Trenta anni fa le risorse idriche erano superiori ad oggi del 40% e si valuta che nel 2020 tre miliardi (mica bruscolini) di persone non ne avranno a disposizione.
Partendo da questa netta diminuzione gli stati più forti hanno ben pensato di sfruttare questa risorsa trasformandola da bene comune in bene commerciale.
Nessuna soluzione prevede, da parte delle nazioni più ricche il contenimento della domanda attestandosi più che altro in un aumento dell’offerta.
Il prezzo dell’acqua sale, i paesi poveri ne hanno sempre di meno, e nei paesi ricchi i poveri rischiano di rimanere senza.
Per giustificare la “politica” dell’acqua ci presentano la situazione come immodificabile, quasi apocalittica, senza indagare sulle reali cause che hanno portato il pianeta sull'orlo del collasso idrico e che impediscono a un terzo dell'umanità di avere l'accesso diretto alle acque potabili.
I conflitti per l'accesso all'acqua iniziano all'interno degli stessi stati, coinvolgendo e opponendo i grossi coltivatori ai piccoli proprietari terrieri, tagliando fuori le comunità rurali e, inevitabilmente, gli abitanti delle periferie delle grandi città, in cui le infrastrutture igienico-sanitarie sono poche o nulle.
Questo tipo di conflitti non dipende tanto da fattori naturali come il clima o la dotazione di risorse idriche, quanto dalle scelte politiche, economiche e sociali di chi amministra le città e gli stati.
Ad esempio, in Bolivia, dove l'acqua non manca, qualche tempo fa si è proclamato lo stato d'assedio per contenere le azioni di protesta diffuse in tutto il paese contro l'aumento delle tariffe dell'acqua del 20 per cento, previsto dal progetto governativo della Legge delle Acque che ne affida la gestione a un consorzio di multinazionali europee e americane.
In conclusione, e per non dilungarci oltre si può dire che l’acqua a breve rappresenterà, come il petrolio, un punto di forza per la singola nazione, in grado di alimentare conflitti basati sul ricatto.
Quello a cui stiamo assistendo impotenti in questi giorni, in piccolo, non è altro che un pesante ricatto nei confronti di chi non vuole o non può pagare un prezzo esoso per un bene da sempre considerato “res” pubblica.
Le città devono gestire direttamente l’acqua, personalmente mi dichiaro contro ogni forma di gestione che non sia affidata direttamente alle amministrazioni interessate.
Torni l’acqua ai comuni, e che sia garantita anche a chi non la può pagare.
Partendo da questa netta diminuzione gli stati più forti hanno ben pensato di sfruttare questa risorsa trasformandola da bene comune in bene commerciale.
Nessuna soluzione prevede, da parte delle nazioni più ricche il contenimento della domanda attestandosi più che altro in un aumento dell’offerta.
Il prezzo dell’acqua sale, i paesi poveri ne hanno sempre di meno, e nei paesi ricchi i poveri rischiano di rimanere senza.
Per giustificare la “politica” dell’acqua ci presentano la situazione come immodificabile, quasi apocalittica, senza indagare sulle reali cause che hanno portato il pianeta sull'orlo del collasso idrico e che impediscono a un terzo dell'umanità di avere l'accesso diretto alle acque potabili.
I conflitti per l'accesso all'acqua iniziano all'interno degli stessi stati, coinvolgendo e opponendo i grossi coltivatori ai piccoli proprietari terrieri, tagliando fuori le comunità rurali e, inevitabilmente, gli abitanti delle periferie delle grandi città, in cui le infrastrutture igienico-sanitarie sono poche o nulle.
Questo tipo di conflitti non dipende tanto da fattori naturali come il clima o la dotazione di risorse idriche, quanto dalle scelte politiche, economiche e sociali di chi amministra le città e gli stati.
Ad esempio, in Bolivia, dove l'acqua non manca, qualche tempo fa si è proclamato lo stato d'assedio per contenere le azioni di protesta diffuse in tutto il paese contro l'aumento delle tariffe dell'acqua del 20 per cento, previsto dal progetto governativo della Legge delle Acque che ne affida la gestione a un consorzio di multinazionali europee e americane.
In conclusione, e per non dilungarci oltre si può dire che l’acqua a breve rappresenterà, come il petrolio, un punto di forza per la singola nazione, in grado di alimentare conflitti basati sul ricatto.
Quello a cui stiamo assistendo impotenti in questi giorni, in piccolo, non è altro che un pesante ricatto nei confronti di chi non vuole o non può pagare un prezzo esoso per un bene da sempre considerato “res” pubblica.
Le città devono gestire direttamente l’acqua, personalmente mi dichiaro contro ogni forma di gestione che non sia affidata direttamente alle amministrazioni interessate.
Torni l’acqua ai comuni, e che sia garantita anche a chi non la può pagare.