venerdì 3 giugno 2011

Ilenia Adamo: "inizio a temere che il bene comune non alberghi in consiglio comunale"



Quando, ormai tre anni or sono, ha avuto inizio questa mia prima esperienza politica di consigliere comunale eletto nelle liste del centro sinistra, ero mossa da grande entusiasmo e da profonda fiducia nella buona volontà di quanti sedevano con me in quest’aula, nel loro senso di servizio e nel loro rispetto per l’istituzione che rappresentano . 
Man mano che il mio percorso andava strutturandosi attraverso il diretto contatto con i miei colleghi consiglieri, con i compagni di partito e con gli stessi membri dell’amministrazione, gran parte di quell’entusiasmo e di quella fiducia sono andati scemando. E si badi bene: chi vi parla non è certo persona affacciatasi sulla scena politica da sprovveduta, da ingenua romantica, inconsapevole dei problemi che immancabilmente riguardano il grave onere di amministrare la cosa pubblica. Ritengo infatti che nessuno possa disconoscere il mio impegno prima civile e poi politico fondato sulla partecipazione, sul volontariato e sulla solidarietà , concetti questi che sono stati il faro del mio agire da molto, molto prima che decidessi di candidarmi al consiglio comunale. 

La mia esperienza umana e professionale mi ha visto sempre schierata in prima linea in seno alla società civile, a fianco di tanti altri uomini e donne che hanno fatto del senso di servizio il momento caratterizzante le loro stesse vite. 

La mia professione mi ha tenuto e mi tiene, giorno per giorno, a contatto con l’universo spesso sconosciuto e sommerso del disagio e della sofferenza, della marginalità sociale e della difficoltà del vivere. 

E questo contatto non si è esplicato fra le quattro mura di uno studio professionale laddove molti, e sono i più, non possono permettersi il lusso di recarsi in cerca di un aiuto, ma piuttosto fra le pieghe più nascoste del nostro tessuto sociale, laddove invece il degrado ed il bisogno assumono connotazioni orribili e neppure immaginabili dalla gran parte della gente perbene, quella , per intenderci, che ritiene che il semplice discutere di un problema o di un bisogno equivalga, soprattutto per la propria coscienza, ad affrontarlo e risolverlo. 

Ed allora, quale via migliore del partecipare direttamente, in prima persona, all’amministrazione della cosa pubblica per agire, per affrontare i problemi della nostra realtà, per progettare soluzioni, speranze, futuro? 

Questo pensai, incoraggiata da quanti, conoscendo la mia storia, hanno visto in me un buon candidato. 

Ed invece, qual è la realtà che mi si è parata dinnanzi? 

Mentre fuori dal Palazzo di Città un progressivo ed inarrestabile aggravamento della situazione economica generale sta causando lo scivolamento di tante famiglie operaie o piccolo borghesi, come si diceva un tempo, verso la soglia di povertà, al suo interno assistiamo ad un grottesco incancrenirsi della dialettica politica, con un’Assemblea sempre più proclive alle minacce ed alle reciproche intimidazioni. 

Mentre fuori da queste quattro mura ricche di storia, artigiani, piccole imprese, lavoratori autonomi stanno boccheggiando massacrati da una congiuntura economica raccapricciante ma ancor più dalla insopportabile vessazione da parte del fisco e della burocrazia, qui, su questi banchi, si consuma la vergogna di un dibattito che di politico ha ormai ben poco, se mai il concetto di dibattito politico avesse ancora il suo significato più nobile ed autentico e non fosse divenuto invece, per comune convezione dei miei colleghi consiglieri, sinonimo di dibattimento giudiziario. 

Mentre la Città chiede con urgenza ai suoi amministratori di dare uno sbocco concreto alle proprie velleità di Baricentro Turistico del territorio attraverso progettualità di immagine, realizzazione di infrastrutture e servizi, incentivazione dell’imprenditorialità locale, Essi si permettono il lusso scellerato di sprecare sedute su sedute di consiglio comunale nell’evidentemente impossibile impresa di eleggerne il nuovo presidente. 

Insomma, mentre la gente che ci ha eletti chiede a gran voce un impegno straordinario per affrontare lo straordinario contesto di difficoltà che si sta concretizzando, noi ne tradiamo la fiducia ed il mandato disperdendo il senso stesso dell’essere qui in quest’aula in inutili, pretestuose e mediocri beghe di palazzo. 

Quando accettai la nomina a Vice presidente del Consiglio, pressata invero da più parti in seno tanto alla maggioranza quanto all’opposizione, accettai non senza difficoltà, per puro senso di servizio. 

