mercoledì 14 settembre 2011

Da piccolo ti chiedono che lavoro vuoi fare da grande.


A dieci anni, quale scuola superiore sceglierai.
A tredici, se hai scelto la scuola superiore.
A quattordici, perchè non sei andato in quella scuola che era più adatta.
E in quale università andrai, a questo punto.
A diciotto anni, l'argomento università diventa un chiodo fisso.
A diciannove, complimenti per la scelta
(qualunque sia, anche se i consigli erano stati diversi).
Passati i vent'anni iniziano le domande sul lavoro.
A ventiquattro quelle sul matrimonio.
E' già ora. Dicono.
Passati i trent'anni,
se non hai lavoro e famiglia ti devi mettere la testa apposto.
E poi diventi troppo grande per avere dei figli.
Poi forse iniziano a lasciarti in pace.
A meno che non divorzi.
O perdi il lavoro.
Insomma, siamo un po' vittime di stereotipi.
Sarebbe meglio se cominciassimo a domandarci
quanti sorrisi abbiamo "rubato" questa mattina,
e quante mani abbiamo stretto,
quanti bambini (non nostri) abbiamo accolto tra le braccia
e quanti lavori (non retribuiti) abbiamo svolto per aiutare qualcuno.
Dovrebero chiederci se andiamo all'università
per sperimentare la vita "fuori casa"
o se qualcuno ci ha costretti,
forse perchè si aspetta che diventiamo
medici, dottori, ingegneri.
Dovrebbero chiederci se siamo felici del nostro lavoro
anche se è sottopagato, se lo facciamo con onestà
o se forse stiamo rubando a qualcuno.
Se lo abbiamo ottenuto senza scavalcare nessuno! 
Dovrebbero chiederci quante volte ci siamo innamorati
e se abbiamo trovato l'amore della nostra vita.
Anche se per adesso non ci sposeremo.
Forse dovremmo capire
che la felicità non è la meta 
(università, lavoro, matrimonio, ...)
ma il percorso. 
Solo così potremmo comprendere
chi decide di fare il musicista
e non lavora nell'azienda di famiglia,
rifiutando soldi, consensi e sicurezza
per inseguire il sogno della propria vita,
e realizzare quello che sperava da piccolo
quando rispondeva alla domanda
"Cosa vuoi fare da grande?".














Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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