che nonè la vera città di Palermo, ne dovrebbero mangiare almeno tre per dovere civico"». La Palermo di Adriano Sofri è soprattutto quella dei suoi amici di lungo corso. «Di Palermo so poco. Alcune fra le persone che ho amato di più stavano qua, e non se ne volevano andare, benché a Palermo si stia come in una specie di esilio interno. Elvira Giorgianni, più di tutti, e Enzo Sellerio. Mi chiedo che straordinaria carta geografico-morale di Palermo sarebbe venuta fuori da illustrazioni e didascalie di Enzo Sellerio e Mario Giorgianni». Ad un analista politico come Sofri, non si può non chiedere una considerazione sulla Sicilia di Orlando e di Crocetta. « Non mi saprei immaginare nei panni di un governante, tanto meno siciliano, tutt' al più di bigliettaio dell' Orto botanico, un luogo privilegiato di osservazione di storiee personaggi, oltre che luogo di fascinazione come testimoniato in passato dai grandi viaggiatori- dice l' ex leader di Lotta continua - Se fossi Orlando o Crocetta, dopo aver letto un libro come questo di Giorgianni, proverei a metterlo in rapporto con il mio lavoro. Governare forse non si può, ma almeno rigovernare. Chi governa si figura che il mondo sia squadrato e regolabile, come le città, come Palermo dopo che è stata sventrata e rottamata e attraversata da vie Roma e vie Libertà. Invece ci si muove in un labirinto, e per giunta in un labirinto bisogna essere capaci di perdere il filo, di imboccare senz' altro un vicolo cieco, quando ne vale la pena, quando c' è qualcuno che ci siè perduto dentro e chiama. In caso contrario le città assomiglieranno a un disegno artificioso, colorato e illuminato, lasciandosi tutto attorno un dedalo, appunto, di vicoli accecati, riparo di disgraziati». Palermo dunque nel racconto di Adriano Sofri. A lui dobbiamo il racconto di un' altra città ineffabile: Sarajevo. A Sofri, questo Paese eccentrico, deve dodici anni e una sindrome di Boerhaave.CONCETTO PRESTIFILIPPO