Ritenevo importante contribuire affinché la vacatio fosse quanto più breve in modo che i tanti ed improcrastinabili obblighi, che tutti Voi Colleghi Consiglieri ben conoscete, cui questo consiglio è tenuto a rispondere, non venissero disattesi o inutilmente ritardati con grave nocumento per la città. 

Mai, dico mai, avrei immaginato invece di assistere e, mio malgrado, di partecipare alla invereconda soap-opera che da ormai troppe settimane ci vede protagonisti. 

Una triste soap-opera, a pensarci bene, in cui alcune comparse hanno vestito i panni, invero molto sdruciti e consunti, dell’azzeccagarbugli, in cui alcune prime donne, calcanti questa scena invero da un po’ troppe primavere, si sono prodotte in tristi bizantinismi dei quali probabilmente esse per prime non avevano ben chiaro il fine. 

Una grande sceneggiata, insomma, ai margini della quale non sono mancati nemmeno i bravi con il loro “innominato” di turno, ed i tanti Don Abbondio, vasi di coccio, per giunta piccoli piccoli, fra tanti vasi di ferro, pronti a farsi intimidire dal paventato arrivo del fax – colpo di scena- di cui tutti erano al corrente tranne il suo destinatario, cioè la Sottoscritta. 

Invero verrebbe da ridere. 

Peccato invece che quello che si scorge da qui, dallo scranno più alto di questa assemblea, sia guardando verso destra che, e non posso sottacerlo, verso sinistra stimoli me e tutta la cittadinanza ad un rabbioso ed indignato pianto. 

A quanti credono che fare politica sia gestire interessi grandi o piccoli a danno del più alto ed inviolabile interesse che è il bene comune, rivolgo il mio più assoluto dissenso. 

A quanti vivono queste giornate da dimenticare nella convinzione che si possa presiedere una Assemblea come questa sulla base di una forzatura o di un cavillo e contro il palese dissenso dei più, rivolgo il mio più pacato ed addirittura affettuoso invito a fare un passo indietro. 

A quanti poi hanno in questi giorni tentato di intimidirmi, strumentalizzando la mia posizione di Vice Presidente e richiamandomi alle mie responsabilità, dico che ho speso ogni istante del mio vivere pienamente consapevole delle mie responsabilità anche quando queste sono state assai più gravose di quanto non lo sia stato in questi giorni agire nell’incrollabile convinzione che il Consiglio Comunale di Piazza Armerina, per legge, è Organo Sovrano legittimato ad autoregolamentarsi senza soggiacere al parere sgangherato di qualsivoglia Funzionario Assessoriale e neppure alle pressioni di qualsivoglia consorteria Palermitana magari stimolata da qualche “ronda della legalità”. 

Per quanto mi riguarda ritengo di appartenere al novero di coloro che considerano la capacità di mediazione come il requisito, la virtù, assolutamente indispensabile nel corredo di un politico, a qualunque livello esso operi. 

Penso però che questa stessa virtù abbia senso solo se praticata in nome del bene comune. In tutti gli altri casi essa non è altro se non bieco e volgare compromesso. 

Per quanto mi è stato possibile ho cercato di mediare, anche esponendomi ad ogni sorta di pressione. Oggi però inizio a temere che tale concetto, il bene comune, non alberghi presso questa Assemblea. Se voi, colleghi Consiglieri, ritenete che io in ciò mi sbagli, datemene atto ponendo fine a questo triste spettacolo. 

Per parte mia, quale cittadina e donna incline alla costruttiva mediazione ma nemica di ogni compromesso, rimetto nelle Vostre mani il mio mandato di Vice Presidente, ritenendo che questa sia l’unica via da percorrere in piena ed assoluta responsabilità ed ancora e come sempre in ossequio al bene comune. 



Piazza Armerina, 03.06.2011 

Ilenia Adamo 

Chi sono

Qualcuno, di cui non ho molta stima, mi chiama "Architetto di Dio". La cosa, però, mi piace. Dicono che sono un architetto eclettico ed un pò anomalo. Il mio lavoro è a metà tra i restauri ed il turismo. Sono cooperatore salesiano e amo Don Bosco. Sono sposato con Cinzia che amo. Abbiamo tre figli, Gabriele Samuele e Gaia. Se vuoi scrivermi ecco la mail architettodidio@gmail.com


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"Il senso di inquietudine mi insegue sempre e quando mi pare di aver colto una certezza ricado nell'assoluto smarrimento. Mi chiedo: sono al posto giusto, al momento giusto? Boh! che casino è la VITA e quanto doloroso è questo cammino di scoperta dell'Assoluto che c'è in noi!"

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